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 2007  dicembre 31 Lunedì calendario

dal nostro inviato MARIO CALABRESI La leggenda, che da queste parti non si stancano di ripetere, vuole che d´estate, se fermi la macchina in mezzo alla pianura sterminata e resti in silenzio tra i campi tu possa sentire il rumore del mais che cresce fino a tre metri d´altezza

dal nostro inviato MARIO CALABRESI La leggenda, che da queste parti non si stancano di ripetere, vuole che d´estate, se fermi la macchina in mezzo alla pianura sterminata e resti in silenzio tra i campi tu possa sentire il rumore del mais che cresce fino a tre metri d´altezza. Piantagioni di granturco a perdita d´occhio, capaci di sfamare i maiali di tutta America, di plasmare la politica agricola americana e cambiare il prezzo della spesa ad ogni latitudine del mondo dopo aver preso la strada dei biocarburanti. Ora però si vede solo la neve. Cielo e terra, entrambi di un bianco lattiginoso, sembrano una cosa sola. Non c´è l´orizzonte. A dare il senso delle proporzioni solo i puntini neri delle mucche che non si capisce cosa possano pascolare nel gelo e i silos delle 89mila fattorie. I grandi cilindri di mattoni con la copertura argentata fanno il paesaggio, sono le cattedrali del granaio d´America. iamo qui, come centinaia di giornalisti da ogni parte del mondo, perché qui c´è la genesi di tutto, qui parte la corsa, qui si mettono in fila i concorrenti per la Casa Bianca. In uno Stato grande quanto mezza Italia, ma con solo tre milioni d´abitanti, in cui tutta la terra disponibile è coltivata: tolte le strade, le case, le scuole, e i campi da football, tutto il resto è agricoltura. Da noi i campi occupano un terzo del territorio, qui il novanta per cento: solo così l´Iowa è il primo produttore americano di mais e di soia ed è lo Stato che cresce più maiali e sforna più uova. Qui giovedì si terranno i caucus, parola di origine indiana che significa «assemblea», le riunioni serali di due o tre ore in cui pubblicamente ognuno dirà chi vuole vedere candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Andranno a votare in centomila ma, grazie al fatto di essere i primi, otterrano ancora una volta benefici assolutamente sproporzionati al loro peso reale: nuovi sussidi all´agricoltura e ai biocarburanti, anche in anni in cui la terra e le coltivazioni hanno raggiunto valori record. Per questo tutti i candidati sono qui da settimane e ci sono venuti decine di volte in un anno. Per questo l´Iowa resta l´unico posto dove è possibile ancora il vecchio rito del porta a porta, dove ogni elettore ha tempo di conoscere tutti gli aspiranti alla Casa Bianca. Un reporter del Des Moines Register racconta di essere riuscito ad ascoltare un comizio di ogni candidato in soli 2 giorni, e ci sono pensionati appassionati che senza lasciare il proprio paesino hanno avuto l´occasione di stringere la mano e farsi fotografare con tutti: «Chiunque vinca - ci racconta la signora Paula a Denison, al termine di un comizio di Hillary - io potrò mettere sopra il camino la mia foto con il prossimo presidente». Siamo esattamente al centro degli Stati Uniti e questo ruolo di «kingmaker», di regista delle elezioni primarie, trova un senso anche nel fatto che la composizione sociale è rappresentativa dell´America intera: c´è un buon mix di conservatori e liberali, il reddito medio è in linea con quello del resto del Paese, anche se la popolazione qui è più vecchia e più bianca. Però hanno ottime università e leggono più giornali, tanto che il Financial Times ha scritto che questo è sufficiente da fargli meritare l´onore di essere i primi a votare. Ma il cuore di tutto è l´agricoltura. Joel Severinghaus lavora all´Iowa Farm Bureau, l´organizzazione che associa gli agricoltori. un´analista di mercati internazionali, mentre parla fa girare un mappamondo e con un dito disegna le rotte della soia, che da qui va in Cina per un miliardo e mezzo di dollari: «In tutt´America sta crescendo un sentimento protezionista ma non si rendono conto che il libero mercato