Carlo Jean, Il Messaggero 28/12/2007, 28 dicembre 2007
BENAZIR
Bhutto – leader del Partito del Popolo Pakistano, alleato con la Lega Musulmana di Narvaz Sharif avrebbe vinto le elezioni dell’8 gennaio. I sondaggi la davano al 64%, contro il partito militar-religioso del presidente Musharraf. Il suo ritorno in Pakistan era stato voluto dagli Usa. Washington sperava di portare al potere forze moderate, che avrebbero combattuto al Qaeda e i Talibani, con maggiore impegno dell’attuale presidente, troppo condizionato dal sostegno dei militari, ampiamente infiltrati da jihadisti e da sostenitori dei Talibani.
La morte della Bhutto non segna solo la fine di tale speranza. Potrebbe anche essere l’inizio di una guerra civile o di un’anarchia, di cui potrebbero approfittare i radicali islamici. L’aspetto che desta maggiore preoccupazione è la sicurezza dell’arsenale nucleare, di cui il Pakistan ha incominciato a dotarsi dal 1998. Non è un problema nuovo. Gli Usa hanno donato decine di milioni di dollari di materiale, secondo un piano redatto da un inviato da Bush poco dopo gli attentati dell’11 settembre. Il presidente pakistano accettò di muovere le testate in bunkers sicuri, all’interno di basi militari e di accrescere la sicurezza dei depositi delle testate e degli impianti nucleari, con dispositivi anti-intrusione, costituiti da barriere fisiche ed elettroniche e da sensori molto sofisticati. Musharraf accettò poi di immagazzinare i noccioli nucleari delle bombe in luoghi diversi sia dai loro detonatori sia dai missili per lanciarle. Non accettò invece di utilizzare i Permissive Action Links, cioè le segretissime chiavi elettroniche, che permettono il collegamento dei detonatori con le cariche in tutte le bombe nucleari americane. Gli Usa glieli avevano offerti. Musharraf rifiutò certamente perché non si fidava del tutto. Temeva che tali dispositivi contenessero qualche marchingegno capace di neutralizzare le sue bombe.
Il sistema di sicurezza di separazione fisica adottato dal Pakistan desta notevole preoccupazione a Washington, anche perché Musharraf non avrebbe mai svelato agli americani né il numero delle bombe, né la loro esatta dislocazione. Temeva verosimilmente un colpo di mano Usa, per impossessarsene, qualora l’instabilità si fosse diffusa in Pakistan. Inoltre, il mantenimento del segreto su tali dati rafforzava la sua posizione nei confronti degli Usa, obbligandoli a sostenerlo, soprattutto per mantenere l’unità dell’esercito, sulla quale si basa il suo potere.
Le forze armate manterranno l’ordine. Esiste però il pericolo di un collasso del sistema di comando e controllo e della spaccatura dei militari in fazioni rivali. Tutte cercherebbero di impossessarsi dei depositi, sia dei noccioli che dei detonatori. La fazione che avesse il controllo delle armi nucleari acquisirebbe non solo prestigio interno, ma anche peso internazionale. Obbligherebbe gli Usa a sostenerla.
Il Pakistan dispone da 55 a 115 testate nucleari a fissione, di potenza variabile da una decina ad una cinquantina di chilotoni (cioè di migliaia di tonnellate di tritolo). Esse sono stoccate in 6-12 siti bunkerizzati. Sembra che le bombe e i loro inneschi vengano spesso spostati, per evitare un attacco di sorpresa. La Cia – almeno si spera – dovrebbe saperne molto di più. Secondo indiscrezioni del Pentagono, sarebbero stati approntati piani di contingenza, per evitare che le armi nucleari cadano ”in cattive mani”. Vi sarebbero anche state consultazioni fra gli Usa, la Gran Bretagna e la Francia. Qualora il Pakistan dovesse cadere nel caos, è improbabile che l’Occidente se ne stia solo a guardare. Molto verosimilmente, verranno effettuati raids di forze speciali. La distruzione dei depositi con bombardamenti non sarebbe sicura, anche con la cooperazione di militari pakistani – adeguatamente pagati – per marcare gli obiettivi.
Penso che a Washington – abbandonati i ”sogni di gloria” della democratizzazione tutti sperino che Musharraf mantenga il potere, anche ricorrendo alle misure più drastiche. Gli Usa – prima tanto critici nei confronti del regime militare e dello stato di assedio proclamato dal generale-presidente – cercheranno in ogni modo di rafforzarne il potere. In fin dei conti si tratta del male minore. La povera Bhutto è verosimilmente morta per nulla!