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 2007  dicembre 31 Lunedì calendario

Pera: "Io parruccone ora lascio la politica". Libero 31 dicembre 2007. «Non gliel’hanno detto?»

Pera: "Io parruccone ora lascio la politica". Libero 31 dicembre 2007. «Non gliel’hanno detto?». Cosa? «Che sono stufo». Di che? «Della politica. Basta. Non ne posso più». La voce circola da un po’, è per questo che sono qui. «Bene, perché sarà la cosa più vera che le racconterò», giura Marcello Pera. Il pretesto di questa visita all’ex presidente del Senato, in realtà, era un altro. Chiedergli come ha fatto a scoprire che c’era un ”baco” nel pacchetto sicurezza, entrando così nella galleria degli uomini dell’anno. «Semplice. Ho una raccolta delle peggiori perversioni sessuali dell’Europa e di tutte le norme che le deleterie istituzioni europee hanno approvato in materia. Quando ho visto quel riferimento, sono andato a cercare i commentari e il passo in cui il trattato di Amsterdam affrontava l’argomento. E ho trovato che non c’era».A quel punto cos’ha fatto?«La sera mi sono alzato in aula dicendo che questa cosa non risultava, che la norma era vuota».Avrà seminato il panico al Senato...«Macché. Ho fatto la figura del bambino che dice che l’imperatore è nudo, perché l’avevano visto quasi tutti e però l’avevano tenuto nascosto per evitare che la senatrice Binetti e altri si accorgessero che cosa nascondeva quel criptico richiamo al trattato. Questo mi ha fatto cascare le braccia».Un bel colpo, però. Ne va fiero?«Sono più fiero che almeno per ora la norma sul reato d’opinione per le discriminazioni omofobiche sia stata soppressa, anche se Amato l’ha infilata da un’altra parte».La sua denuncia, però, ha involontariamente offerto un assist a Prodi, perché ha fatto sì che il pacchetto venisse ritirato alla Camera e non tornasse al Senato, dove nessuno dei teodem stavolta lo avrebbero votato, facendo così cadere il governo.« probabile che Prodi ne abbia guadagnato, ma non è stato merito mio. merito del presidente della Repubblica che ha accolto il richiamo. Il mio scopo era più istituzionale che politico».Col senno di poi, lo rifarebbe?«Sì, perché è in gioco una questione istituzionale. O degradiamo il Senato a un condominio in cui si chiacchiera e si urla, oppure decidiamo che è un’istituzione seria. Ma allora non può approvare norme inapplicabili e in modo furbo».Il Cavaliere si è complimentato con lei?«Non ne ho parlato con Berlusconi. Ma ho notato che il centrodestra in aula se n’è infischiato. Se il senatore Mantovano e io non avessimo avuto l’idea di scrivere una lettera aperta al presidente della Repubblica per sollevare la questione, nessuno si sarebbe mosso. Una delusione in più dal centrodestra».Gliene ha date molte quest’anno?«Siamo nella media con gli altri anni».Un suo bilancio generale dell’opposizione nel 2007?«Il centrodestra ha fatto un’opposizione di principio contando sulla fragilità dell’aritmetica, sui virus influenzali e sull’aiuto di Prodi, che ha governato così male da perdere quasi tutto il suo credito. Ma in questo periodo non c’è stata una vera e propria strategia comune. Salvo nella parte finale quando, con il discorso del predellino, Berlusconi ha lanciato l’idea del nuovo partito».Dopo aver fallito la strategia della spallata. «Credo che quella strategia sia andata avanti perché qualcuno aveva illuso qualcun altro facendo capire che non avrebbe più sostenuto la guida di Prodi».Possibile che Berlusconi abbia commesso una simile ingenuità?«Probabilmente non conosce a fondo i personaggi del centrosinistra, che hanno lasciato capire chissà che cosa e poi si sono tirati indietro».Quindi condivide ”la teoria della Monaca di Monza” (”la sventurata rispose”) coniata da Mastella: «Qualche sventurato avrà risposto, sennò Berlusconi mica si azzardava a spingersi a tanto»?