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 2008  gennaio 02 Mercoledì calendario

TURI (Bari). «Tu ti sté/io mi stoche/me la cerchi/non te la doche». Quando Fabio Capello tornerà in campo e darà direttive alla sua Inghilterra in perfetto inglese, pensi per un attimo al suo maestro che dava lezioni di calcio in perfetto barese

TURI (Bari). «Tu ti sté/io mi stoche/me la cerchi/non te la doche». Quando Fabio Capello tornerà in campo e darà direttive alla sua Inghilterra in perfetto inglese, pensi per un attimo al suo maestro che dava lezioni di calcio in perfetto barese. Si chiamava Oronzo Pugliese. In panchina era un mago: «il mago di Turi». Morto nel 1990, Pugliese ha ispirato Lino Banfi: l’attore porterà nei cinema l’11 gennaio «L’allenatore nel pallone 2» interpretando Oronzo Canà, «mister» passionale e sconclusionato. Dietro Canà c’è - in chiave comica - Oronzo Pugliese. Pirotecnico motivatore di squadre spesso modeste e fenomeno del calcio anni Sessanta, Pugliese ebbe una storia più cinematografica di un film. Fu un mito. Ma se oggi Totti, Gattuso, Toni, Buffon, Del Piero, Materazzi, cioè i calciatori ingaggiati nel cast del film volessero approfondire facendo un giro a Turi, 11.400 anime, troverebbero poche tracce del mago. C’è una strada che porta allo stadio intitolata a lui: «Via Oronzo Pugliese, allenatore di calcio». C’è l’amico barista Santino Iacovazzi: «Mi ricordo Oronzo negli spogliatoi della Fiorentina. Chiamò De Sisti e sbattè il portafoglio sulla lettiga. Dite che sono tirchio? Qui dentro ci sono 200mila lire. Se vincete sono vostre. Gli chiesi poi: Ronzino, e se vincono? E lui ridendo: e chi glieli dà». C’è il portalettere in pensione Cesare Cancellieri. Presidente del «circolo biancorosso Oronzo Pugliese», club di supporter del Bari che conta ormai un solo iscritto (se stesso), tifa ancora per don Oronzo. E ci sono pochi vecchi tifosi. Augusto Susca, dipendente comunale, mostra una vecchia foto. Peppino De Novellis, medico e assessore, ricorda quanto fosse parsimonioso: «Mio padre faceva il falegname e dopo la guerra doveva vendere un armadio a Pugliese. La trattativa durò tre giorni». Ammette però: «Questa terra non è stata generosa con Oronzo». Orgoglioso, tenace e teatrale, Pugliese caricava i suoi calciatori come nessun altro. «Era un po’ il Nereo Rocco del Sud. Rocco parlava triestino, mio padre barese» ricorda Matteo Pugliese, secondogenito di don Oronzo. Il mago di Turi entrava in campo in giacca e cravatta, poi restava in camicia, strapazzava la giacca e infilava con scatto da centometrista la fascia laterale per incitare l’ala. Prima della partita - raccontano in paese, ma è più leggenda che storia - si riempiva le tasche di sale e lo spargeva accanto alla panchina affidando a qualcuno dei suoi il compito di gettarne una manciata dietro la porta. Era la terapia anti malocchio. «Ronzino, ma perché ti fissi con queste sciocchezze?» gli chiedevano gli amici. «Quanto costa un pacco di sale?» rispondeva lui. Era l’unica spesa folle che si permetteva. Al bar Iacovazzi di Turi ancora lo ricordano: «Entrava e diceva: chi mi offre un caffè?». Calciatore ordinario, fu allenatore tutt’altro che anonimo. Nel 1958-59 portò il Siena a un passo dalla serie B, poi modellò il suo capolavoro col Foggia (in quattro anni dalla C alla A, era il 1965), vinse il Seminatore d’Oro come migliore allenatore italiano. La tattica racchiusa nel proverbio «tu ti stai/io mi sto/me la chiedi/non te la do» funzionò la prima volta il 31 gennaio 1965. L’Inter era troppo forte per essere sfidata a viso aperto e don Oronzo spiegò furbescamente ai suoi che bisognava aspettare, guardare, studiare, senza esporsi al micidiale contropiede di Suarez e Peirò. Così il Foggia di Pugliese battè per tre a due lo squadrone dell’Inter. E quel giorno Oronzo Pugliese divenne «mago di Turi»: il mago dei poveri, alternativa contadina al mito di Helenio Herrera, il «mago» della grande Inter. Il duello durò a lungo. Fu idolo di Roma dal ”65 al ”68 e grande sostenitore di Capello. Nel 1967 i due si incontrarono nella Roma: Capello era una giovane promessa («un campioneeee» urlava Pugliese ai giornalisti). Allenando il Bari, fece miracoli. Una notte il difensore Pasquale Loseto, non riuscendo a dormire, uscì dalla stanza dell’albergo alla ricerca di un giornale e trovò il mister disteso nel corridoio: «Che fate don Oronzo?». E Pugliese, scattando in piedi: «Stavo facendo un po’ di flessioni». «Spiava sotto la porta delle camere per vedere se c’era la luce accesa. Qualcuno faceva tardi giocando a carte» sorride Loseto. Nato nel 1910 in una famiglia contadina di Turi, terra di vigne e ciliegie, vi morì nel 1990 dimenticato dal calcio ma scoperto (e lui non se ne accorse) dal cinema. Un suo corregionale di Canosa, Pasquale Zagaria, cioè Lino Banfi, nel 1984 portò sullo schermo «L’allenatore nel pallone», la prima parodia di Oronzo. Banfi non conosceva neppure Pugliese: gliene parlò durante un viaggio in treno il «barone» Niels Liedholm. Chissà se vedranno, a Turi, il secondo film e se penseranno a «Ronzino». Qui poco resta, del «mago di Turi». Una strada, un aneddoto. Nient’altro, neppure Cosimino. Era un tifoso fedelissimo. Ogni domenica seguiva il mago su tutti i campi d’Italia ma, timoroso, si faceva vivo solo alla fine delle partite vinte. Pugliese un giorno lo ringraziò: «Cosimino, devi venire più spesso, mi porti fortuna. Quando ci sei tu, vinco». Era furbo, don Oronzo: vinse contro Herrera più di chiunque altro, lanciò l’uomo che sarebbe poi diventato il manager dell’Inghilterra. Eppure il pavido Cosimino lo fregò, fino all’ultima partita. Nato nel 1910 a Turi, Oronzo Pugliese, esordì come allenatore del Leonzio di Lentini, dove veniva stipendiato con una cesta di arance. Divenne un mito con la Roma. Durante la presidenza di Franco Evangelisti gli fu assegnata la panchina, che tenne per tre stagioni, dal ”65 al ”68. Dopo allenò il Bologna e il Bari, che aveva sognato per una vita. Qui, con una squadra modesta, mise in campo tutto il suo repertorio, la grinta, e perfino il rituale del galletto - simbolo del Bari - liberato in campo prima della partita. Ma a Bari, con l’esonero alla ventitreesima giornata, cominciò il declino. Ci furono la Fiorentina, ancora il Bologna, poi l’Avellino e infine il Crotone. Don Oronzo si ritirò nel 1980.