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 2007  dicembre 31 Lunedì calendario

TORINO

Lo sapevano i medici, lo temeva la famiglia. Ieri alle 13.40, anche Giuseppe Demasi, 26 anni, l’unico operaio della ThyssenKrupp ad essere sopravvissuto al rogo del 6 dicembre è morto al reparto grandi ustionati del Cto. In segno di lutto il Comune di Torino ha cancellato tutte le feste del Capodanno in piazza.
Giuseppe aveva ustioni sul 90 per cento del corpo: le statistiche erano contro di lui. Ma fino all’ultimo la madre Rosina, il padre Calogero, la sorella Laura hanno sperato in un miracolo e gli hanno parlato attraverso il microfono nel vetro che lo divideva dal mondo. Hanno sperato e pregato i suoi compagni, che venerdì hanno sfilato per una fiaccolata in quattrocento sotto le finestre dell’ospedale.
E i medici: «Sapevamo di essere sulla lama di un coltello – dice il primario Maurizio Stella ”, ma il coraggio di questa famiglia ci ha sostenuti nella battaglia. Giuseppe è morto senza soffrire e senza riprendere conoscenza ». Ora, i morti sono sette. Sette, cioè tutti gli operai che in quella tragica notte sono stati investiti dall’onda di fuoco che si è sprigionata sulla linea 5 dell’acciaieria. Soltanto Antonio Boccuzzi, il giovane col volto bruciato che da tre settimane non cessa di parlare nelle piazze e davanti alle telecamere per ricordare i suoi compagni, è scampato alla tragedia. Una strage che poteva essere evitata, se anche su quella linea fossero stati inseriti i dispositivi di sicurezza presenti altrove, come lo spegnimento e il blocco automatico delle macchine in caso di incendio. Soltanto Antonio Schiavone, la prima vittima, 36 anni e tre bambini piccoli, è morto in fabbrica: il primo filmato dei vigili del fuoco documenta la sua tragedia e mostra come le fiamme lo hanno travolto, impedendogli di fuggire. Roberto Scola, 32 anni, aveva due bambini, l’ultimo di diciotto mesi: quando arrivò in ospedale era cosciente a chiedeva di vederli, ma se ne è andato all’alba del 7 dicembre. Due figli e ustioni sul 95 per cento del corpo aveva anche Angelo Laurino, 43 anni, morto poche ore dopo, mentre Bruno Santino, scomparso il giorno dopo, aveva soltanto 26 anni, come Giuseppe, e sognava di licenziarsi per gestire un bar con Anna, la fidanzata. Suo padre Antonio, operaio in pensione, è diventato uno dei simboli della tragedia: è lui l’uomo che grida in prima fila nei cortei, lui quello che piange sul sagrato del Duomo alla fine dei funerali. Rocco Marzo era il «vecchio» capoturno, 54 anni: è morto il 16, lasciando moglie e due figli, le fiamme lo avevano travolto mentre si trovava per caso nel reparto, a parlare con i «suoi» ragazzi. Tre giorni dopo ha ceduto anche Rosario Rodinò, 26 anni come i due giovani compagni: per cercare di salvarlo lo avevano portato a Genova in elicottero, ma è stato inutile. E ieri Giuseppe si è aggiunto all’elenco. «Un’ombra grava sul nostro Natale, sul Natale di tutti i torinesi – ha detto celebrando la messa del 24 dicembre il cardinale Severino Poletto ”. Morti come queste scuotono le nostre coscienze e ci impongono di pregare e di agire perché simili tragedie non accadano mai più».
V. S.