Marco Belpoliti, La Stampa 2/1/2008, 2 gennaio 2008
I calendari sono tre. Quello appeso al muro di casa, che scandisce i mesi e insieme i cicli lunari, contiene i nomi dei santi del giorno
I calendari sono tre. Quello appeso al muro di casa, che scandisce i mesi e insieme i cicli lunari, contiene i nomi dei santi del giorno. Quello sul tavolo dello studio, più piccolo, evidenzia i giorni del mese disposti secondo lo schema settimanale, in modo da distinguere a colpo d’occhio i giorni feriali, in nero, da quelli festivi, stampigliati in rosso. Il terzo è l’agenda, da tenere in tasca o nella borsa: aperta si coglie a colpo d’occhio il piano della settimana (planing); i giorni feriali sono delle colonne con la sequenza delle ore, dalle 8 alle 21, la domenica è sotto, in orizzontale: dalle 8 solo sino alle 19. Questo in verità è il vero calendario, perché il ritmo settimanale, come spiega Jacques Le Goff, è la grande invenzione umana nel calendario. Tutta la nostra vita, affettiva e fantastica dipende dal calendario, ci ricorda lo storico medievale. Ma cos’è davvero un calendario? Un oggetto e insieme un’astrazione. La parola viene dal latino, calendarium, «libro dei conti»; gli interessi dei prestiti si pagavano alle calende, il primo giorno del mese degli antichi romani. Strumento per regolare il tempo della natura e insieme quello del lavoro, il tempo cosmico e quello umano, il tempo collettivo e quello individuale, il calendario è un oggetto scientifico e contemporaneamente un oggetto culturale. Legato alle credenze religiose, la sua origine è sacra, si regola sulle osservazioni astronomiche, tuttavia il tempo che scandisce è totalmente sociale. E ancora: il calendario è uno dei grandi strumenti ed emblemi del potere: chiunque voglia impadronirsi del tempo, allo stesso titolo dello spazio, scrive Georges Dumézil, manipola il calendario. Il calendario è il grande regolatore. Prima ancora dell’orologio: giorno, settimana, mese, anno. Come racconta in un recentissimo libro Leofranc Holford-Strevens (Storia del tempo, Codice Edizioni), il calendario tenta di mettere insieme cose che non stanno facilmente insieme: l’alternanza del giorno e della notte, la successione delle fasi lunari, i cicli stagionali, le ore e le settimane. Detto altrimenti, il calendario dipende dal tempo cosmico, quello dei moti celesti: la rotazione della Terra intorno a se stessa, la rotazione della Luna intorno alla Terra e soprattutto la rotazione della Terra intorno al Sole, durate che s’impongono alle società umane, per quanto ogni società recepisca, misuri e trasformi i differenti tempi secondo calendari che dipendono dalle loro strutture sociali e politiche, dai sistemi culturali ed economici, dagli strumenti tecnologici e scientifici. In Cina i calendari storici cercavano di conciliare i movimenti della Luna con quelli del Sole, che non sono però conciliabili in un medesimo calendario: quelli lunari non consentono di prevedere le stagioni, quelli solari non prevedono i pleniluni. Il calendario mussulmano era lunare, eppure Maometto impose un calendario di 12 mesi di trenta e ventinove giorni in modo alternati, così da raggiungere il totale di 354 giorni; in questo sistema i cicli di lunazione durano trent’anni. Per gli Ebrei il grande problema era la determinazione della data di Pasqua: doveva cominciare in un giorno di Luna piena al momento dell’equinozio di primavera. Il problema che il calendario cerca di risolvere è dunque quello del controllo del tempo naturale. La prima divisione che si presenta agli uomini è il giorno, ma si tratta di un’unità troppo piccola per consentire la verifica della durata. Per questo ci si rivolge alla Luna e al Sole. I nostri calendari sono l’effetto di due azioni di governo imposte da autorità politiche e insieme religiose: Giulio Cesare che nel 46 a.C., a Roma, fece riformare con l’aiuto dell’astronomo greco Sosigene il calendario romano; ordinò l’inserimento di due mesi, tra novembre e dicembre, per recuperare i giorni perduti in guerra: il 45 a.C. arrivò a 445 giorni, e con il 45 a.C. finì la confusione del calcolo del tempo annuale: l’anno ora durava 365 giorni invece di 355. Cesare istituì anche l’anno bisestile - il 2008 lo è - per mantenere la sincronia con le stagioni, in cui il 24 febbraio si ripeteva due volte: ante diem bis sextum Kalendas Martias, ovvero «due-volte-sesto giorno prima delle Calende di Marzo». Quindi toccò a papa Gregorio XII nel 1582, che fece coincidere l’equinozio, arrivato all’11 marzo, con il 21 del mese: ordinò che il giorno successivo al 4 ottobre fosse il 15, sopprimendo l’anno bisestile negli anni divisibili per 100, a meno che non fossero anche divisibili per 400. I paesi protestanti non accettarono la correzione del calendario e sino al Settecento rimase una sconnessione di date tra paesi cattolici e paesi luterani. Il problema delle due riforme era far coincidere le date del calendario religioso con quelle del calendario sociale, ma nonostante gli sforzi di entrambi i legami tra calendario e liturgia, calendario e potere religioso, finirono per allentarsi in parallelo alla laicizzazione del potere politico. L’anno è l’unità fondamentale del calendario, misura stessa della vita umana, eppure la sua diffusione non è stata rapida e facile. Il calendario pone quattro problemi: quello dell’inizio dell’anno (non ancora uniforme nel mondo), quello del ritmo scandito dai bilanci economici nelle società moderne, il problema dell’anno come unità di computo della vita umana (François Villon nel 1461, racconta Francesco Maiello in Storia del calendario, Einaudi, non conosceva con precisione la sua età) e quello dell’anno in quanto «data», punto di riferimento dei fatti storici. I nostri calendari hanno separato il tempo dallo spazio, relegando la scansione stagionale a un’altra classificazione: la meteorologia. Per i popoli antichi le stagioni sono sempre state due: calda e fredda, oppure secca e umida; il trionfo della cultura occidentale le ha portate a quattro. Dei calendari a nostra disposizione quello settimanale è dunque il più importante. Certo, la scansione mensile è significativa, anche per i suoi risvolti economici (stipendi, affitti), ma è la sequenza settimanale a imporre il proprio ritmo. Lo hanno inventato gli ebrei, come racconta Evian Zerubavel in Ritmi nascosti (il Mulino), e sono stati i monaci benedettini a tramandarlo. La vita monastica era una macchina collettiva che doveva funzionare alla perfezione. I benedettini hanno comunicato la loro mentalità utilitaristica all’Occidente: l’agenda tascabile è figlia della loro visione pratica della vita quotidiana. Prima del calendario c’era l’almanacco - significa: «l’anno prossimo» - con pronostici, predizioni astrologiche, proverbi (mile Biémont, Ritmi del tempo, Zanichelli), però l’avvenire continuava a sfuggire ai medievali e ai primi moderni. Sino al 1650, i calendari erano perpetui, previsti per una durata indefinita. Nel 1657 Mariette produsse in Francia il primo calendario variabile. Nel 1756 Linneo ebbe l’idea di mettere al posto dei santi il fiore che sbocciava in quel giorno. Tre secoli e mezzo per addomesticare il tempo che oggi ci appare frantumato in unità sempre più piccole. Attraverso gli strumenti elettronici, calendari virtuali, cerchiamo spasmodicamente di manipolare il tempo. Una partita persa: il calendario fratto, e insieme moltiplicato dentro le nostre tasche, implacabile ci domina.