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 2008  gennaio 02 Mercoledì calendario

ALFONSO CARAMAZZA


MASSIMO TURATTO
UNIVERSITA’ DI TRENTO
HARVARD UNIVERSITY
 una bellissima mattina d’estate e dalla finestra osservate il cielo di un azzurro intenso, mentre vi arriva il profumo del caffè. Esperienze così ordinarie nascondono in realtà uno dei più grandi misteri da spiegare, quello della qualità delle nostre esperienze sensoriali coscienti.
La scienza ha permesso scoperte incredibili, come il meccanismo del DNA, ma non sa ancora spiegare il «semplice» fatto di come sia possibile vedere un cielo azzurro. Ma dov’è il problema nel vedere il rosso di una rosa o nel sentire il dolore provocato da una ferita? Sono esperienze così naturali che sembrano non richiedere alcuna spiegazione.
Le cose, tuttavia, non sono affatto ovvie, dato che non è per nulla chiaro come sia possibile che scambi biochimici ed elettrici tra le cellule del cervello diano luogo all’esperienza del cielo azzurro. Non c’è infatti nulla di azzurro nel cielo né nel cervello stesso. L’azzurro, la musica o il sapore di un buon vino non sono proprietà date nel mondo esterno, dove esistono solo, rispettivamente, lunghezze d’onda elettromagnetica, variazione di pressione nell’aria e combinazioni molecolari organiche. E’ il cervello, misteriosamente, a generare da questi dati le esperienze corrispondenti, ma queste sono un evento così strettamente soggettivo che non possiamo esser sicuri che l’azzurro che vediamo corrisponda a quello visto da un’altro.
Paradossalmente, la «nostra» luce che noi definiamo azzurra potrebbe, in un’altra persona, generare un’esperienza simile a quello che noi definiremo rosso, ma entrambi abbiamo imparato a chiamare le due cose con lo stesso nome (azzurro, appunto). Quello che possiamo fare è assumere che la nostra esperienza cosciente sia la stessa che sta avendo la persona che guarda lo stesso cielo. Questo perché i nostri due cervelli, derivando dallo stesso processo evolutivo, sono fisiologicamente ed anatomicamente praticamente identici e, quindi, molto probabilmente generano esperienze coscienti simili.
Poiché la coscienza è un’esperienza puramente soggettiva, nessuno può avere la certezza che chi gli sta di fronte abbia le sue stesse esperienze coscienti e nemmeno che sia cosciente tout court. Pensate ad un computer, nemmeno troppo sofisticato, in grado di nominare i colori in base ad un sensore e ad un software appropriato. Possiamo dire che «vede» i colori? Sicuramente è in grado di distinguere una certa frequenza di luce da un’altra, ma non è per nulla certo che veda il colore così come lo vediamo noi. Analogamente, come sostenuto anche da Casati e Varzi, è teoricamente possibile che ci siano persone che si comportano come automi sofisticati, che prendono decisioni e agiscono senza esperienze coscienti, una sorta di «zombi».
Possiamo trovare l’idea dello zombi eccentrica, ma sostanzialmente implica la possibilità che ci possa essere un individuo, e quindi un cervello, che agisce senza processi coscienti. un’ipotesi così distante dalla realtà? Quando tocchiamo un’oggetto che scotta, ritiriamo immediatamente la mano senza pensarci, prima di avvertire coscientemente il dolore. In questo caso accettiamo che la nostra azione sia avvenuta in modo inconscio, perché la releghiamo ad una sorta di riflesso, che nulla condivide con la nostra vita mentale che ci sembra sempre cosciente.