ci permette di esportare un terzo di quello che coltiviamo in Messico e Canada?». Ci spiega che il loro lavoro è anche quello di convincere Washington e i candidati a continuare con la politica degli aiuti: «Solo il repubblicano John McCain, un uomo veramente coraggioso bisogna ammetterlo, ha avuto il coraggio di venire qui e fare un comizio in cui ha promesso che se diventerà presidente cancellerà ogni sussidio». Poi apre una cartina, questa volta dell´Iowa, e mi indica il futuro di questa terra: l´energia, e disegna il percorso della nuova frontiera. Mentre esco mi allunga una busta con un panino imbottito con il prosciutto crudo prodotto qui da un´azienda che si chiama La Quercia: «Lo so che è un azzardo offrire a un italiano un prosciutto dell´Iowa, ma ne siamo talmente fieri, e abbiamo studiato anni per riuscirci, che penso di potermelo permettere». Terribile ammetterlo, ma è buonissimo. E così scopro che questo stato agricolo importa dall´Italia vino, olio e parmigiano ed esporta trattori, alluminio e radio per aeroplani. Il viaggio nella nuova faccia dell´energia parte da uno dei 48 distributori E84 (Etanolo 84 per cento) dove ti mettono nel serbatoio il carburante figlio del mais. Per poter utilizzare la pompa ci vuole un´auto modificata che resista alla maggiore corrosione dell´alcool del biofuel. Troviamo un pick-up della Ford, ci spiegano che le case automobilistiche americane, sollecitate da Bush e dagli incentivi, hanno messo sul mercato decine di modelli e che è stato costruito un corridoio di distributori che permette di muoversi in tutto il Midwest, dall´Illinois al Minnesota. Un gallone di biocarburamte costa un terzo in meno e produce un quarto di energia in più della benzina tradizionale. Per trovare dove nasce basta salire a nord lungo l´autostrada 35, e nel paese di Nevada si trova la raffineria della Lincolnway Energy, che può produrre quasi 200milioni di litri di bioetanolo e biodiesel all´anno. Ma non c´è solo la benzina che nasce dal mais, incolpata di aver fatto salire i prezzi delle materie prime alimentari in tutto il mondo. All´altezza di Jefferson, mezz´ora d´auto più a est, un agricoltore ha messo in mezzo ai campi sette grandi pale eoliche per produrre energia con il vento del nord. Molti stanno seguendo l´esempio, tanto che l´Iowa è il secondo produttore di energia eolica dopo la California. I moderni mulini a vento si stanno moltiplicando, ma a Elk Horn, primo insediamento degli scandinavi nella prateria americana, ne troviamo uno autentico danese. I discendenti a metà degli Anni Settanta andarono in Europa e ne comprarono uno del 1848 ormai in disuso, lo smontarono e con lavoro durato due anni 300 volontari lo rimontarono. Se lo visiti ti regalano anche i biscotti alla cannella. A Sioux City, al confine con il Dakota, invece stanno costruendo una centrale che produrrà biodiesel bruciando gli scarti dei maiali, quelli che prima della "mucca pazza" erano mangime per gli animali. Ogni cittadino dell´Iowa sembra contento di essere interrogato dai giornalisti e investito da un attenzione spasmodica e da tonnellate di pubblicità. Oggi alla radio e in televisione le voci dei candidati negli spot si sentono più di quelle dei presentatori: Barack Obama ne ha già mandati in onda in tv 14mila, Hillary Clinton 11mila. I democratici, per catturare i centomila elettori che andranno a votare nei caucus, hanno già speso quasi 18 milioni di dollari, il doppio dei repubblicani. Si calcola che alla fine per ogni elettore i democratici avranno investito quasi 150 dollari. Uno solo ha scelto di fare affissioni, piazzando in mezzo alla prateria gelata grandi cartelloni in stile Berlusconi: è Ron Paul, un radicale repubblicano che, più deciso del Cavaliere, non dice «meno tasse per tutti» ma promette addirittura: «Fermerò l´ufficio delle tasse», neanche fosse Al Qaeda. Si sono viste pubblicità di ogni tipo: per Natale le figlie di Obama, Malia e Natasha che hanno otto e sei anni, hanno fatto gli auguri, ma poi quando hanno saputo che avrebbero passato anche il giorno