Michele Farina, Corriere della Sera 31/12/2007, 31 dicembre 2007
BAGDAD
Dovrebbe esserci una tomba fresca accanto al tappeto di fiori dove sfilano poche centinaia di nostalgici di Saddam Hussein nel primo anniversario della sua impiccagione. I bambini recitano la vecchia canzone: «Con il nostro sangue, con la nostra anima sacrificheremo la vita per te o Saddam ». Ci dovrebbe essere ma non c’è. E questo è forse il segno che qualcosa sta cambiando in Iraq.
La tomba mancante aspetta la malanima di Ali il Chimico, cugino del dittatore, condannato a morte tre mesi fa per aver gasato i curdi. Secondo la legge irachena l’esecuzione doveva compiersi entro fine novembre. Il giudice del Tribunale che l’ha messo a morte, Mohammed al Kalifa, ha detto al Corriere
che Ali il Chimico «presto sarà giustiziato, inshallah ». A Dio piacendo: impiccato con altri due gregari (compreso l’ex ministro della Difesa Sultan Hashim). Ma a Bagdad molti scommettono sulla loro sopravvivenza. Gli americani rifiutano di consegnarli alle autorità irachene. «Ora gli invasori sono nostri alleati contro gli sciiti» ridacchia Abu Omar. Questo autista di al-Mansur ha tenuto per mesi sul telefonino una suoneria con brani dell’ultima udienza, con la vocina di Saddam che sibila «all’inferno l’America».
«Non mi interessa cosa pensano di me oggi, mi interessa cosa penseranno tra 400 anni» diceva il Raìs. Ne è passato uno e Abu Omar ha cambiato suoneria (ha un brano di Shakira): «Non va più di moda». Saddam non è più una bandiera neppure per i capi tribù della sua terra natale, Tikrit, nelle campagne lungo il Tigri dove fu catturato nel dicembre 2003 sdraiato in un tombino. Quando lo tirarono fuori disse «sono il presidente dell’Iraq, voglio trattare». La sua gente l’ha preso in parola. Quattro anni (e cento mila morti dopo) hanno cominciato a trattare. Cosa penserebbe Saddam della Sahwa, il movimento del «risveglio»? Da Anbar a Tikrit, da Bagdad al Triangolo della Morte, 70 mila sunniti pagati dagli americani per combattere Al Qaeda. «Non credo che il Raìs li vedrebbe come traditori », dice al telefono Abdul Kader, 45 anni, ex pilota di caccia che oggi a Tikrit vende dolci e sigarette dalla finestra di casa. «La Sahwa ci protegge dai terroristi che vengono dall’estero». Ma è alleata con gli invasori. «Così se ne andranno prima. Presto gli americani lasceranno il fiume di sangue che hanno scavato».
Un fiume meno fondo. Il governo ha reso noto un bilancio del 2007: 18 mila iracheni uccisi. Sei volte le vittime dell’11 settembre, più di 4 volte i soldati Usa morti in Iraq dal 2003. Ma gli attacchi della guerriglia sono drasticamente diminuiti, ha detto il generale Abdul Khalaf: «A febbraio la media era di 25 al giorno. A dicembre abbiamo registrato talvolta un solo attacco. Quale occasione migliore, per i gruppi ancora attivi, dell’anniversario dell’impiccagione di Saddam. Ieri la polizia era in stato di allerta. Invece è stata una giornata tranquilla. Nel quartiere di Hadamiya, roccaforte sunnita anch’essa pattugliata dai miliziani della Sahwa, hanno diffuso volantini firmati Baath, partito-regime ora fuorilegge: «Ricordiamo il crimine dell’assassinio del Raìs, compiuto dagli americani e dagli agenti iraniani che sono al governo».
Oggi volantini, un anno fa bombe. A Tikrit le autorità hanno imposto un inutile coprifuoco. In mattinata verso il mausoleo di Al Owja, il villaggio natale dove nacque ed è sepolto il dittatore, c’è stato un piccolo pellegrinaggio. Fiori, bandiere, preghiere e vibranti discorsi di circostanza. I ritratti dell’ex Raìs sorridente sparsi nella grande sala. Poche centinaia di persone (molti bambini) hanno reso omaggio allo «zio Saddam» nel luogo dove sono sepolti anche i figli, Uday e Qusay, uccisi dai soldati del generale David Petraeus nel luglio 2003. L’allora capo delle Aquile Urlanti della 101esima è oggi il comandante della forza (sempre meno) multinazionale in Iraq, dal gennaio 2007 artefice di quella che lui stesso ieri ha definito una «sostanziale» ma «fragile » riduzione della violenza. C’è una foto di Petraeus sulla scrivania di Abu Abed, ex ufficiale dei servizi segreti di Saddam, poi guerrigliero della «resistenza » e ora a capo del «Risveglio» sunnita nel quartiere di Ameriya a Bagdad, fino a pochi mesi fa centrale dei miliziani (in gran parte iracheni) che si richiamano a Osama Bin Laden. La pistola alla cintura è quella del primo capo di Al Qaeda che Abu Abed ha ucciso quest’anno, dopo aver smesso di attaccare (con l’Esercito Islamico in Iraq) le pattuglie Usa e i soldati iracheni.
Abu Abed non sarà processato. Anzi. Accumula denaro e gagliardetti ricordo dagli americani. D’altra parte, se Al Qaeda qui sta perdendo, è grazie anche agli Abu Abed che hanno cambiato nemico. «Abbiamo distrutto Al Qaeda al 75%», proclama il ministro dell’Interno iracheno. Petraeus è più cauto. Anche se cita un dettaglio illuminante: «I terroristi hanno difficoltà a trovare benzina». Serbatoi vuoti, mancanza di appoggi. Terra bruciata. Non è un caso se Osama, nell’ultimo messaggio audio, ha condannato la Sahwa chiedendo ai sunniti di «non collaborare con gli infedeli». Gli sceicchi che siedono nel Consiglio del Risveglio Sunnita a Tikrit hanno risposto: «Anziché lanciare proclami a noi, Osama dovrebbe ordinare ai suoi seguaci di smettere di uccidere iracheni innocenti ». Attacco a Osama, silenzio su Saddam nell’anniversario della morte. E’ il messaggio che viene da Tikrit. Qualcosa è cambiato in Iraq. nelle loro celle a Camp Cropper, Ali il Chimico e Sultan Hashim ringraziano.