Sergio Rizzo, Corriere della Sera 31/12/2007, 31 dicembre 2007
ROMA – L’Italia, dice Romano Prodi, è ripartita. Il deficit pubblico è al 2% del Pil, l’economia va
ROMA – L’Italia, dice Romano Prodi, è ripartita. Il deficit pubblico è al 2% del Pil, l’economia va. Non corre, ma va. Le tensioni nel centrosinistra, anche quelle lasciano il tempo che trovano. Chi cospira al Senato contro il governo per farne un altro sappia che alla Camera la maggioranza è forte. E non sarà facile rovesciarla. Infine, la ciliegina sulla torta dell’Alitalia. «Abbiamo compiuto un passo importante – rivendica il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa ”, per risolvere un problema che si trascinava da vent’anni». Ma nei prossimi due mesi ne vedremo delle belle. Ne è consapevole, ministro? «Troppo a lungo la politica ha sfruttato la situazione dell’Alitalia per il proprio tornaconto. Ora non poteva più continuare». In Lombardia sono furenti. «Mi spiace che la reazione pubblica di Roberto Formigoni sia stata così accesa. Non aiuta ad affrontare una vicenda di cui sia noi sia il presidente della Regione conosciamo bene origine e difficoltà ». Non crede che la cessione di Alitalia ad Air France-Klm renderà ancora più esplosiva la questione settentrionale? «Il problema del Nord esiste e guai a ignorarlo. Bisogna rendere alla Lega il merito storico di averlo imposto all’attenzione del Paese, pur con eccessi. Ci sono almeno tre ragioni reali. Il Nord sopporta da decenni il costo delle politiche per il Mezzogiorno senza vedere grandi risultati; subisce l’inefficienza della pubblica amministrazione; è paralizzato dalla carenza di infrastrutture. In questi mesi non mi sono sfuggite le implicazioni che la soluzione della crisi dell’Alitalia può avere per il Nord». Con quale risultato? «Ho sperato che l’Alitalia venisse acquistata da un consorzio di imprenditori del Nord, soluzione che ho molto caldeggiato. Il fondo Tpg ha cercato un partner del Nord ma senza trovarlo. stata una delusione. Il problema di Malpensa non è né Alitalia né Air France: nasce da insufficienti infrastrutture di accesso e proliferazione di aeroporti vicini. Con il sindaco di Milano, Letizia Moratti, azionista di Sea, sono stato in contatto in queste settimane perché credo che la soluzione della vicenda Alitalia vada accompagnata a una prospettiva seria per quello scalo. Affronteremo insieme i problemi di Malpensa e di Sea. Ci sarà una seria interlocuzione ». Giovedì le hanno spedito un proiettile. la seconda volta. «Un fatto senza significato. Per fortuna le probabilità che un proiettile invece di essere spedito venga sparato sono bassissime». Quindi non è preoccupato. «Non per l’episodio in sé. Ma c’è da chiedersi: come mai dopo una Finanziaria positiva, dopo aver avviato a soluzione una faccenda annosa come quella dell’Alitalia, come mai invece di distendersi, il clima si fa ancora più teso? ». Lei come se lo spiega? «Sicuramente c’è una responsabilità della maggioranza. In Europa ho visto Paesi usciti dalle elezioni con margini anche inferiori al nostro, nel voto popolare e in Parlamento. Ma è come se in questa coalizione esistesse, purtroppo, un impulso di autodistruzione. Come se non si volesse vedere che il crogiuolo in cui sono state versate posizioni diverse ha prodotto buone sintesi politiche, corrispondenti all’interesse del Paese ». Ne citi qualcuna. «Abbiamo assunto nuovi impegni in Libano e siamo usciti dall’Iraq. Abbiamo trovato risorse per pensioni basse e incapienti e insieme risanato i conti. Siamo intervenuti con rigore sulla sicurezza, ma con attenzione rafforzata alle istanze sociali. Ebbene, invece di rivendicare il valore di queste sintesi, ognuno ne prende le distanze: come se l’accordo raggiunto fosse un fatto negativo. Questo inquietante impulso autodistruttivo, però, non è imputabile solo alla coalizione». Forse ciò che accade nel centrosinistra è lo specchio del Paese. «Sì, un impulso autodistruttivo pervade la società italiana, la sua classe dirigente, le categorie, il mondo dell’informazione. Non conosco Paesi dove ogni sera tutti i partiti di opposizione intimano al telegiornale che il governo si deve dimettere...». Siamo tutti sull’orlo di una