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 2007  dicembre 31 Lunedì calendario

LOS ANGELES

Anche il cinema è in guerra e non certo solo a Hollywood. Sono sotto accusa gli Oscar per il regolamento inadeguato rispetto al nuovo mondo globalizzato, la distribuzione è in crisi ovunque schiacciata dai multiplex occupati dai blockbuster, la difesa dell’identità cultural-nazionale crea serie difficoltà perché il prodotto autoctono non riesce a reggere per tutto l’anno il box office quando nessuno in Europa può permettersi produzioni ciclopiche né aiuti pubblici capaci di garantire continuità. Il malessere è forte e gira un’amara battuta a Hollywood non solo a proposito dello sciopero degli scrittori: «So quello che voglio, so chi sono i miei potenziali alleati, ma non so chi sono i miei nemici».
Dietro i 152 milioni di dollari persi sino a ora a causa dello sciopero della Writers Guild, il sindacato che riunisce gli scrittori americani di cinema e di tv contro l’Amptp (Alliance of Motion Picture and Television Producers), si nascondono i veleni e problemi che hanno intossicato nel 2007 Hollywood e, ovunque, il mondo industriale e creativo.
Dice Robert Benton, il grande regista e scrittore: «Nessuno di noi sa chi gestisce le corporation degli studios o delle mini- majors. Oppure dei cosiddetti rami di qualità degli studios che mirano a prevendere i film d’autore quindi, a incassare denaro liquido evitando poi in ogni territorio straniero le spese di distribuzione». Conferma Mel Brooks, scrittore-regista-produttore: «Mai Hollywood ha attraversato una crisi complessa come questa. Il futuro mi pare carico di incognite sempre più profonde in tutto il mondo». Francis Coppola, che ha visto il suo film Un’altra giovinezza
uscire in un numero ridotto di schermi, dichiara: «Il cinema sta attraversando una complessa e incerta trasformazione produttiva, distributiva, mediatica». Tom Hanks, che da ultimo si è impegnato come produttore di piccoli film di qualità e con Spielberg per mini-serie d’argomento storico, aggiunge: «Un tempo, anche se i banchieri stavano a New York, il potere creativo era in mano a Hollywood. Oggi il potere degli scrittori e autori e anche di noi attori e del vecchio star system vale poco. Per quanto riguarda l’identità culturale, è più facile che risponda a questi requisiti un buon tv movie o un serial, che magari proponendo la Guerra Civile Usa poi chiama a raccolta a casa propria la platea».
Non la pensa diversamente nei fatti Spielberg, che si appresta a maggio a lanciare il suo blockbuster annunciato Indiana Jones,
mentre la sua Dreamworks, indipendente a parole, ma sotto l’ala della corporation Viacom-Paramount, produce perlopiù horror e commedie non sofisticate.
Il mondo del cinema chiama in causa le co-produzioni con Paesi esteri per film che perdono ogni identità culturale, le produzioni ciclopiche con budget stellari, la fuga dall’America delle produzioni verso i meno cari Canada o i paesi dell’Est Europeo e Taiwan (e si incolpa la Writers Guild anche di non chiedere garanzie per la difesa in patria dei posti di lavoro).
Sono sotto accusa gli interessi dei diversi sindacati che portano avanti trattative in modo autonomo con l’Alliance of Motion Picture and Television Producers. Robert Redford, che ha visto naufragare al box office il suo Leoni per agnelli e che il 17 gennaio aprirà il suo coraggioso Sundance Festival 08, dice: «E’ difficile far sopravvivere un film di qualità. Noi con il Sundance ci proviamo, lanciamo film come
The Savages e tanti altri, ma per un
Little Miss Sunshine che parzialmente vince la sua partita, opere di valore vengono spazzate via da un sistema produttivo e distributivo che priva il cinema Usa della sua più ricca e e colta identità».
E’ guerra su tutti i fronti e proprio in questi giorni Michael Apted, presidente della Directors Guild, ha annunciato che il suo sindacato non aspetterà la conclusione delle trattative della Writers Guild e che inizierà a dialogare con il «nemico » dato che i contratti dei sindacati dei registi e degli attori scadono il 30 giugno. Ieri , poi, la Writers Guild ha annunciato di aver raggiunto un accordo autonomo con il David Letterman Show, che potrà da questa settimana riprendere a usare i propri scrittori. L’apertura potrebbe rompere un fronte sempre meno unitario.
Vengono confermati i Golden Globe e gli Oscar per le serate del 13 gennaio e del 24 febbraio, ma l’Academy è nell’occhio del ciclone per l’esclusione dai film stranieri di
Il cacciatore di aquiloni di Marc Forster, Lussuria - Seduzione e tradimento
di Ang Lee, Lo scafandro e la farfalla di Schnabel, che continua a generare polemiche perché «non ha più senso oggi parlare di "miglior film in lingua straniera" e non di "miglior film straniero"». L’Academy ribatte che Taiwan non ha scelto il film di Ang Lee e la Francia ha selezionato Persepolis enon il film di Schnabel, girato in francese e co-prodotto da più Paesi mentre
Il cacciatore di aquiloni, distribuito da una major, non è stato presentato da alcun Paese.
La categoria dei migliori film in lingua straniera, che doveva difendere l’identità culturale, rivela tutte le sue contraddizioni. Gli autori che, come in Spagna, si battono per una identità culturale, hanno più che mai bisogno di aperture produttive e distributive in una Europa che non riesce a trovare unità contro Hollywood, ora sotto accusa ma sempre necessaria.
Giovanna Grassi