«Certo. Anzi, penso che qualcuno, più che rispondere, l’abbia fatta lui la chiamata a Berlusconi. E che lui abbia perso tempo inseguendo questo e quel personaggio anziché una vera strategia alternativa».Piaciuta la ”rivoluzione del predellino”?«Tanto. Capisco che la si poteva fare anche con altre modalità, ma l’entusiasmo di quel giorno, quando milioni di cittadini si misero in fila ai gazebo, ha fatto sì che Berlusconi si sentisse particolarmente lanciato. Finalmente l’inizio di una strategia nuova».Come vede i primi passi del Partito della libertà?«Per ora non ho visto passi. Solo annunci, prospettive, entusiasmo. Nient’altro».Fini e Casini, secondo lei, hanno ragione a sentirsi offesi?«Fini e Casini intanto dovrebbero ricordare cosa hanno fatto loro durante la campagna elettorale del 2006».E cioè?«Erano volentieri rassegnati alla sconfitta ancor prima che succedesse. Poi, all’indomani del voto, fu Casini il primo a dire che la Cdl era finita e che lui avrebbe preso una strada diversa. Fini all’inizio fu perplesso, poi lo seguì. Quindi la loro irritazione dovrebbe essere anche autobiografica. Recriminare dopo, avendo dato poco aiuto prima, mi pare ingeneroso».Quindi, sono stati loro e non Berlusconi, come sostiene il leader di An, a demolire la Cdl?«Fini e Casini avevano già ipotizzato la sconfitta di Berlusconi, pensando che da quel male sarebbe nato il loro bene: alcuni anni di opposizione e poi uno dei due sarebbe emerso come il vero leader». Sta dicendo che in questo anno e mezzo Fini e Casini hanno fatto una finta opposizione?«Al di là dal dire che la Cdl è finita e che le spallate non si devono dare, non ho sentito da Fini e Casini maturare una strategia politica nuova e diversa». Loro lamentano di non essere stati interpellati da Berlusconi. Voi colonnelli siete stati consultati dal capo prima che salisse sul predellino?«La parola ”consultazione” nel vocabolario di Berlusconi è pressoché abolita. O perché io non sono un colonnello, o perché Berlusconi non consulta i colonnelli, credo che nessuno sapesse alcunché, salvo, scommetto, il suo fedele ex sottosegretario alla presidenza».Questo le secca molto, dica la verità.«Sul piano personale, no, ho però una preoccupazione politica. Se si lancia un partito, è necessario che il processo sia accompagnato da un dibattito interno su Forza Italia. Deve solo cambiare nome? Deve mutare l’organizzazione? Si deve allargare? Con chi? Come? Decida Berlusconi di chi debba avvalersi per avviare questa discussione, ma io credo che si debba fare».Un modo diplomatico per chiedere di essere un po’ più coinvolto in questa discussione?«Tutti coloro che militano in un partito hanno il desiderio, e il diritto anche, di essere coinvolti. Perché è vero che c’è chi si consola con la teoria ad hoc del ”partito liquido”, ma che vuol dire? Che il capo decide e gli altri si liquefanno al calore degli applausi? Così c’è il rischio di diventare tutti gassosi, e di evaporare al primo incidente elettorale».Il Pdl è un partito liquido?«Il rischio è che sia la fotocopia di Fi e che sia un partito più liquido di quello vecchio. Io vorrei che la vocazione fondativa di Berlusconi sia analoga a quella di De Gaulle, che s’inventò anche lui un partito. Ma non lo rese tanto liquido da metterlo a rischio di scioglimento dopo la sua fondazione. Lo radicò nella società francese e quel partito è ancora vivo, ha avuto tantissimi leader e una grande funzione nella storia della Francia».Quindi concorda con Fini, che rinfaccia a Berlusconi di aver fatto tutto da solo.«No, dopo tante porte in faccia, Berlusconi aveva il diritto di fare da solo. Piuttosto, chiedo a Fini cosa intende fare lui di un partito di dimensioni medio-piccole come An, che non ha una precisa collocazione ideale e non appartiene ad alcuna famiglia europea».Da tempo lui chiede cittadinanza nel Ppe.«Ma confluire nel Ppe non basta a darsi un’identità. La domanda su che cos’è la destra in Italia è stata più volte evasa dal medesimo Fini, il quale ha dato tavolta delle risposte contraddittorie».Tipo?