crisi di nervi? «Siamo intossicati dalla mancanza di continuità. Abbiamo continue crisi di astinenza dal cambiamento e perciò non riusciamo a fare cambiamenti veri. Ero in Germania quando Gerhard Schröder divenne cancelliere. Il primo anno fu difficilissimo, ma nessuno si sognò di esigere nuove elezioni. Alla scadenza, fu rieletto». Ma in questa maggioranza ci si prende a pesci in faccia dal primo giorno. «Ognuno vorrebbe più attenzione per le proprie istanze: la sinistra, Dini, altre componenti della maggioranza. Osservano che la parte che sta loro più a cuore è incompiuta? Bene, vuol dire che 20 mesi di governo non bastano, ci vogliono cinque anni!». E questo basterebbe a garantire lunga vita al governo Prodi. «I momenti di irrazionalità collettiva esistono e possono essere molto pericolosi. Ma l’irrazionalità è molto nella mente di chi segue il dibattito politico ». Si riferisce all’informazione? «Anche. E in generale al modo con cui l’Italia guarda a se stessa. Non siamo più nel 600, quando eravamo governati dagli stranieri. Ora l’Italia è governata dagli italiani. Milano ha Roma come capitale, non Vienna. Eppure ci si comporta come se il Paese fosse ancora governato da estranei. Il passato governo era in gran parte lombardo, ma questo non ha impedito che la finanza pubblica si deteriorasse. Abbassare le tasse aumentando il deficit è facile, ma dura poco». Per lei invece le tasse sono bellissime. Non ha detto così? «Nell’aprile del 2004, quando il governo di allora disse che avrebbe tagliato le tasse, scrissi sul Corriere un fondo intitolato Elogio delle tasse, nel quale argomentavo che le imposte sono il pilastro della convivenza civile e che tagliare le tasse significa diminuire spese e servizi pubblici. Lo riscriverei tale e quale». Proprio sicuro? «Sicurissimo. In 20 mesi abbiamo solo ripristinato il livello delle entrate ❜❜ Il problema del Nord esiste. La Lega ha il merito storico di averlo imposto all’attenzione, pur con eccessi. Non mi sono sfuggite le possibili implicazioni della soluzione alla crisi Alitalia per quest’area del Paese ROMA – L’Italia, dice Romano Prodi, è ripartita. Il deficit pubblico è al 2% del Pil, l’economia va. Non corre, ma va. Le tensioni nel centrosinistra, anche quelle lasciano il tempo che trovano. Chi cospira al Senato contro il governo per farne un altro sappia che alla Camera la maggioranza è forte. E non sarà facile rovesciarla. Infine, la ciliegina sulla torta dell’Alitalia. «Abbiamo compiuto un passo importante – rivendica il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa ”, per risolvere un problema che si trascinava da vent’anni». Ma nei prossimi due mesi ne vedremo delle belle. Ne è consapevole, ministro? «Troppo a lungo la politica ha sfruttato la situazione dell’Alitalia per il proprio tornaconto. Ora non poteva più continuare». In Lombardia sono furenti. «Mi spiace che la reazione pubblica di Roberto Formigoni sia stata così accesa. Non aiuta ad affrontare una vicenda di cui sia noi sia il presidente della Regione conosciamo bene origine e difficoltà ». Non crede che la cessione di Alitalia ad Air France-Klm renderà ancora più esplosiva la questione settentrionale? «Il problema del Nord esiste e guai a ignorarlo. Bisogna rendere alla Lega il merito storico di averlo imposto all’attenzione del Paese, pur con eccessi. Ci sono almeno tre ragioni reali. Il Nord sopporta da decenni il costo delle politiche per il Mezzogiorno senza vedere grandi risultati; subisce l’inefficienza della pubblica amministrazione; è paralizzato dalla carenza di infrastrutture. In questi mesi non mi sono sfuggite le implicazioni che la soluzione della crisi dell’Alitalia può avere per il Nord». Con quale risultato? «Ho sperato che l’Alitalia venisse acquistata da un consorzio di imprenditori del Nord, soluzione che ho molto caldeggiato. Il fondo Tpg ha cercato un partner del Nord ma senza trovarlo. stata una delusione. Il problema di Malpensa non è né Alitalia né Air France: nasce da insufficienti infrastrutture di accesso e proliferazione di aeroporti vicini. Con il sindaco di Milano, Letizia Moratti, azionista di Sea, sono stato in contatto in queste settimane perché credo che la soluzione