Sergio Romano, Corriere della Sera 31/12/2007, 31 dicembre 2007
Basterebbe chiedere a qualche insegnante (tra quelli senza tessera), per capire l’origine del decadimento della scuola italiana
Basterebbe chiedere a qualche insegnante (tra quelli senza tessera), per capire l’origine del decadimento della scuola italiana. Fu il ministro Berlinguer che, con l’introduzione del sistema dei crediti e debiti formativi, consentì agli studenti la possibilità di essere promossi anche nel caso di apprendimento zero di alcune materie. Così oggi può succedere, nel liceo classico, che venga promosso uno studente che abbia deciso che il greco sia materia da buttare, o, nell’istituto tecnico commerciale, che la ragioneria esuli dai propri interessi. Gli insegnanti, privati della funzione di giudicare e di distinguere i buoni dai cattivi, sono sempre più inascoltati e, di conseguenza, sfiduciati; gli studenti migliori sono delusi nelle loro aspettative. Gli effetti del disimpegno sono sotto gli occhi di tutti, ma politici e sindacalisti, uniti da una invalicabile rete di omertà, fanno finta di niente. Lei che ne pensa? Alberico Iacometti Grosseto Caro Iacometti, A nche a me il sistema dei crediti non piace, ma dubito che la riforma Berlinguer possa essere considerata la causa del declino della scuola italiana. Sono passati più di tre decenni ormai dall’epoca in cui la licenza liceale era un vero esame e contribuiva a selezionare la classe dirigente nazionale. So che i giornali, all’inizio dell’estate, dedicano all’avvenimento grande attenzione e continuano a trattare la maturità come la grande cerimonia iniziatica del popolo italiano. Ma possiamo chiamare «esame» una prova che promuove ogni anno poco meno del 97 per cento dei candidati? So che lo stesso accade, per esempio, negli Stati Uniti dove il diploma di High School, se possibile, è ancora meno significativo. E so che vi sono parecchi Paesi in cui la scuola media è soltanto la «scuola per tutti», il luogo dove il ritmo e la qualità dell’apprendimento sono inevitabilmente determinati dalla ruota più lenta del carro. Ma sono Paesi in cui la selezione comincia più tardi ed è generalmente piuttosto efficace. I sistemi educativi, caro Iacometti, si dividono infatti, con molte varianti, in due grandi categorie. Vi sono quelli che selezionano alla fine della scuola media e quelli che selezionano più tardi. Per mezzo secolo, dalla riforma Gentile del 1923 agli anni Settanta, l’Italia ha scelto i suoi quadri dirigenti grazie a un esame, la licenza liceale, che aveva l’effetto, tra l’altro, di eliminare lungo la strada coloro che si accorgevano di non avere le forze o la voglia necessarie per raggiungere il traguardo. Superato l’ostacolo, i promossi potevano entrare liberamente nelle facoltà universitarie dove portavano con sé il bagaglio di una preparazione abbastanza seria e rigorosa. Negli stessi anni, invece, altri Paesi preferivano trattenere agli studi fino ai 18 anni il maggior numero possibile di ragazzi e selezionare gli studenti universitari con esami d’ammissione o, ancora più drasticamente, con il criterio del «numero chiuso». E’ probabile che il secondo metodo sia meglio del primo, ma ciò che maggiormente conta è l’esistenza di un imbuto, quale che sia il punto dove è collocato. L’Italia della scuola pubblica non ha più l’imbuto della licenza liceale, ma non si è mai risolta ad adottare esplicitamente, salvo qualche eccezione, l’imbuto dell’accesso agli studi universitari. Anziché essere l’unico mezzo per dare a un Paese la classe dirigente di cui ha bisogno, la «selezione» è diventata una brutta parola, condannata, più o meno ipocritamente, dai partiti di massa, dai loro rappresentanti in Parlamento, dai sindacati e persino da molti docenti. Il risultato è un numero considerevole di università mediocri dove la qualità dell’istruzione è di poco superiore a quella dei buoni licei di un tempo. Naturalmente la selezione esiste sempre, ma funziona in modo casuale, disordinato, spesso ingiusto e comunque dannoso per il Paese. Molti lasciano gli studi alla spicciolata, dopo avere inutilmente affollato per qualche anno le aule e i corridoi della facoltà a cui si erano iscritti: sono i naufraghi del sistema educativo italiano. Altri, delusi dalla qualità dell’insegnamento, vanno a completare gli studi in un altro Paese. I primi entrano mal preparati nella società nazionale. Gli altri, spesso, restano all’estero.