«Penso alle sue durezze e fermezze in fatto di immigrazione e di rispetto dei nostri valori e alle sue incertezze sulla bontà di questi valori. L’ho sentito dubitare del modello occidentale sulla parità uomo-donna e confesso che mi sembrava di ascoltare Gianni Vattimo o Giuliano Amato».Fini si è sinistrizzato?«Lui guida un partito che attraversa una fase di transizione. passato molto tempo da Fiuggi e oggi è urgente un’altra rivoluzione. Mi dispiacerebbe se a questa nuova rivoluzione facesse da ostacolo il suo rapporto personale con il leader di Fi».Il suo rapporto con Berlusconi com’è al momento?«Televisivo, ma eccellente».Non è che fosse tutto rose e fiori tra voi una volta scaduto il suo mandato alla presidenza del Senato.«I miei rapporti personali con Berlusconi sono sempre stati veramente eccellenti».Ma se lei a un certo punto minacciò persino di lasciare Fi...«Questo non l’ho né detto né pensato. La questione ”io e la politica” l’ho sollevata davanti a centinaia di persone alla cena natalizia di Fi a Lucca, dove ho detto che, accanto a me, vedevo energie nuove in grado di sostituirmi, che in vita mia ho già fatto cinque mestieri e perciò vorrei accogliere la sfida di farne ancora un altro, e che comunque non mi piace la politica come mestiere. Quindi ho messo a disposizione il mio mandato».E il sesto mestiere quale sarà?«Ancora non lo so. Il fatto che io stia cercando di inventarmene uno mi rende abbastanza sereno e libero nel dire che posso fare a meno della politica».Dite tutti così e poi restate altri vent’anni. Lei ha davvero intenzione di mollare?«Sono da 11 anni in politica e quando ho iniziato l’ho fatto per un richiamo morale. Non pensavo certo che quello fosse il destino della mia vita».Si candiderà o no alle prossime elezioni?«Ho posto il problema responsabilmente e responsabilmente lo risolverò. A Lucca ho delfini bravi».A proposito di delfini: come vede il flirt in corso tra Fini e Casini?« un flirt di reazione. I due ragazzi sono un po’ imbronciati nei confronti del vecchio padre padrone, perciò tentano di mettere assieme quello che assieme non sta: Fini, Casini, Pezzotta, Montezemolo... Chiunque, purché non sia Berlusconi. Questo non mi pare politica, però».E che le pare?«Reazione da ex innamorati di una fidanzata che si è scocciata dei loro amori bradi e alla fine ha deciso di andare avanti da single».Non da ex delfini mai incoronati?«Sicuramente. Entrambi aspirano alla leadership. Li capisco. Mi piacerebbe però che avessero un argomento più importante di quello anagrafico (io ho 50 anni tu ne hai 70), o estetico (io sono bello, tu un po’ meno, io sono brizzolato, tu no). Questa è la strada per Salsomaggiore non per Palazzo Chigi».E cosa dovrebbero fare un Casini o un Fini per strappare la leadership al Cavaliere?«Avere più voti di lui, e perciò lanciare delle idee forza, mostrare un disegno, una strategia, un obiettivo. Se invece l’aspirazione si riduce a una rivendicazione, si produce lo strappo ma non la leadership».Insomma, sembra di capire che per lei Fini e Casini non abbiano i numeri per guidare il centrodestra.«Se li hanno, i sondaggi sui rispettivi partiti non lo mostrano».Ma i sondaggi dicono che Fini è uno dei politici più apprezzati dagli italiani.«Quei sondaggi sono traditori perché non si trasformano in consensi elettorali. Quanto all’enorme scarto fra il consenso sulla persona di Fini e quello sul suo partito, è un problema politico per lui, che non può scaricare su Berlusconi».Quindi è ancora il Cavaliere il leader indiscusso del centrodestra?«Assolutamente sì, perché è il più bravo. Lo dimostra il fatto che il Pdl è l’unica grande idea politica maturata in un anno e mezzo di opposizione. E l’ha avuta Berlusconi. Non l’ha avuta Casini, che diceva di voler fare il centro. Né Fini, che non diceva nemmeno questo».Eppure il leader di An è convinto che l’asse Veltroni-Berlusconi riporterà l’Italia indietro ai tempi della Prima Repubblica.