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 2008  gennaio 02 Mercoledì calendario

ROMA - La devolution dei vaccini parte dal Veneto. Da ieri la regione ne ha sospeso l´obbligo in età pediatrica

ROMA - La devolution dei vaccini parte dal Veneto. Da ieri la regione ne ha sospeso l´obbligo in età pediatrica. Ora i genitori possono scegliere se far somministrare ai bambini i vaccini contro difterite, tetano, polio ed epatite B. un esperimento che sancisce il principio della libera scelta, deciso in accordo con il ministero della Salute, ed è un banco di prova per tutto il Paese, ma è stato inaugurato tra le polemiche soprattutto a causa del recente allarme meningite nel trevigiano. «Il Veneto è la migliore regione italiana per quanto riguarda l´offerta vaccinale», chiarisce Donato Greco, direttore generale per la prevenzione sanitaria al ministero della Salute. «Con la sospensione dell´obbligo il genitore viene invitato a vaccinare il bambino, se rifiuta si entra in un sistema di counseling alla fine del quale farà la sua scelta. Ma riteniamo che la percentuale di quelli che decideranno di non vaccinare i figli sarà bassissima. Si tratta di un esperimento che punta a trasferire la responsabilità della vaccinazione sul sistema salute». Ma la legge entrata in vigore con il nuovo anno non mette d´accordo tutti. La decisione ha ricevuto critiche da più parti e la regione - che contro il focolaio di meningite ha organizzato una vaccinazione di massa nei comuni interessati - è stata invitata a ripensarci. Nei giorni scorsi ha risposto l´assessore alle Politiche sanitarie, Francesca Martini: «Si può anche riflettere sul provvedimento. Valutiamo sei mesi come va e se non manteniamo i livelli di copertura vaccinale possiamo sospendere». L´iniziativa del Veneto per molti resta un provvedimento da nazione civile, che allinea l´Italia agli altri paesi europei (solo in Portogallo e in Grecia oltre che da noi esiste l´obbligo), tiene conto di un contesto storico ormai superato (in cui lo Stato doveva decidere sulla salute dei cittadini), è l´ultima tappa di un percorso iniziato alla fine degli anni ´90 quando è stato sancito il diritto dei bambini non vaccinati alla frequenza scolastica e infine rispetta il pensiero di chi preferisce evitare i vaccini per gli effetti collaterali (anche se in percentuali minime) che questi possono comportare. Eppure questo modello potrebbe non essere adatto a tutte le regioni del Paese a causa della disomogeneità della copertura vaccinale. Negli ultimi anni in Veneto la copertura dei vaccini obbligatori è stata del 95% (nei parametri previsti dalla Organizzazione mondiale della Sanità), ma nelle altre regioni non è lo stesso. Mentre Lombardia ed Emilia Romagna potrebbero essere pronte a un provvedimento simile, soprattutto nelle regioni del sud la copertura registra maggiori carenze e non tutte le Asl sono dotate di anagrafi informatizzate che consentono di rintracciare i bambini non vaccinati. Così, dicono i critici, eliminare l´obbligo potrebbe compromettere i livelli di salute raggiunti e sancire un passo indietro nella tutela dei bambini. Ora in Veneto si aspetta di vedere i risultati della legge. Come chiarisce Paolo Cadrobbi, direttore del Centro malattie infettive dell´università di Padova che fino a pochi mesi fa ha fatto parte della commissione di esperti che ha collaborato con il consiglio regionale per redigere la legge: «C´è un´accettazione pressoché generalizzata della vaccinazione: inizia un periodo di sperimentazione, se dovesse abbassarsi la soglia del 95% siamo pronti a ripristinare l´obbligo ma non credo che ce ne sarà bisogno». Caro direttore, quando si dice tempismo: a poche settimane dall´emergenza meningite in Veneto, questa stessa regione ha da ieri sospeso l´obbligo delle vaccinazioni per i bambini. La decisione prevede di affidarsi alla libera scelta delle famiglie che, su consiglio del pediatra, valuteranno se somministrare i vaccini ai propri figli. Un percorso forse inevitabile, dato che dal 2010 l´obbligo vaccinale dovrebbe essere sospeso in tutt´Italia per uniformarsi alle indicazioni Ue. Il progetto punta sulla responsabilizzazione dei genitori e dei medici e sulla consapevolezza degli individui rispetto alle scelte di salute. In altre parole, un passo ulteriore verso l´autodeterminazione nelle decisioni terapeutiche e l´abbandono della medicina paternalistica. Tutto positivo, in teoria, ma non nella pratica. Anche supponendo che il Veneto sia una regione matura e consapevole, non possiamo ignorare che l´Italia purtroppo soffre di grandi disparità e una decisione tanto delicata, come sospendere l´obbligo delle vaccinazioni pediatriche, presa da una singola regione in totale indipendenza dal resto del paese, non mi pare né saggia né ragionevole. I motivi sono semplici: i virus e gli altri microrganismi circolano liberamente e non si fermano ai confini regionali. Inoltre non si può non tenere conto che in Italia vivono milioni di persone nate e cresciute in paesi molto differenti non solo dal punto di vista della sanità, spesso carente se non inesistente, ma anche da quello culturale. Chi potrà assicurare che individui di paesi e tradizioni disomogenee si rivolgano spontaneamente all´Asl o al pediatra per richiedere le vaccinazioni se non c´è un obbligo? A questo proposito è utile ricordare che l´obbligatorietà di alcune vaccinazioni, nella fase di ricostruzione socio-economica del nostro paese, ha permesso di assicurare equità ed omogeneità nell´azione di prevenzione di alcune malattie. Si è trattato di un´operazione epocale, pari soltanto, in termini di ricadute positive sulla salute per la collettività, all´accesso universale all´acqua potabile. L´obbligatorietà delle vaccinazioni ha permesso la scomparsa del vaiolo nel 1978 e della poliomielite nel 2002. Altre malattie molto gravi, come l´epatite B per cui la vaccinazione è obbligatoria dal 1991, potrebbero scomparire nel giro di poche generazioni. Ma se si abbassa la guardia, tra qualche anno un ragazzo di Rovigo potrebbe contrarre la malattia perché i virus circolano e si fermano solo se incontrano la barriera di persone vaccinate. Mentre il contagio non potrebbe accadere per un ragazzo di Bologna o di Napoli. Ciò significa, in termini di salute pubblica, vanificare anni di lavoro e buttare a mare enormi investimenti statali. Dal 1999 le regioni hanno acquisito piena autonomia ed oggi ogni Asl ha una diversa organizzazione e differenti calendari vaccinali e, ovviamente, molte cose sono cambiate da quando l´ufficiale sanitario entrava a scuola e metteva tutti i bambini in fila indiana con il braccio scoperto per la puntura. Oggi esiste una ampia consapevolezza e si pone maggiore accento sulla tutela dei diritti individuali, ma questo non dovrebbe condurre a decisioni prese senza tenere conto del contesto nazionale. Su questioni che riguardano davvero tutti, come la prevenzione delle malattie infettive, dovrebbe sempre prevalere il punto di vista generale, e l´affermazione dell´indipendenza regionale non dovrebbe mai contrastare con le esigenze della salute pubblica nazionale. Forse il Veneto potrebbe riconsiderare le proprie decisioni privilegiando la strada dell´educazione sanitaria delle famiglie e del rifiuto informato delle vaccinazioni piuttosto che quella della sospensione dell´obbligo vaccinale. La differenza può sembrare minima ma permette di proteggere la collettività. L´autore è chirurgo e presidente della Commissione sanità del Senato