Paolo Conti, Corriere della Sera 2/1/2008, 2 gennaio 2008
ROMA – «Il problema dell’Italia di oggi è collegare il 20-25% di società che fa Pil, vive in un boom consolidato, traina il Paese vendendo prodotti di lusso nel mondo con la parte inerte, un corpaccione afflosciato simile a una mucillagine
ROMA – «Il problema dell’Italia di oggi è collegare il 20-25% di società che fa Pil, vive in un boom consolidato, traina il Paese vendendo prodotti di lusso nel mondo con la parte inerte, un corpaccione afflosciato simile a una mucillagine. Lì è il declino di cui parla il presidente Napolitano. Una realtà autentica quanto solide sono, dall’altra parte, le ragioni per ribellarsi alla retorica del declinismo....». Giuseppe De Rita non propone per principio analisi semplicistiche sulla società italiana. E quindi, meno che mai, sul discorso di fine anno del Capo dello Stato. Soprattutto sui passaggi in cui Giorgio Napolitano quasi si ribella alla rappresentazione di un’Italia prossima al crepuscolo. Dice lo storico animatore del Censis: «Nel rapporto di quest’anno abbiamo proposto una doppia lettura. C’è un Paese che si sta strutturando in modo eccezionale nel dopo- Euro, con la patrimonializzazione delle famiglie in case ed azioni, con forti spinte di vitalità da parte della media impresa, ampi spazi per i big players. Ed esiste la sua altra faccia: un ammasso cresciuto dal basso, ormai afflosciato, incapace di progettare sfide collettive, molto menefreghista». Ma non è una contraddizione in termini e a rigor di logica? «Lo so, qualcuno avrà detto che De Rita è pazzo perché la doppia analisi è leggibile nel giro di poche pagine. Eppure la frattura del fare società in Italia è tutta lì. Nel dopoguerra, nel boom del ’58, negli anni tra il ’70 e il ’71 i processi di modificazione furono autenticamente collettivi. Invece ora il corpaccione si è sviluppato dal basso senza struttura interna, privo di un’organizzazione sociale da crescita, cioè senza un sistema economico ». Facile arrivare al capitolo delle colpe, cioè alla politica. Spiega il professore del Censis: «La politica non è riuscita a garantire una prospettiva. Finché la società italiana è rimasta di semplice lettura, fino alla conclusione della prima Repubblica, la politica è riuscita nel suo compito. Ma ora che la faccenda è più complessa, l’incapacità della classe dirigente è sotto gli occhi di tutti». Lei pensa che la chiave potrebbe essere aumentare i salari, come suggerisce il presidente Napolitano che punta il dito verso i redditi troppo bassi? «Il vero punto che riguarda il governo è l’aumento dei salari e dei consumi. Ma, attenzione, il tema della rivendicazione dei poveri, con tutte le parole d’ordine care alla sinistra come il riequilibrio, il risarcimento, non innesterà mai un processo di massa. Parliamo di spiccioli. Altro che riattivazione dei consumi». E allora come si fa a rimettere insieme le due parti dell’Italia, stando all’analisi, cioè quel quarto vincente e attivo con i tre quarti del famoso corpaccione? «L’unica strada è far crescere la minoranza trainante. Aiutare le imprese che si affacciano sul mercato. Preparare i giovani alle sfide sottraendoli alla bambagia di un benessere inesistente ». Magari affidando, come qualcuno chiede, le leve decisionali al mondo dell’imprenditoria? «No, non sono d’accordo. Proprio gli imprenditori italiani hanno difficoltà a far marciare il corpaccione: con sano egoismo hanno sottolineato i propri successi, se ne sono gloriati... ma non hanno dimostrato capacità di responsabilità verso il sistema ». L’unica strada riconduce alla vecchia, vituperata, ammaccatissima politica: «Qui è la vera sfida di quella classe per il futuro dell’Italia. Non c’è da scegliere una delle due realtà dell’Italia. Non c’è da puntare sulla minoranza del boom né sulla maggioranza poco attiva. C’è da capire e mettersi al lavoro per unire. Altrimenti rimarremo prigionieri del pendolo: un giorno tutto va bene, il giorno dopo tutto va male». C’è una classe politica all’altezza del compito? «Purtroppo vedo molti oligarchi attenti solo a se stessi, forse incapaci di farsi venire la voglia di una simile impresa. Ma si tratta, lo ammetto, di una mia cattiveria... Paolo Conti