Gianluca Luzi, la Repubblica 2/1/2008, 2 gennaio 2008
ROMA - «Il 2008 deve essere l´anno del cambiamento se l´Italia vuole reggere la sfida della globalizzazione»
ROMA - «Il 2008 deve essere l´anno del cambiamento se l´Italia vuole reggere la sfida della globalizzazione». Perché, spiega Dario Franceschini - numero due del Partito democratico che «non è nato per vivacchiare ma per cambiare il Paese usando la forza che gli hanno dato i tre milioni e mezzo delle primarie» - «il sistema istituzionale italiano è troppo lento, non funziona più in questo mondo così veloce». E allora - «mentre deve proseguire il confronto sulla legge elettorale, con le riforme istituzionali presto in aula alla Camera e con la riforma dei regolamenti parlamentari che si può fare in un giorno» - bisogna pensare a un passo successivo: «L´elezione diretta del presidente. Io penso al presidente della Repubblica come in Francia, ma si può discutere anche di una figura più simile al Sindaco d´Italia», cioè il premier. Ma l´importante è che il sistema istituzionale «metta in grado chi vince le elezioni di governare davvero come in Francia». Una proposta che Franceschini rivolge «anche alla destra che ha sperimentato come noi che questo sistema istituzionale è una palla al piede per la competitività del Paese». Onorevole Franceschini, anche lei, ex dc, improvvisamente decisionista. Effetto Sarkozy? «In effetti per me è un mezzo trauma, perché tutta la tradizione costituzionale della nostra storia aveva il tabù dell´elezione diretta, però vista l´Italia di adesso in cui è impossibile decidere qualsiasi cosa perché è tutto arenato e impantanato, bisogna avere il coraggio - magari se non è possibile subito insieme alle riforme costituzionali da questo mese in aula alla Camera, anche in una seconda tappa - di passare all´elezione diretta di una persona che abbia la forza di decidere e di guidare il paese». Dunque una terapia d´urto per un malato grave. «L´Italia può diventare uno dei paesi vincenti nella globalizzazione se saprà far fruttare i suoi innumerevoli talenti. Naturalmente ha bisogno di un sistema istituzionale che sia veloce come quello degli altri paesi che competono con noi. L´opposto di ciò che noi trasmettiamo adesso, cioè lentezza. Un sistema in cui è quasi tutto bloccato, in cui ci vogliono due anni per una decisione che un altro paese adotta in tre mesi. Quindi dovrebbe essere interesse di tutti mettere le cose a posto e poi giocare la partita per chi vince. Perché è chiaro che con questo sistema chiunque vinca, centrosinistra o centrodestra, troverà una serie di ostacoli pazzeschi che ne rallenterà l´azione». E´ anche l´ondata di antipolitica che la spinge a proporre l´elezione diretta? «Anche in Italia sono cambiate molte cose dove si è introdotto un sistema più efficente. Pensiamo ai sindaci o a Province e Regioni. Il fatto di aver introdotto un sistema per cui chi vince, per cinque anni ha mezzi e forza politica per governare mi pare una straordinaria condizione di democrazia. Tutto questo fa rivedere in una luce diversa molti anni di cultura costituzionale che fa parte della storia della Dc e anche della sinistra, cioè il timore dell´uomo troppo forte. Allora dico, stiamo attenti perché o noi questa domanda che viene dagli italiani, di qualcuno che sia in grado di decidere, la incanaliamo dentro sistemi costituzionalmente corretti, basati sull´equilibrio dei poteri, oppure il rischio è che diventi una domanda di uomo forte comunque. Che poi sia il presidente della Repubblica eletto - come votò nel ”97 la Bicamerale - o che sia un modello che si avvicini di più al Sindaco d´Italia, c´è spazio per discuterne, ma insomma un rafforzamento del ruolo di guida del Paese attraverso l´elezione diretta, bilanciato da un Parlamento forte con poteri veri, mi sembra una cosa su cui dobbiamo avere la capacità di non rimanere legati agli atteggiamenti degli anni passati. O noi incanaliamo questa domanda in un meccanismo democratico, oppure io temo che arriverà l´ondata: che la domanda dell´uomo forte, che la spinta dell´antipolitica diventino difficili da controllare». Ma finora il gioco dei veti incrociati ha impedito qualsiasi soluzione. «Io vedo un quadro meno negativo. Intanto succede una cosa che sembrava impossibile: maggioranza e opposizione mentre si scontrano sulle scelte quotidiane di governo, provano a scrivere insieme le regole per il futuro. Senza tabù reciproci e senza inciuci o progetti di governi di transizione. Il solo fatto che si sia aperto questo dialogo è una cosa positiva. E adesso per la legge elettorale ci sono delle scadenze molto ravvicinate. Perché se la Corte costituzionale ammetterà il referendum a metà gennaio, a quel punto per fare la legge ci sarà un mese, un mese e mezzo. Altrimenti ci sarà il referendum». E i piccoli partiti? Faranno le barricate contro un progetto che toglie loro il potere che hanno. «La battaglia contro la frammentazione politica non è come è stata interpretata, cioè che i due partiti più grossi vogliono eliminare i partiti piccoli. Ma è semplicemente l´aspirazione alla normalità. Non è possibile che nel nostro paese ci siano venti partiti e che tutti i giorni dibattono con venti facce su tutti gli argomenti. Quindi c´è bisogno di ridurre la frammentazione. Naturalmente non con la clava, però mi pare un atto non dico di generosità, ma di buonsenso collettivo che dovrebbero capire tutti, anche i partiti più piccoli: abbiamo diritto tutti ad ambire a un sistema politico in cui ci siano quattro, cinque, sei partiti come in tutti i paesi moderni e non venti». Il loro terrore è la soglia di sbarramento. «Gli sbarramenti non servono ad eliminare qualcuno con la forza, ma per spingere i partiti più piccoli ad aggregarsi. Tutti dovrebbero guardare avanti e rispetto a quello che serve al Paese non è ammissibile far balenare l´arma del ricatto: il governo cade se viene approvata una legge elettorale sfavorevole al mio partito». E quale sarebbe il sistema elettorale adatto per questa riforma istituzionale? «L´abbiamo detto più volte che l´ideale sarebbe il sistema francese nella sua interezza. Però non siamo obbligati ad importare in blocco quel modello. Credo che anche un sistema proporzionale con uno sbarramento almeno al cinque per cento, come quello a cui stiamo lavorando, magari aiuterebbe il Paese a fare un passo avanti».