Ugo Volli, la Repubblica 31/12/2007, 31 dicembre 2007
Nel 1974 Dario Fo fece gran successo con "Non si paga, non si paga", dove esaltava gli espropri proletari: spese di massa senza pagare al supermercato, viaggi senza biglietto sui mezzi di trasporto, pasti gratis in mensa
Nel 1974 Dario Fo fece gran successo con "Non si paga, non si paga", dove esaltava gli espropri proletari: spese di massa senza pagare al supermercato, viaggi senza biglietto sui mezzi di trasporto, pasti gratis in mensa. E fu denunciato come istigatore. Oggi lo ripropone come regista, cambiando lievemente il titolo, con la speranza dichiarata che il contagio si ripeta. Anche se vi è qualche battuta aggiornata su immigrati, precariato e soprattutto contro il Partito Democratico, chi vi assiste ha la sensazione di essere proiettato nel bel mezzo degli anni di piombo: esaltazione dell´illegalità di massa, denuncia del mercato come «arraffamento dei padroni», oscure promesse o minacce rivoluzionarie; esaltazione dell´«autonomia», del prendersi le cose da sé. Chi sostiene che la legge vada rispettata fa la figura dell´imbecille o del «servo dei padroni». Sembra di sentire parlare gli ultimi relitti delle Br al processo Biagi. Che questa strada trent´anni fa abbia portato a lutti e distruzioni, che il sistema politico-economico vagheggiato sia quello del comunismo reale crollato nell´89, che da allora il mondo sia molto cambiato, a Fo non importa affatto. Anche lo spettacolo è molto vecchio stile. Antonio Catania e Marina Massironi sono obbligati all´imitazione della coppia Fo/Rame, lui con le gag mimiche e l´aria da svampito, lei con le tirate da comizio e le mani che battono le cosce per ritmare il discorso. Gli altri sono maschere del tutto stereotipate: poliziotti, carabinieri, operai che sembrano usciti da un fumetto. Le tiritere e la storditaggine del protagonista, l´accumularsi di tormentoni e di follie fanno ancora ridere, ma sono risate coatte, meccaniche, prive di ironia. Se la farsa ancora funziona, sono i contenuti e l´immagine del mondo a sembrare (per fortuna) preistorici.