«Io, invece, spero che quest’asse vada in porto. Quello che abbiamo realizzato in forza di legge è un bipolarismo forzoso, più giuridico che politico. Per avere un bipolarismo spontaneo occorre che si formino due partiti egemoni che accolgano il massimo dei consensi. A me pare che l’idea di Berlusconi, che è speculare a quella di Veltroni, sia geniale. Quindi viva l’inciucio, viva l’accordo tra i due. Meglio ancora sarebbe che Berlusconi accettasse l’idea di Veltroni».Vale a dire?«Ove si dovesse votare anche con la vecchia legge elettorale, ciascuno si presenti da sé, in modo tale che sia maggioritario dentro la propria area di riferimento». E se l’inciucio sfociasse in un governissimo?«Non serve e oggi è impossibile. Nessun governo istituzionale in questo Parlamento riuscirà a fare una legge elettorale adeguata. Bisogna andare subito al voto».Nel centrodestra c’è una classe politica in grado di governare?«C’è una classe che già si è sperimentata con qualche buon risultato, anche se non tutti onestamente sono stati buoni». E Fi, o Pdl che dir si voglia, ha una classe dirigente in grado di incarnare la novità?«Penso di sì. Ma, come ho già detto, occorrerebbe un dibattito, perché il rischio è che in Fi l’apparato alzi delle grandi muraglie rispetto all’esterno e pensi di essere autosufficiente».Michela Brambilla ha detto a Libero che anche in Fi ci sono i parrucconi.«Il primo parruccone sono io e accanto a me ce ne sono altri. Però se i parrucconi venissero messi a confronto con ragazzi dai capelli neri e ragazze dalle labbra vermiglie, il risultato sarebbe positivo, perché o scomparirebbero i parrucconi o si dimostrerebbe che tanto parrucconi non sono. Questo confronto è urgente: c’è già in giro chi si tinge i capelli».Lei è stato l’unico in Fi a sostenere la Brambilla fin dall’inizio. Come mai?«Penso che Michela Brambilla svolga una funzione importante e preziosa per la costituzione del Pdl. Nelle reazioni contro di lei, oltre a insulti volgari, si sono manifestati fenomeni di militarizzazione ad ogni livello da parte di chi diceva: ho messo io la bandiera su Fi, l’ho fondata, è mia. E il ministro lo voglio fare io, che c’ero prima».Non sarà piuttosto che con la Brambilla ha colto al volo l’occasione per far fuori i vari Bondi e Cicchitto?«Chi, io? Certamente no. Sollevo però un punto. Se una casa si allarga e arrivano nuovi inquilini, tra i vecchi e i nuovi si apre una tensione. Che facciamo: chiudiamo la porta o discutiamo? Per me l’importante è che i nuovi, purché siano davvero nuovi, arrivino e che i vecchi non si facciano prendere dal vizio di chi rivendica il marchio in esclusiva».Le manca la presidenza del Senato?«No. Ho anzi, ho riassaporato il gusto di essere più libero. Avendo più tempo, mi sono scoperto anche più ignorante. Una tristezza... Per distrarmi, ogni tanto faccio la spesa. I supermercati mi piacciono come il cinema».Sicuro di non soffrire di astinenza da potere?«Non mi mancano gli stucchi e gli specchi, non ci sono nato in ambienti così».Ma è vero che lei all’inizio nemmeno ci voleva andare perché diceva di non saper fare il presidente del Senato?« vero. Ci fu uno scambio di opinioni tra me e Berlusconi, perché non avevo mai pensato a questa carica. Ma a cose fatte devo dire che lui fu lungimirante. Tra i ruoli possibili, quello si addiceva di più alla mia formazione».Che augurio fa al Cavaliere per il 2008?«Che faccia davvero il nuovo partito e vinca, da solo, le elezioni. A primavera. E che il giorno prima faccia una scelta: o ”le rouge” o ”le noir”, o la carriera ecclesiastica o quella militare. Insomma, che separi le sue sorti politiche da quelle di imprenditore. Sarebbe più libero, avrebbe più consensi, e farebbe un altro passo nella storia: da geniale uomo politico diventerebbe un grande statista». BARBARA ROMANO