della vicenda Alitalia vada accompagnata a una prospettiva seria per quello scalo. Affronteremo insieme i problemi di Malpensa e di Sea. Ci sarà una seria interlocuzione ». Giovedì le hanno spedito un proiettile. la seconda volta. «Un fatto senza significato. Per fortuna le probabilità che un proiettile invece di essere spedito venga sparato sono bassissime». Quindi non è preoccupato. «Non per l’episodio in sé. Ma c’è da chiedersi: come mai dopo una Finanziaria positiva, dopo aver avviato a soluzione una faccenda annosa come quella dell’Alitalia, come mai invece di distendersi, il clima si fa ancora più teso? ». Lei come se lo spiega? «Sicuramente c’è una responsabilità della maggioranza. In Europa ho visto Paesi usciti dalle elezioni con margini anche inferiori al nostro, nel voto popolare e in Parlamento. Ma è come se in questa coalizione esistesse, purtroppo, un impulso di autodistruzione. Come se non si volesse vedere che il crogiuolo in cui sono state versate posizioni diverse ha prodotto buone sintesi politiche, corrispondenti all’interesse del Paese ». Ne citi qualcuna. «Abbiamo assunto nuovi impegni in Libano e siamo usciti dall’Iraq. Abbiamo trovato risorse per pensioni basse e incapienti e insieme risanato i conti. Siamo intervenuti con rigore sulla sicurezza, ma con attenzione rafforzata alle istanze sociali. Ebbene, invece di rivendicare il valore di queste sintesi, ognuno ne prende le distanze: come se l’accordo raggiunto fosse un fatto negativo. Questo inquietante impulso autodistruttivo, però, non è imputabile solo alla coalizione». Forse ciò che accade nel centrosinistra è lo specchio del Paese. «Sì, un impulso autodistruttivo pervade la società italiana, la sua classe dirigente, le categorie, il mondo dell’informazione. Non conosco Paesi dove ogni sera tutti i partiti di opposizione intimano al telegiornale che il governo si deve dimettere...». Siamo tutti sull’orlo di una crisi di nervi? «Siamo intossicati dalla mancanza di continuità. Abbiamo continue crisi di astinenza dal cambiamento e perciò non riusciamo a fare cambiamenti veri. Ero in Germania quando Gerhard Schröder divenne cancelliere. Il primo anno fu difficilissimo, ma nessuno si sognò di esigere nuove elezioni. Alla scadenza, fu rieletto». Ma in questa maggioranza ci si prende a pesci in faccia dal primo giorno. «Ognuno vorrebbe più attenzione per le proprie istanze: la sinistra, Dini, altre componenti della maggioranza. Osservano che la parte che sta loro più a cuore è incompiuta? Bene, vuol dire che 20 mesi di governo non bastano, ci vogliono cinque anni!». E questo basterebbe a garantire lunga vita al governo Prodi. «I momenti di irrazionalità collettiva esistono e possono essere molto pericolosi. Ma l’irrazionalità è molto nella mente di chi segue il dibattito politico ». Si riferisce all’informazione? «Anche. E in generale al modo con cui l’Italia guarda a se stessa. Non siamo più nel 600, quando eravamo governati dagli stranieri. Ora l’Italia è governata dagli italiani. Milano ha Roma come capitale, non Vienna. Eppure ci si comporta come se il Paese fosse ancora governato da estranei. Il passato governo era in gran parte lombardo, ma questo non ha impedito che la finanza pubblica si deteriorasse. Abbassare le tasse aumentando il deficit è facile, ma dura poco». Per lei invece le tasse sono bellissime. Non ha detto così? «Nell’aprile del 2004, quando il governo di allora disse che avrebbe tagliato le tasse, scrissi sul Corriere un fondo intitolato Elogio delle tasse, nel quale argomentavo che le imposte sono il pilastro della convivenza civile e che tagliare le tasse significa diminuire spese e servizi pubblici. Lo riscriverei tale e quale». Proprio sicuro? «Sicurissimo. In 20 mesi abbiamo solo ripristinato il livello delle entrate ❜❜ Il problema del Nord esiste. La Lega ha il merito storico di averlo imposto all’attenzione, pur con eccessi. Non mi sono sfuggite le possibili implicazioni della soluzione alla crisi Alitalia per quest’area del Paese ROMA – L’Italia, dice Romano Prodi, è ripartita. Il deficit pubblico è al 2% del Pil, l’economia va. Non corre, ma va. Le tensioni nel centrosinistra, anche quelle lasciano il tempo che trovano. Chi