di festa in Iowa sono scoppiate a piangere. Più fantasiosa Grace, la bambina di sei anni di Chris Dodd - altro candidato democratico che dopo l´estate ha addirittura scelto di trasferirsi con tutta la famiglia - , che alla notizia che non sarebbero tornati alla loro casa del Connecticut neppure il 24 dicembre ha chiesto alla mamma, insieme alla sorellina Christina, di avvisare Babbo Natale, preoccupata che la slitta trainata dalle renne sbagliasse indirizzo. Così sulla porta della loro casa di East Haddam è apparso un cartello con la scritta: «Caro Babbo Natale, noi quest´anno siamo in Iowa». E per essere più sicure, sulle finestre dell´appartamento affittato a Des Moines hanno attaccato un foglio scritto a pennarello: «Siamo qui Babbo Natale, le tue Grace e Christina». VITTORIO ZUCCONI Nella Siberia americana stretta fra i due grandi fiumi della prateria, il Mississippi e il Missouri, sotto sferzate che scendono senza ostacoli dal Polo Nord fino a meno 22 gradi centigradi e in pochi secondi trasformano lo sterco degli infiniti maiali in rocce, gli Stati Uniti d´America cominciano ormai da 36 anni la grande rappresentazione della loro democrazia presidenziale. L´Iowa, lo stato degli indiani «sonnacchiosi», come pare vada tradotto il loro nome ancestrale di Ioway, inaugura la stagione elettorale più solenne e più importante per l´America e per il mondo che nel novembre di ogni quadriennio elegge un presidente, con il rito antico, stravagante e tenero dei «caucus», dei consigli dei cittadini abbastanza coraggiosi da sfidare il crudele gennaio della grandi pianure per scegliere, ironicamente, un candidato che non conquisterà la corona. Un solo vincitore, nel palmares ormai quasi quarantennale di questi caucus (anch´essa parola di probabile origine indiana, per «riunione, consiglio, suggerimento») è arrivato alla Casa Bianca, e non ebbe molta fortuna come capo dello stato. Fu il non rimpianto James «Jimmy» Earl Carter, nel 1976. In quella bisecolare e inimitabile "monarchia elettiva" che è la repubblica federale degli Stati Uniti d´America, questo Iowa, uno stato nel quale normalmente il viaggiatore si ferma soltanto se gli si guasta l´automobile o se l´aereo deve fare un atterraggio di emergenza, diviene il primo sguardo dalla serratura della storia che tutta la nazione, tutti i media, tutto il mondo, guardano con occhio fisso, pur sapendo che non rivelerà molto. I caucus della Prateria «sono come i bikini», scrisse il grande John Apple del New York Times, veterano di dodici presidenziali, forse per nostalgia inconscia di climi più temperati: «svelano moltissime cose, meno quelle più importanti». Ma proprio come i maliziosi costumini da bagno, così l´opinione dei forse 100 mila «Iowans», su tre milioni di coraggiosi residenti e 16 milioni di maiali (oltre sette suini per ogni umano), pesa perché dopo l´inverno delle chiacchiere, dei sondaggi, delle fantasticherie fa vedere finalmente qualcosa, anche se non tutto. «first in the nation», il primo vero appuntamento con gli elettori, e neppure in questo 2008 che non ha presidenti o vice presidenti in corsa, dunque non ha solidi favoriti, e ha visto tutti gli altri stati sgomitarsi per scavalcarsi, ha perduto la primazia e quindi l´interesse spasmodico. Molto più determinanti saranno le primarie vere dell´8 gennaio prossimo, in un altro "scatolone di neve e gelo", il New Hampshire. Ma la prima volta non si scorda mai, e lo stato che galleggia sull´oceano del più fertile suolo alluvionale del mondo tra Missouri e Mississipi, resta il primo. Da qui devono passare i superbi e inchinarsi. Per una terra che nessun piede di uomo bianco aveva calpestato fino alla spedizione di Lewis e Clark nel 1803, e che non sarebbe divenuta parte dell´Unione fino al 1846, tanta frenetica attenzione è insieme difesa con accanimento e guardata con cinica ironia contadina, ben sapendo i laboriosi, bianchissimi (tedeschi, irlandesi e scandinavi di ceppo, con appena il 2,3% di pelli scure fra loro) gentilissimi abitanti che la sera del 3 gennaio, a voti contati e