Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 2/1/2008, 2 gennaio 2008
DAL NOSTRO INVIATO
LAHORE – «Come posso cooperare con Pervez Musharraf? Il massimo responsabile del caos in cui è scivolato il Pakistan non può che scegliere una via: dimettersi dalla carica di presidente, lasciare la politica per il bene di tutti». Almeno su questo punto è molto chiaro Nawaz Sharif. Il 58enne leader del Pml-N (Pakistan Muslim League, Nawaz Group), considerata per importanza la seconda formazione politica del Paese dopo il Partito Popolare, sa bene che l’assassinio di Benazir Bhutto lo pone improvvisamente al centro della lotta di potere. In questo momento è l’unico leader scelto più o meno democraticamente tra i ranghi dei maggiori partiti. E non nasconde l’aspirazione a tornare per la terza volta ad essere primo ministro (dopo i mandati del 1990-93 e 1997-99). A differenza di Benazir, però, che in settembre era stata pronta a stringere un’intesa di cooperazione con Musharraf con la benedizione degli Stati Uniti, lui proclama che un passo del genere non lo farà mai. «Musharraf nel 1999 fu il capo di stato maggiore che guidò il golpe militare contro il mio governo. E mi ha tenuto in esilio sino al novembre scorso. Era e resta un bandito, un traditore della costituzione», dice in questa intervista al Corriere nella sua villa immersa in un grande parco cinto da mura e pattugliato da centinaia di sentinelle private ben armate alla periferia di Lahore.
Sino all’assassinio della Bhutto lei si appellava all’ astensione dalle elezioni. Ora dice che vi parteciperà e insiste che siano fatte subito. Cosa è cambiato?
« una richiesta che ci è stata fatta dal partito e dalla famiglia di Benazir poche ore dopo la sua tragica morte. Così abbiamo deciso di accettare, anche nel rispetto di lei che non esito a definire un eroe nazionale, una martire della libertà e della democrazia. Ma le elezioni vanno tenute il più presto possibile. Non mi fido delle ragioni addotte dal governo per giustificare il rinvio. E non mi fido delle commissioni di inchiesta sull’ attentato».
Chi sono gli assassini?
«Beh, una risposta l’ha già data Benazir prima di morire. In un lungo documento che voleva dare ad alcuni suoi amici tra un gruppo di legali e senatori americani scriveva che il governo e i servizi segreti pakistani avevano un piano per falsificare il risultato delle elezioni. Di più, lei riteneva che lo stesso presidente fosse responsabile della mancanza di protezione personale dei candidati. Poco prima dell’assassinio di Benazir anch’io sono stato attaccato a colpi d’arma da fuoco, che hanno causato 5 morti a un mio comizio a Rawalpindi. Benazir pagava personalmente per la sua scorta e l’auto blindata. Come faccio io del resto. Musharraf gira invece super-protetto a spese dello Stato. Già questo è un fatto gravissimo».
Che fare?
«Quattro passi. Prima esigerei le dimissioni immediate di Musharraf, l’uomo che ha permesso la crescita dell’autoritarismo e della dittatura: gli assassini di Benazir. Poi lavorerei per un governo di unità nazionale. Quindi indirei subito elezioni. Infine restaurerei la Costituzione, che è stata stravolta sin dal colpo di Stato del 1973. Gli Stati Uniti devono cambiare cavallo. Puntano su Musharraf pensando che sia l’unico in grado di combattere terrorismo ed estremismo islamico. Non vedono che, al contrario, proprio questi sono cresciuti a dismisura negli ultimi 7 anni».
Qui c’è chi sostiene che la libertà di stampa e la società civile siano cresciute molto più con Musharraf che non al tempo dei governi di Sharif o dalla Bhutto.
«Non è vero. Negli anni Novanta il potere giudiziario era molto più indipendente. Io stesso venni chiamato in tribunale e giudicato, pur essendo premier. Oggi Musharraf impera nella totale impunità».
Come battere Al Qaeda, i kamikaze e i talebani?
«Con la democrazia, solo con la democrazia».
Lei è considerato il padre della bomba atomica pakistana, la rifarebbe?
«Non fui solo io a volerla. E comunque la nostra fu la risposta militare inevitabile quando, nel 1999, l’India fece 5 esperimenti nucleari. Non avremmo mai costruito l’atomica se l’India non se ne fosse dotata prima di noi».
C’è chi considera inevitabile la decadenza del Partito Popolare. Il marito di Benazir, Asif Zardari, è troppo corrotto, non piace. E il figlio, Bilawal, è troppo giovane, inesperto. Che ne pensa?
«Resta un grande partito, forte, democratico. già stato più volte al governo, possiede tanti quadri esperti. Sono pronto a lavorare con loro».
Teme l’esercito, cosa pensa del nuovo capo di stato maggiore, generale Ashfaq Kiani?
«Non temo i militari. Era Musharraf che aveva paura di me, tanto da costringermi in esilio per 8 anni. E Kiani fu per qualche tempo il mio vice consigliere militare quando ero premier. Ma non lo conosco».
E teme la guerra civile?
«Siamo già nel caos, che è peggio della guerra civile».
Lorenzo Cremonesi