cospira al Senato contro il governo per farne un altro sappia che alla Camera la maggioranza è forte. E non sarà facile rovesciarla. Infine, la ciliegina sulla torta dell’Alitalia. «Abbiamo compiuto un passo importante – rivendica il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa ”, per risolvere un problema che si trascinava da vent’anni». Ma nei prossimi due mesi ne vedremo delle belle. Ne è consapevole, ministro? «Troppo a lungo la politica ha sfruttato la situazione dell’Alitalia per il proprio tornaconto. Ora non poteva più continuare». In Lombardia sono furenti. «Mi spiace che la reazione pubblica di Roberto Formigoni sia stata così accesa. Non aiuta ad affrontare una vicenda di cui sia noi sia il presidente della Regione conosciamo bene origine e difficoltà ». Non crede che la cessione di Alitalia ad Air France-Klm renderà ancora più esplosiva la questione settentrionale? «Il problema del Nord esiste e guai a ignorarlo. Bisogna rendere alla Lega il merito storico di averlo imposto all’attenzione del Paese, pur con eccessi. Ci sono almeno tre ragioni reali. Il Nord sopporta da decenni il costo delle politiche per il Mezzogiorno senza vedere grandi risultati; subisce l’inefficienza della pubblica amministrazione; è paralizzato dalla carenza di infrastrutture. In questi mesi non mi sono sfuggite le implicazioni che la soluzione della crisi dell’Alitalia può avere per il Nord». Con quale risultato? «Ho sperato che l’Alitalia venisse acquistata da un consorzio di imprenditori del Nord, soluzione che ho molto caldeggiato. Il fondo Tpg ha cercato un partner del Nord ma senza trovarlo. stata una delusione. Il problema di Malpensa non è né Alitalia né Air France: nasce da insufficienti infrastrutture di accesso e proliferazione di aeroporti vicini. Con il sindaco di Milano, Letizia Moratti, azionista di Sea, sono stato in contatto in queste settimane perché credo che la soluzione della vicenda Alitalia vada accompagnata a una prospettiva seria per quello scalo. Affronteremo insieme i problemi di Malpensa e di Sea. Ci sarà una seria interlocuzione ». Giovedì le hanno spedito un proiettile. la seconda volta. «Un fatto senza significato. Per fortuna le probabilità che un proiettile invece di essere spedito venga sparato sono bassissime». Quindi non è preoccupato. «Non per l’episodio in sé. Ma c’è da chiedersi: come mai dopo una Finanziaria positiva, dopo aver avviato a soluzione una faccenda annosa come quella dell’Alitalia, come mai invece di distendersi, il clima si fa ancora più teso? ». Lei come se lo spiega? «Sicuramente c’è una responsabilità della maggioranza. In Europa ho visto Paesi usciti dalle elezioni con margini anche inferiori al nostro, nel voto popolare e in Parlamento. Ma è come se in questa coalizione esistesse, purtroppo, un impulso di autodistruzione. Come se non si volesse vedere che il crogiuolo in cui sono state versate posizioni diverse ha prodotto buone sintesi politiche, corrispondenti all’interesse del Paese ». Ne citi qualcuna. «Abbiamo assunto nuovi impegni in Libano e siamo usciti dall’Iraq. Abbiamo trovato risorse per pensioni basse e incapienti e insieme risanato i conti. Siamo intervenuti con rigore sulla sicurezza, ma con attenzione rafforzata alle istanze sociali. Ebbene, invece di rivendicare il valore di queste sintesi, ognuno ne prende le distanze: come se l’accordo raggiunto fosse un fatto negativo. Questo inquietante impulso autodistruttivo, però, non è imputabile solo alla coalizione». Forse ciò che accade nel centrosinistra è lo specchio del Paese. «Sì, un impulso autodistruttivo pervade la società italiana, la sua classe dirigente, le categorie, il mondo dell’informazione. Non conosco Paesi dove ogni sera tutti i partiti di opposizione intimano al telegiornale che il governo si deve dimettere...». Siamo tutti sull’orlo di una crisi di nervi? «Siamo intossicati dalla mancanza di continuità. Abbiamo continue crisi di astinenza dal cambiamento e perciò non riusciamo a fare cambiamenti veri. Ero in Germania quando Gerhard Schröder divenne cancelliere. Il primo anno fu difficilissimo, ma nessuno si sognò di esigere nuove elezioni. Alla scadenza, fu rieletto». Ma in questa maggioranza