www.vatican.va, 2 gennaio 2008
Agli sposi cristiani 25. E ora la nostra parola si rivolge più direttamente ai nostri figli, particolarmente a quelli che Dio chiama a servirlo nel matrimonio
Agli sposi cristiani 25. E ora la nostra parola si rivolge più direttamente ai nostri figli, particolarmente a quelli che Dio chiama a servirlo nel matrimonio. La chiesa, mentre insegna le esigenze imprescrittibili della legge divina, annunzia la salvezza e apre con i sacramenti le vie della grazia, la quale fa dell’uomo una nuova creatura, capace di corrispondere nell’amore e nella vera libertà al disegno del suo Creatore e Salvatore e di trovare dolce il giogo di Cristo. Gli sposi cristiani, dunque, docili alla sua voce, ricordino che la loro vocazione cristiana iniziata col battesimo si è ulteriormente specificata e rafforzata col sacramento del matrimonio. Per esso i coniugi sono corroborati e quasi consacrati per l’adempimento fedele dei propri doveri, per l’attuazione della propria vocazione fino alla perfezione e per una testimonianza cristiana loro propria di fronte mondo. Ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità «e la soavità della legge che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della vita umana. Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita». Ma la speranza di questa vita deve illuminare il loro cammino, mentre coraggiosamente si sforzano di vivere con saggezza, giustizia e pietà nel tempo presente, sapendo che la figura di questo mondo passa. Affrontino quindi gli sposi i necessari sforzi, sorretti dalla fede e dalla speranza che «non delude, perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori con lo Spirito santo, che ci è stato dato»; implorino con perseverante preghiera l’aiuto divino; attingano soprattutto nell’eucaristia alla sorgente della grazia e della carità. E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita con abbondanza nel sacramento della penitenza. Essi potranno in tal modo realizzare la pienezza della vita coniugale descritta dall’apostolo: «Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa (...). I mariti devono amare le loro mogli come il proprio corpo. Amare la moglie, non è forse amare se stesso? Ora nessuno mai ha odiato la propria carne, che anzi la nutre e la cura, come fa Cristo per la chiesa (...). Grande è questo mistero, voglio dire riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma per quel che vi concerne, ognuno ami la sua moglie come se stesso e la moglie rispetti il proprio marito». Apostolato tra i focolari 26. Tra i frutti che maturano da un generoso sforzo di fedeltà alla legge divina, uno dei più preziosi è che i coniugi stessi non di rado provano il desiderio di comunicare ad altri la loro esperienza. Viene così a inserirsi nel vasto quadro della vocazione dei laici una nuova e notevolissima forma dell’apostolato del simile da parte del simile: sono gli sposi stessi che si fanno apostoli e guide di altri sposi. Questa è senz’altro tra tante forme di apostolato una di quelle che oggi appaiono più opportune. Ai medici e al personale sanitario 27. Abbiamo in altissima stima i medici e i membri del personale sanitario ai quali, nell’esercizio della loro professione, più di ogni interesse umano, stanno a cuore le superiori esigenze della loro vocazione cristiana. Perseverino dunque nel promuovere in ogni occasione le soluzioni, ispirate alla fede e alla retta ragione, e si sforzino di suscitarne la convinzione e il rispetto nel loro ambiente Considerino poi anche come proprio dovere professionale quello d’acquistare tutta la scienza necessaria in questo delicato settore, al fine di poter dare agli sposi che li consultano i saggi consigli e le sane direttive, che questi da loro a buon diritto aspettano. Ai sacerdoti 28. Diletti figli sacerdoti, che per vocazione siete i consiglieri e le guide spirituali delle singole persone e delle famiglie, ci rivolgiamo ora a voi con fiducia. Il vostro primo compito - specialmente per quelli che insegnano la teologia morale - è di esporre senza ambiguità l’insegnamento della chiesa sul matrimonio. Siate i primi a dare, nell’esercizio del vostro ministero, l’esempio di un leale ossequio, interno ed esterno, al magistero della chiesa. Tale ossequio, ben lo sapete, obbliga non solo per le ragioni addotte, quanto piuttosto a motivo del lume dello Spirito santo, del quale sono particolarmente dotati i pastori della chiesa per illustrare la verità. Sapete anche che è di somma importanza, per la pace delle coscienze e per l’unità del popolo cristiano, che, nel campo della morale come in quello del dogma, tutti si attengano al magistero della chiesa e parlino uno stesso linguaggio. Perciò con tutto il nostro animo vi rinnoviamo l’accorato appello del grande apostolo Paolo: «Vi scongiuro, fratelli, per il nome di nostro signore Gesù Cristo, abbiate tutti uno stesso sentimento, non vi siano tra voi divisioni, ma siate tutti uniti nello stesso spirito e nello stesso pensiero». 29. Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Redentore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare, ma per salvare, egli fu certo intransigente con il male, ma paziente e misericordioso verso i peccatori. Nelle loro difficoltà, i coniugi ritrovino sempre nella parola e nel cuore del sacerdote l’eco della voce e dell’amore del Redentore. Parlate poi con fiducia, diletti figli, ben convinti che lo Spirito santo di Dio, mentre assiste il magistero nel proporre la dottrina, illumina internamente i cuori dei fedeli, invitandoli a dare il loro assenso. Insegnate agli sposi la necessaria via della preghiera, e istruiteli convenientemente, affinché ricorrano spesso e con grande fede ai sacramenti dell’eucaristia e della penitenza, e perché mai si scoraggino a motivo della loro debolezza. Ai vescovi 30. Cari e venerabili fratelli nell’episcopato, con i quali condividiamo più da vicino la sollecitudine del bene spirituale del popolo di Dio, a voi va il nostro pensiero riverente e affettuoso al termine di questa enciclica. A tutti rivolgiamo un pressante invito. A capo dei vostri sacerdoti, cooperatori del sacro ministero, e dei vostri fedeli, lavorate con ardore e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre più vissuto in tutta la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti responsabilità nel tempo presente. Essa comporta, come sapete, un’azione pastorale concertata in tutti i campi della attività umana, economica, culturale e sociale: solo infatti un miglioramento simultaneo in questi vari settori permetterà di rendere non solo tollerabile, ma più facile gioconda la vita dei genitori e dei figli in seno alle famiglie, più fraterna e pacifica la convivenza nell’umana società, nella rigorosa fedeltà al disegno di Dio sul mondo. APPELLO FINALE 31. Venerati fratelli, dilettissimi figli, e voi tutti, uomini di buona volontà, grande è l’opera di educazione, di progresso e di amore alla quale vi chiamiamo, basati sulla fermissima dottrina della chiesa, di cui il successore di Pietro è, con i suoi fratelli nell’episcopato cattolico, fedele depositario e interprete. Opera grande in verità, ne abbiamo l’intima convinzione, per il mondo come per la chiesa, giacché l’uomo non può trovare la vera felicità, alla quale aspira con tutto il suo essere, se non nel rispetto delle leggi iscritte da Dio nella sua natura e che egli deve osservare con intelligenza e amore. Su quest’opera noi invochiamo, come su voi tutti, e in modo speciale sugli sposi, l’abbondanza delle grazie di Dio santissimo e misericordiosissimo, in pegno delle quali vi diamo la nostra benedizione apostolica. Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa di san Giacomo apostolo, 25 luglio dell’anno 1968, sesto del nostro pontificato.