Vari 31/12/2007, 31 dicembre 2007
VARI ARTICOLI SULLA SUCCESSIONE A BENAZIR BHUTTO
LA REPUBBLICA 31/12/2007
FRANCESCA CAFERRI
DAL NOSTRO INVIATO
ISLAMABAD - Un ragazzo timido e nervoso, vestito dei colori del lutto, che si sforza in tutti i modi di contenere l´emozione e di tenere alto lo sguardo di fronte alle telecamere è da ieri sera la nuova speranza del Pakistan. Bilawal Bhutto, 19 anni, figlio primogenito di Benazir è stato scelto per ricoprire la carica che fino a quattro giorni fa occupava la madre: presidente del Partito del popolo, la più grande formazione politica del paese. E stato il padre, Asif Ali Zardari, a dare l´annuncio della successione: «Lunga vita a Benazir, lunga vita a Bilawal. Benazir è viva», hanno urlato in coro i sostenitori del Ppp non appena Zardari ha pronunciato il nome del figlio. Bilawal ha sorriso poco convinto: Benazir è morta, lo sa benissimo, altrimenti non sarebbe toccato a lui, studente di Scienze politiche a Oxford, sedere sulla poltrona centrale della residenza di famiglia a Naudari, circondato dal padre, dalla zia e dai dignitari del partito.
Le mani passate prima fra i capelli e poi sugli occhiali, le labbra serrate, pallido in volto, ieri Bilawal - che per accontentare i sostenitori più accaniti della famiglia ha abbandonato il cognome del padre, Zardari, per prendere quello della madre - non ha cercato di convincere nessuno di essere pronto per l´incarico, ma ha promesso che raccoglierà l´eredità materna quando verrà il momento: «Mia madre ha sempre detto che la miglior vendetta è la democrazia», si è sforzato di dire con tono deciso, parlando in inglese. Poi ha ringraziato tutti per la fiducia, ricordato di dover completare gli studi prima di assumere l´incarico in maniera effettiva e rapidamente ha passato il microfono al padre, che ha risposto al suo posto alle domande. «Anche se è il presidente del partito, vi prego di ricordare che è solo un ragazzo. E che siamo in lutto», ha detto Asif Ali Zardari ai giornalisti che si accalcavano.
Con la designazione del nuovo vertice - accanto a Bilawal siederanno Zardari e il braccio destro della madre, Makhdoom Amin Fahim, che reggeranno il partito fino a quando il giovane finirà l´università - e con l´annuncio che prenderà comunque parte alle elezioni - che al momento restano fissate per l´8 gennaio - il Ppp tenta dunque di traghettarsi nel difficile dopo-Benazir: «Invitiamo tutti ad andare a votare, e a votare contro il partito degli assassini», ha detto, riferendosi al presidente Musharraf, Zardari, passato in poche ore dal ruolo di vedovo distrutto a quello di fermo custode delle ultime volontà della moglie. Proprio lui, il marito noto con il soprannome di «Mister 10%» per la fama di corruzione che lo circonda, la Bhutto aveva indicato in una lettera-testamento scritta due giorni prima di rientrare in patria, come suo erede politico: ma Zardari ha preferito passare la fiaccola direttamente al figlio, probabilmente per evitare di spaccare un paese e un partito che non lo amano affatto.
Un passaggio simbolico, più che reale: Bilawal ha 19 anni, da un anno può votare ma per altri sei, secondo la legge pachistana, non potrà essere eletto in Parlamento. E un ragazzo timido, distrutto per la perdita della madre: inoltre conosce poco il Pakistan, che ha lasciato da bambino.
Eppure solo lui può riuscire nel compito di non disperdere l´eredità materna in un paese dove il nome pesa ancora più dell´esperienza e delle capacità: «è il figlio di Benazir, per noi c´è solo lui, aspetteremo che cresca - dice Omar Faroq, un uomo alto e robusto che si commuove fino alla lacrime quando lascia i suoi fiori e la sua candela davanti all´altare per Benazir allestito nella sede del Ppp a Islamabad - del resto, tanti anni fa anche lei è stata scelta a causa di suo padre».
