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 2007  dicembre 31 Lunedì calendario

La casa luminosissima le si riflette negli occhi azzurri come i cuscini del divano. Bianco, in tinta con tutto il resto: le pareti laccate e le sue scarpe coi lacci, la porta d’ingresso e quella scorrevole della sala che ha fatto costruire lei

La casa luminosissima le si riflette negli occhi azzurri come i cuscini del divano. Bianco, in tinta con tutto il resto: le pareti laccate e le sue scarpe coi lacci, la porta d’ingresso e quella scorrevole della sala che ha fatto costruire lei. Solo la sua camicia, i jeans e la bottiglia d’acqua minerale gallese sono blu. Sembra di stare a Miami, invece Irene Ghergo abita ai Parioli. Lei è una delle autrici televisive più eccentriche. Come lo è diventata? «Sono nata in via Condotti, dove ero una bambina buona. Poi è morto mio padre, un grande fotografo, e sono diventata cattiva. A diciott’anni mi sono sposata, ho avuto tre figli che, come dico io, ora sono anziani e ho provato la bella vita. Che però mi ha portato disordine mentale e dritta in analisi. Così, ho cercato un’alternativa». La sua seconda vita quand’è nata? «A trent’anni, quando grazie ad Enrico Lucherini ho iniziato a lavorare come press agent. Poi ho incontrato Boncompagni che mi ha chiamata per un programma di cui non sapeva ancora nulla. Io ci sono stata subito». Era «Pronto Raffaella». «Già, è stato lì che sono diventata autrice. Poi quattro Domenica in e il passaggio a Mediaset per Non è la Rai. In mezzo, ho lavorato con Baudo, un nobiluomo che mi salvò dal vuoto in cui ero finita perché Biagio Agnes mi separò da Boncompagni. Vai a capire perché». A Mediaset ha ritrovato Boncompagni e trovato Freccero. «L’adorato Freccero. Lui ci appoggiava per Prima donna con la trans Eva Robbins che conduceva alle 19 davanti alle famiglie. Infatti, è durato poco. Ma poi siamo tornati tutti in Rai per Macao e Chiambretti c’è». Poi due «Buona domenica» durante la vecchia gestione e l’attuale «Costanzo show», l’hanno portata ad essere consulente dell’uomo coi baffi. Che tipo è? «Un animale televisivo. Osservarlo, è un’occasione speciale. Su di lui tutto è passato. Quando non viene un ospite, mentre altri si taglierebbero le vene, lui dice: beh, togliete la sedia. In questo mi ricorda Boncompagni». Contemporaneamente, lei segue da Roma «Markette». «Il programma si fa a Milano, ma non ci vado mai. Dò idee e parlo con Chiambretti. molto esigente come autore. Per i suoi programmi ho inventato personaggi come Costantino della Gherardesca ed Alfonso Signorini a cui una sera dissi : farò di te una star. Da gennaio ci saranno più collegamenti. Come si faceva in Chiambretti c’è con casa Balestra». Ma se lei dovesse scegliere tra Boncompagni, Chiambretti e Costanzo? «Come dire: hai tre figli, quale preferisci? Ma, umanamente, con Boncompagni ho passato più tempo che con qualsiasi uomo della mia vita». Dunque, lei crede nell’amicizia tra uomo e donna? «Sì, assolutamente». Come autrice, in cosa crede? «Nella leggerezza mischiata a contenuti di spessore. Adoro la leggerezza». E chi non vorrebbe accanto? «Mi prendo il lusso di guardar poco la tv. Ci sono programmi che mi urtano il sistema nervoso, ma non vedo perché dovrei farmi dei nemici». Ne ha già tanti? «E’ un mondo spietato, là fuori. Muoversi è difficilissimo. Le carriere si fanno anche col carattere, non basta il talento. In Rai, in Mediaset, dappertutto non dico che bisogna essere ruffiani perché mi fa vomitare, ma non ci si può mettere di traverso se no ti fanno fuori». Beppe Grillo s’è messo di traverso? «Sì, ma se lo può permettere: ha sufficiente talento ed autonomia per farlo. Lui mi piace, mi fa un’invidia, perché televisivamente l’antipolitica sfonda tantissimo. Oggi è l’ospite più ambito. Tira più Grillo di Garlasco». Quanto conta il rapporto audience-qualità? «Costanzo, il delitto di Garlasco non se lo fila proprio. Certo, i pubblicitari guardano l’Auditel e dunque diventa una dittatura. Anche quelli che se ne dicono disinteressati mentono». Che tendenza vede nei programmi di intrattenimento? «E’ un momento strano. Gli ascolti sul digitale aumentano. I seriali americani hanno successo. I giovani guardano poco la tv e questo pesa sul bilancio dei pubblicitari, che al momento si basano ancora sui grandi programmi sperando che nei 25 % di share ci siano anche i sedicenni. Ma secondo me non ci sono. D’altra parte, perché dovrebbero?».