ci si prende a pesci in faccia dal primo giorno. «Ognuno vorrebbe più attenzione per le proprie istanze: la sinistra, Dini, altre componenti della maggioranza. Osservano che la parte che sta loro più a cuore è incompiuta? Bene, vuol dire che 20 mesi di governo non bastano, ci vogliono cinque anni!». E questo basterebbe a garantire lunga vita al governo Prodi. «I momenti di irrazionalità collettiva esistono e possono essere molto pericolosi. Ma l’irrazionalità è molto nella mente di chi segue il dibattito politico ». Si riferisce all’informazione? «Anche. E in generale al modo con cui l’Italia guarda a se stessa. Non siamo più nel 600, quando eravamo governati dagli stranieri. Ora l’Italia è governata dagli italiani. Milano ha Roma come capitale, non Vienna. Eppure ci si comporta come se il Paese fosse ancora governato da estranei. Il passato governo era in gran parte lombardo, ma questo non ha impedito che la finanza pubblica si deteriorasse. Abbassare le tasse aumentando il deficit è facile, ma dura poco». Per lei invece le tasse sono bellissime. Non ha detto così? «Nell’aprile del 2004, quando il governo di allora disse che avrebbe tagliato le tasse, scrissi sul Corriere un fondo intitolato Elogio delle tasse, nel quale argomentavo che le imposte sono il pilastro della convivenza civile e che tagliare le tasse significa diminuire spese e servizi pubblici. Lo riscriverei tale e quale». Proprio sicuro? «Sicurissimo. In 20 mesi abbiamo solo ripristinato il livello delle entrate ❜❜ Il problema del Nord esiste. La Lega ha il merito storico di averlo imposto all’attenzione, pur con eccessi. Non mi sono sfuggite le possibili implicazioni della soluzione alla crisi Alitalia per quest’area del Paese combattendo l’evasione fiscale. Abbiamo dovuto correggere il mezzo magico, illusorio, dello spendere a credito. E il recupero dell’evasione va tanto bene che con questa Finanziaria abbiamo cominciato a restituire risorse agli italiani ». E adesso? Ho letto questa sua dichiarazione: «Niente più tesoretti». Che ci dobbiamo aspettare? «Non ho detto che non c’è più nulla da restituire. Ma i proventi della lotta all’evasione non saranno più restituiti nella forma una tantum in cui l’abbiamo fatto quest’anno. Nei prossimi tre anni dobbiamo andare a regime, rendendo ai contribuenti tutto quello che eccede una pressione fiscale ormai stabilizzata ». Sarà possibile? «Spero lo sia, ma ricordiamoci che ogni mese dobbiamo pagare oltre sei miliardi di interessi per il debito. Un tesoretto ogni trenta giorni se ne va in fumo così». Perfino i sindacati chiedono di tagliare le tasse ai lavoratori dipendenti per alzare salari che sono i più bassi d’Europa. «Il settore privato ha due tasche: la tasca dell’impresa e quella del lavoratore. Negli ultimi anni la prima si è gonfiata a sfavore della seconda. La tasca di Pantalone non c’entra. Di per sé, la modifica della distribuzione del reddito non può essere caricata sui contribuenti. Ma se lo Stato è capace di costare meno e recuperare imposte evase è giusto che, oltre a ridurre il debito e a portare il bilancio in pareggio, attenui il carico fiscale nel quadro di un accordo con le parti sociali su produttività e crescita». Proprio quello che chiede Lamberto Dini. Per il quale il governo Prodi è arrivato al capolinea. «Dini ha governato dal ’94 al ’96 superando una grave crisi del cambio e facendo una riforma delle pensioni che ha reso il nostro sistema previdenziale fra i migliori d’Europa. Il governo Prodi si muove in quei due solchi: risanamento dei conti, recupero e integrazione della sua riforma pensionistica. Non vedo contraddizione fra le istanze di Dini e l’azione del governo. Sul deficit pubblico l’impegno era fare il 2,8%. Avevamo puntato al 2,4%. Siamo intorno al 2%». Per la verifica di gennaio Prodi deve temere di più lui o Fausto Bertinotti? «Lei dice temere: non ho mai visto in Prodi momenti di paura, ma invece calma, tenacia e continuità di azione, in un mondo che non è calmo né ama la calma. Sono da temere soltanto gli impulsi autodistruttivi non accompagnati da una visione costruttiva. questo il vero pericolo per la società italiana; di questo c’è da avere paura. Senza un solido ancoraggio