Paradossi di un partito che vuole incarnare l´anima più democratica del Pakistan ma che ancora è governato sulla base di principi feudali: «Suo nonno era ministro degli Esteri a 24 anni, lui può essere il leader a 19», spiega convinto Humain Zamen, membro del comitato centrale del Ppp, una delle ultime persone a vedere la Bhutto viva, arrivato ieri mattina a Rawalpindi per deporre un enorme mazzo di fiori nel punto dove giovedì ha visto la sua leader cadere, colpita a morte. «Ha deciso lei, era una donna forte, coraggiosa e saggia: noi accettiamo la sua scelta, perché sapeva cosa faceva», lo interrompe Shebaz Khan, meccanico, anch´egli in pellegrinaggio sul luogo dell´attentato.
All´annuncio della designazione nella sede di Islamabad, come in tutto il paese, i sostenitori del Ppp si sono lasciati andare in un applauso liberatorio. Per un secondo la tensione di questi giorni ha lasciato spazio al sollievo, ma nella stanzetta adibita a sala delle condoglianze la sensazione di benessere è durata poco: «Bibi non tornerà - dice un uomo, dopo aver ascoltato il breve discorso di Bilawal in tv - possiamo solo sperare che lui le assomigli almeno un po´».
LA REPUBBLICA 31/12/2007
ELENA DUSI
Bilawal Bhutto sarà il trascinatore del Partito Popolare Pachistano alle elezioni (eventuali). Troppo fragile è però la sua figura politica per reggere il peso di una nazione come il Pakistan, con i suoi labirinti e trappole mortali. Nonostante il baratro aperto dall´assassinio di Benazir Bhutto, non è priva di spiragli la lettura degli eventi di Hasan Askari Rizvi, docente alla Punjab University di Lahore e alla John Hopkins University di Washington, autore di "Esercito, stato e società in Pakistan".
Qual è il suo parere su Bilawal?
« comprensibile che il Partito popolare abbia scelto lui come leader. Così si crea continuità con la politica di Benazir e si può cavalcare l´onda di emotività sollevata dall´assassinio. Il giovane erede della dinastia Bhutto saprà trasformare il suo pesante cognome in voti, sempre che le elezioni non vengano annullate nelle prossime ore».
Non hanno dunque perso lucidità, i vertici del Partito, nonostante il caos del momento.
«La rapidità e la decisione con cui Bilawal è stato scelto come successore sono un segnale positivo. Ora il Partito popolare ha tutte le carte in regola per vincere le elezioni».
Il giovane Bhutto si ritroverebbe addosso una responsabilità immensa.
«Non sarà lui a governare. Ha solo 19 anni, è uno studente cresciuto all´estero. Deve completare la sua formazione e non ha neanche l´età per essere eletto in parlamento: il minimo è 25 anni. Alle sue spalle nel partito ci sono però il padre e due o tre uomini con tutte le carte in regola per navigare tra le insidie della politica pachistana. Il primo fra tutti e Makhdoom Amin Fahim, che è già stato indicato come il candidato premier del Partito popolare».
Chi è Amin Fahim?
«Un politico moderato, originario del Sindh ma accolto con favore anche nelle altre regioni del Pakistan. Nemmeno i militari storcono il naso di fronte al suo nome, e questo non è un fattore da poco. Proviene da una famiglia di politici, in passato è stato più volte membro dell´esecutivo e conosce bene i meccanismi del potere di Islamabad. Musharraf nel 2002 gli propose perfino la poltrona di primo ministro, ma il Partito popolare gli vietò di accettare».
Lo scenario del Pakistan ora è un po´ meno oscuro?
«Capire cosa accadrà rimane sempre molto difficile. Il partito popolare ha risolto senza problemi la questione della leadership dopo la morte di Benazir Bhutto. Ma il nodo principale rimane quello delle elezioni. A questo punto, dalla decisione di svolgerle oppure annullarle dipende buona parte del futuro del Pakistan».
