L.Cr., Corriere della Sera 2/1/2008, 2 gennaio 2008
DAL NOSTRO INVIATO
ISLAMABAD – Le elezioni parlamentari pachistane non si terranno l’8 gennaio, come era stato stabilito dopo lunghe difficili mediazioni circa due mesi fa. Ma dovrebbero slittare ad una data compresa tra la seconda metà di febbraio e la fine di marzo. Oggi la Commissione Elettorale governativa dovrebbe rendere nota la data definitiva e subito dopo è previsto un discorso del presidente Pervez Musharraf alla nazione. La sua prima apparizione pubblica rilevante dall’assassinio di Benazir Bhutto, il 27 dicembre nel cuore di Rawalpindi.
Eppure, proprio i preparativi per il voto rivelano tensioni gravissime, via via acuite con il passare dei giorni dalla morte della leader del Partito Popolare del Pakistan (Ppp). I nuovi dirigenti del partito, con in testa il marito di Benazir, Asif Ali Zardari, mirano infatti a raccogliere le simpatie della popolazione sfruttando il cordoglio per l’attentato e aspirano a mantenere immutata la data dell’8 di gennaio.
C’è chi prevede che, se si andasse alle urne entro due settimane, gli eredi della Bhutto potrebbero raccogliere tra il 10 e il 20% in più dei voti previsti sino al 26 dicembre. A loro si affianca Nawaz Sharif, il leader del secondo partito di opposizione (Pml-N), il quale annuncia di abbandonare la vecchia politica dell’astensione e chiede adesso il voto subito.
Per motivi ovviamente opposti sono invece i dirigenti del partito di governo di Musharraf, il Pakistan Muslim League- Qaumi (Pml-Q) a premere ora per il rinvio. E non mancano le argomentazioni pratiche. «Ci sono gravi impedimenti sul campo, per appunto la data dell’8 gennaio appare impossibile da mantenere.
Gli uffici elettorali di una decina di regioni sono stati distrutti o vandalizzati, con urne e schede bruciate, nelle violenze seguite alla morte della Bhutto. Nel solo Sindh (dove il Ppp è più forte) vanno totalmente ricostruiti 13 uffici elettorali. Dobbiamo informare tutti i partiti di questi fatti e decidere assieme le modalità dei preparativi e la nuova data per le elezioni», ha dichiarato ieri Kanwar Dilshad, alto ufficiale della Commissione Elettorale.
Musharraf oggi cercherà anche di rispondere alla pioggia di proteste nei suoi confronti. La sua popolarità appare ai minimi storici. In passato aveva sempre cercato di parlare alla nazione tramite anche tv e giornali privati, cresciuti numerosi negli ultimi anni. Adesso il suo silenzio grida da solo il disagio ed evidenzia le gigantesche difficoltà in cui è venuto a trovarsi dopo l’attentato. Non lo aiutano le rilevazioni delle ultime ore sbandierate dai media locali non più censurati dalla legge marziale, che era stata imposta ai primi di novembre e revocata a metà dicembre. Nel fiorire disordinato inevitabile delle teorie del complotto. Radio e televisioni locali hanno diffuso ieri nel dettaglio il dossier di 160 pagine, che sembra Benazir volesse consegnare ad un gruppo di avvocati americani tramite i senatori Arlen Specter della Pennsylvania e Patrick Kennedy di Rhode Island (avrebbe dovuto incontrarli la sera del giorno dell’attentato), in cui lei puntava il dito sul ruolo dei servizi segreti pachistani nella pianificazione di brogli elettorali ai danni dell’opposizione.
Benazir avrebbe tra l’altro lasciato intendere che, nel caso di un suo assassinio, non sarebbero stati estranei i circoli attorno allo stesso Musharraf.
L.Cr.