con l’Europa sarebbero le condizioni tipiche che conducono un Paese verso il caos e la svolta autoritaria. Questo dobbiamo temere: tutti, non soltanto Prodi. Purtroppo non abbiamo ricavato dalla storia la stessa lezione della Germania». Due Paesi usciti distrutti dalla guerra e dalla dittatura. «Ma che ne hanno tratto lezioni opposte. La Germania: mai più governi deboli, come era stato quello di Weimar. L’Italia: mai più governi forti. Ora si potrebbe dire che siamo noi a correre il rischio di Weimar e non rendercene conto è pericolosissimo». Bella prospettiva... «Il principio di non avere mai più governi forti si è tradotto, per tutta la prima repubblica, in una vita media dei governi inferiore a un anno. La pubblica amministrazione si è difesa dall’instabilità lavorando da sola, rendendo pletorici gli uffici, in parte perdendo il costume di una corretta interpretazione della sua dipendenza dal governo politico». Governi brevi, ma sempre gli stessi partiti al potere. Una stabilità senza precedenti. «Ma la continuità del potere era nel partito. Una situazione più simile a quella sovietica che da Occidente. Ecco, la cosa che mi colpisce di più e che ho potuto sperimentare di persona è quanto si sia indebolito il potere dello Stato». Sperimentare di persona? «Una cosa normalissima come la sostituzione di un consigliere Rai di nomina dell’azionista e del capo di una Forza armata, prerogativa di qualunque governo, è stata vista come un fatto dirompente. Non li ho sostituiti subito, secondo una logica politica: ho atteso di vederli operare». Poi però le sostituzioni di Angelo Maria Petroni e Roberto Speciale sono state entrambe bocciate dal Tar. Come sono stati possibili questi due clamorosi infortuni? «Non me lo chiedo solo io. Il ministero e il governo avevano acquisito formalmente e informalmente i più accreditati pareri giuridici e di procedura. Che ci sia stato qualcosa che non ha superato la validazione dei magistrati di primo grado è un fatto. Ma sarei insincero dicendo di aver colto nelle sentenze una contrarietà di sostanza». Come giudica le nostre banche l’ex vicedirettore della Banca d’Italia, ex presidente Consob, ex membro del board della Bce? «Dopo l’epoca in cui la pretesa difesa dell’italianità aveva portato magri risultati, in un paio d’anni sono nate in Italia due delle prime cinque banche europee. Questo è avvenuto per le energie liberate nel sistema grazie anche alla linea seguita dal nuovo Governatore della Banca d’Italia. Il fatto che Mario Draghi presieda il Financial Stability Forum è prova che la sua azione è riconosciuta anche all’estero». Ma i consumatori continuano a lamentarsi. Non hanno forse ragione di farlo? «Constato che, rispetto ai suoi predecessori, questo Governatore è stato spesso critico con le banche. Anch’io, in passato, ho formulato critiche: secondo me la sfida della qualità dei servizi al cliente è ancora da vincere. L’accordo Patti chiari è forse il migliore d’Europa. Ma anche a me riesce più facile prelevare all’estero che in Italia, dove il bancomat mi dice spesso che non può darmi un soldo. Per conquistare clienti si deve rinunciare a qualche rendita di posizione...». La famosa concorrenza? «Già. Ma spesso la responsabilità sta dalla parte dei consumatori. I clienti italiani si lamentano molto, ma poi sono pazienti e un po’ pigri. La concorrenza la mette in moto chi compra, non chi vende». «I giovani sono i primi a sostenere il costo del debito, a soffrire l’assenza di protezioni sociali, a subire la sproporzione fra le pensioni cui contribuiscono e quelle che riceveranno». Parole sue, pronunciate il 31 ottobre. Ma non eravamo il Paese dei bamboccioni? «Un gesto verbale efficace deve suscitare reazioni. C’è chi ha voluto travisare. Non ho mai voluto accusare i giovani, tantomeno quelli in condizioni disagiate. Non vedo contraddizione nel sostenere che si è vittime di una situazione e al contempo responsabili che le cose non cambino. Spetta ai giovani cambiare le cose. Recentemente ho rivisto i Vitelloni: erano i bamboccioni del Dopoguerra, quando il reddito pro capite era un quinto di quello di oggi. Ciononostante, Federico Fellini non voleva certo giustificarli...». Sergio Rizzo