CORRIERE DELLA SERA
FRANCESCO BATTISTINI
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
ISLAMABAD – E venne il giorno del Piccolo Bhutto. La scelta è fatta: a sfidare uno dei presidenti più impresentabili della Terra, la vecchia volpe Musharraf, ecco presentarsi il figlio primogenito di Benazir, l’agnellino Bilawal, tenero nome che significa «uno senza eguali» ed è invece l’eterna riedizione del rampollo svagato richiamato dall’esilio d’oro per tenere in piedi la baracca di famiglia, un po’ come Saad Hariri in Libano o Bashar Assad in Siria. Seduto da laureando, stordito da mille abbracci, Bilawal non è un Bhutto nel cognome, ma ai microfoni si mostra più Bhutto che mai. Principe della dinastia, il principiante è il terzo erede politico designato, dopo nonno Alì e mamma Benazir.
Papà Asif lo mostra alla conferenza stampa nella casa di Naudero, pochi chilometri dalla tomba della statista. Gli lascia giusto il tempo di proclamare una storica frase: «La democrazia sarà la nostra vendetta! », con la voce che s’increspa sulla vendetta.
Appena partono le domande è il padre a zittirlo, però, spiegando al posto suo che «Bilawal è ancora in tenera età e noi, vi prego, siamo ancora in lutto...».
Il generale e il ragazzino: affidereste l’atomica a un militare golpista o a un diciannovenne occhialuto? L’alternativa non è così apocalittica come sembra. Musharraf fa il presidente del Pakistan sul serio e Bilawal Zardari farà il presidente del Ppp, il Partito popolare pakistano, ma per finta: non abita in Pakistan dal ’99, non ha i 25 anni per entrare in Parlamento e poi era mamma a volere che finisse gli studi di scienze politiche a Oxford, si dedicasse ai cavalli e alla caccia, continuasse con la sua cintura nera di taekwondo, crescesse fra Dubai e Londra... Bilawal è nato un mese prima che BB diventasse premier, la prima donna a guidare un Paese musulmano; è incoronato tre giorni dopo la sua morte, primo ragazzino a comandare gli Uomini Puri. «Non ci tiene molto a entrare in politica», confida l’amica Sherry Rehman. In realtà i giochi sono altri. Ci sarà un candidato premier, il consigliere Makhdum Amin Fahim.
E c’è un co-presidente, ossia il vero leader del Ppp, e lo farà Asif Zardari, 51 anni, il chiacchierato vedovo che BB aveva indicato nel testamento politico, un sindhi ricco di terre e affamato di lusso: Asif ha fatto un passo indietro, non potendosi permettere sermoni morali al regime corrotto, ma già s’atteggia a capo.
Se lo sarà, si vedrà. Oggi la commissione governativa decide sul voto dell’8 gennaio. Il partito di Musharraf è per un rinvio di 6-8 settimane. Asif convince l’alleato Nawaz Sharif a non boicottare le urne e dice che si deve votare regolarmente. Gli chiedono perché s’ostini a rifiutare l’autopsia sulla moglie: «Vivo da molto tempo in questo Paese, so come vanno le cose...». Invoca da Onu e Gran Bretagna una commissione d’inchiesta internazionale sul caso Bhutto: a Islamabad è in arrivo Kouchner, ministro di Sarkozy. «BB chiese inutilmente scorte armate a tutti», racconta Asif: aveva assoldato bodyguard americane della Blackwater, inglesi dell’Armor Group, perfino israeliane, ma il governo aveva negato loro il visto. Perché? E perché Benazir era così poco protetta? E perché la polizia non ha ancora fornito una ricostruzione dell’attentato? Ogni ora c’è una canzone che passa su radio e tv. La cantano tutte le popstar pakistane ed è contro il terrorismo. S’intitola «Yeh hum naheen», non siamo questo. No, non sono questo. Cliccate il video sul web e sarete d’accordo: questo Paese merita altro.
Asif Ali Zardari, 51 anni (a sinistra), il marito di Benazir, ha un passato di playboy.
Asif discende da una famiglia distante per mezzi e prestigio dai Bhutto. Sposò Benazir nel 1987 in un matrimonio combinato dalle loro madri.
Lo chiamano «mister dieci per cento», con riferimento alle accuse di corruzione