servizi giornalistici inviati, le compagnie di politicanti e di reporter scompariranno come bagnanti al primo acquazzone d´agosto, lasciandoli soli fino all´inverno del 2012. Altrettanto bene sanno che il loro bizzarro modo di votare, non attraverso schede nelle urne, ma attraverso riunioni in case private, chiese, refettori, scuole, cinema, qualsiasi luogo abbastanza ampio e soprattutto riscaldato, coagulandosi in gruppetti da contare sotto il cartello con il nome dell´uomo o della donna preferiti, somiglia più a una comitiva di giapponesi a Parigi sotto le insegne dell´agenzia di viaggio. Ma così lo vogliono e così lo hanno difeso da ogni tentativo di cambiarlo. Lo vogliono così perché nella piattezza asfissiante di questo stato, che su una superficie pari a circa la metà dell´Italia ha un dislivello medio di appena 335 metri, nella anomalia del suo dipendere ancora massicciamente da allevamento e agricoltura («Lo stato del granturco più alto» è uno dei suoi modesti motti ufficiali, sui maiali si preferisce sorvolare), in una nazione dove la terra non fa più economia, c´è un orgoglio da "pionieri fondatori" ormai perduto altrove. Unito a una malizia diffidente classica del contadino. I caucus dell´Iowa non sono una campagna elettorale, sono una tortura legale, un calvario per ambiziosi. Le 99 contee nelle quali è diviso, con distanze tra fattorie, villaggi, incroci stradali a perpendicolo e binari tirati con la riga misurate in centinaia di chilometri, devono essere visitate tutte, e più volte, da chiunque voglia convincere gli elettori a uscire nei meno 14 gradi previsti per la sera del 2 gennaio, avviare il pick-up incrostato di fango e di sterco marmorizzato e avviarsi, dopo ore di guida, ai concentramenti dei voti. Jimmy Carter, che nell´Iowa trovò la vittoria e lo slancio per sorprendere un Partito democratico che non lo avrebbe voluto, calcolò, in un momento di confidenza coi giornalisti ancor più devastati di lui, di avere accarezzato almeno 70 mila neonati, assaggiato 15 mila torte di mele e ispezionato 750 porcilaie. Un calcolo che soltanto un ingegnere, e per di più nucleare come lui, avrebbe potuto azzardare credibilmente. Questo è il penultimo terreno - l´ultimo sarà il New Hampshire la prossima settimana - dove ancora si possa, e si debba fare la politica "al dettaglio", la campagna porta a porta, mano a mano, neonato per neonato, prima che l´uragano dei soldi si scateni dai canali televisivi e il vantaggio passi a chi ha più milioni buttare in spot e comizi oceanici costa a costa, a chi sa recitare meglio la parte del presidente nel reality show della teledemocrazia. Ma nell´Iowa, il contadino vuol sapere e il suo futuro barone deve farsi toccare, vedere, annusare, riportando la «strategeria» nazionale, come diceva «W» Bush in uno dei suoi più fenomenali sfondoni, al rapporto umano e ai piccoli numeri. Neppure il paradosso di uno stato che non rappresenta affatto demograficamente, economicamente, sociologicamente un campione accettabile della nazione, essendo così bianco, così poco urbano, così poco melting pot, scoraggia i candidati. Più che la prima elezione, in quel processo che quest´anno misericordiosamente dovrebbe finire già il 5 febbrario, quando 20 grandi stati voteranno accorpati decidendo chi sarà, fra la urticante Hillary e il balsamico Obama per i democratici, o fra i capponi repubblicani che si beccano tra loro, il valoroso McCain, l´isterico Giuliani, il plastificato Romney, il devoto Huckabee, lo svanito Thompson, il "nominato" finale, l´Iowa è un rito di espiazione, un giorno delle ceneri che i tromboni e ora anche le trombone devono vivere non per dimostrarsi migliori, più meritevoli o semplicemente più credibili e meno artefatti dei concorrenti. Nel gelo della prateria, nello stato dello Iowa che diede la vita a uno dei più grandi interpreti del mito americano, John Wayne, e a uno dei peggiori presidenti, Herbert Hoover, si celebra ogni quattro anni la breve, effimera, deliziosa vendetta dell´onesto porcaro sul disonesto piazzista della politica.