Lucio Villari, la Repubblica 28/12/2007, 28 dicembre 2007
Il Prometeo liberato, il Proteo, il Wirtschaftfuhrer (il condottiero dell´economia), il capitano d´industria, il mago della finanza, il cavaliere d´industria, il barone oppure il re (dell´acciaio, della luce, della chimica, e così via
Il Prometeo liberato, il Proteo, il Wirtschaftfuhrer (il condottiero dell´economia), il capitano d´industria, il mago della finanza, il cavaliere d´industria, il barone oppure il re (dell´acciaio, della luce, della chimica, e così via...). Quanti traslati e richiami alla mitologia, alla feudalità, al linguaggio militaresco e monarchico per dare colore e immagine a personaggi e fatti precisi e banali - per nulla mitologici e eroici - quali il moderno e cangiante capitalismo e i capitalisti in azione. Autori quest´ultimi e attori delle loro gesta oltre che dei loro affari e soprattutto negatori per definizione e per diritto storico di ogni contatto con l´economia e le tradizioni della nobiltà dei «cavalieri antiqui», di quel «variopinto mondo feudale» (per dirla con il Manifesto di Marx e Engels) per combattere il quale essi erano nati alcuni secoli or sono. L´aspetto lievemente paradossale delle metafore che li riguardano è che, in realtà, la terminologia esaltante e eroica è molto spesso uscita dalla penna di persone obiettivamente estranee ai fatti e ai protagonisti del capitalismo, e appartenenti al mondo delle idee e della fantasia; storici, romanzieri, giornalisti, filosofi, autori di cinema (da Oswald Spengler a Thomas Mann, Werner Sombart, David Landes, Thorstein Veblen, Max Weber, Jack London - per citarne alcuni - fino al Chaplin di Tempi moderni e di Monsieur Verdoux e ai film di Robert Altmann e di Woody Allen). Ma quando si entra nel territorio della comunicazione strettamente economica il linguaggio del capitalismo, ricco ed enfatico sui prodotti in vendita, è stato quasi sempre modesto se non reticente riguardo coloro che li producono. Nell´Ottocento, ad esempio, si sapeva tutto sulle banche Rothschild o sui cannoni Krupp ma molto poco sulla vita dei Rothschild e dei Krupp. Per uno degli ultimi Krupp c´è voluto addirittura il processo di Norimberga. E in Italia? Citiamo un nome noto: neanche dopo la sua morte, quarantasette anni dopo la fondazione della Fiat, si è saputo qualcosa del «privato» del senatore Giovanni Agnelli. I capitalisti, soprattutto se di rango, non amano parlare di sé come tali; meno che mai, salvo qualche rara eccezione, della loro vita. Questa virtù del silenzio ha una storia di almeno trecento anni; è ormai l´equivalente laico della regola del silentium di alcuni monasteri e dei conventi di clausura. Naturalmente il silenzio è stato sempre rotto dai loro eventuali biografi o agiografi o critici con l´eccezione, che sul finire degli anni Venti del Novecento fece scalpore, di Henry Ford che scrisse una autobiografia tradotta subito in tutto il mondo (in Italia fu pubblicata da Bompiani) cui seguì un suo ampio saggio sul Perché questa crisi mondiale? apparso in Italia nel l932, a testimonianza che anche un grande industriale riusciva a collegare i propri problemi ai problemi degli altri. Occorrerà attendere il l957 perché un altro americano illustre, questa volta un uomo di finanza, Bernard Baruch, raccontasse la sua storia. Ma aveva ormai ottantasette anni e poteva ben dire: «Gli anni passati a Wall Street e negli affari furono un lungo corso di istruzione sulla natura umana». Solo per ovvie ragioni di autodifesa un altro banchiere, questa volta tedesco, il famoso Hjalmar Schacht, ha scritto una Resa dei conti con Hitler. Per l´Italia bisogna accontentarsi dei reticenti Frammenti di vita di Riccardo Gualino, pubblicati nel l93l, del Taccuino di un borghese di Ettore Conti, apparso all´alba della nostra democrazia, nel l946 e, con molta calma, dei Taccuini l922-l943 di Alberto Pirelli, apparsi (con quanti tagli?) nel 1984 quando l´interessato non c´era più. Tre industriali e uomini d´affari, implicati nella politica e con compiti istituzionali anche importanti. Conti fu un magnate dell´industria elettrica, presidente della Banca Commerciale, senatore e uomo politico. Apparentemente più defilato Alberto Pirelli, ma solo apparentemente, perché, oltre che noto industriale, fu dirigente dell´Associazione delle Società per Azioni, presidente dell´Istituto per le Relazioni internazionali, tra gli organizzatori dell´economia di guerra, eccetera. Per Gualino basti ricordare la Snia Viscosa, la Rumianca, la Unica, la Casa di produzione cinematografica Lux, e così via. Alla dimenticanza di sé di molti imprenditori hanno supplito, molto spesso, gli storici e la bibliografia relativa è, a livello internazionale, abbastanza ampia, anche se con molti vuoti. L´ultima ricerca interessante sull´argomento è di un noto storico dell´economia dell´Università di Harward, David S. Landes, che lo scorso anno ha pubblicato Dynasties, ora tradotto in italiano (Dinastie. Fortune e sfortune delle grandi aziende familiari, Garzanti, pagg. 423, euro 28). L´indice del volume dà conto schematicamente di un´opera che, sia detto per inciso, non è fondata su documenti di archivio né dei protagonisti dinastici né delle loro aziende, tranne qualche piccola eccezione. «A volte ho conosciuto personalmente la famiglia, figli e nipoti compresi, ma si tratta di eccezioni. Ciò che ho scritto - scrive Landes - si basa soprattutto su materiali a stampa, in genere pubblicati, ma anche su carte private e conversazioni». Insomma, nessuna scoperta sensazionale e poche o nessuna novità. Tuttavia, è sempre utile sapere per grandi linee da chi e come è stata governata, tra Ottocento e Novecento, la rivoluzione industriale e la modernizzazione capitalistica. Il volume è diviso il tre parti: Banche, Automobili, Tesori della terra. I rispettivi capitoli riguardano i banchieri Baring (siamo sul finire del Settecento e la dinastia Baring, di origine olandese, darà il meglio di sé in Inghilterra dai tempi del nemico Napoleone fino al l995); i finanzieri Rothschild (i quali, per ammissione di uno dei discendenti nel l966 «più di altri banchieri sono stati riservati e reticenti su tutto ciò che riguardava la famiglia. Tutti loro hanno sviluppato una sorta di tecnica della discrezione assoluta, portandola alla perfezione», come volevasi dimostrare); infine i mitici Morgan, dei quali John Pierpont è noto anche perché ha rastrellato in Europa opere d´arte di qualità. Sottoposto a una Commissione d´inchiesta del Congresso nel 1912 per affarismo, interessi politici, corruzione e simili, alla domanda di un commissario: «Lei afferma di non avere alcun potere in alcun ministero o industria?», rispose: «No, non ne ho». «Nemmeno il minimo potere?» «Nemmeno il minimo potere». «La sua società la dirige lei, dico bene?» «No, signore». «No?» «No». «Ma lei è l´autorità di ultima istanza, vero?» «No, signore». I capitoli della seconda parte sono dedicati ai Ford, agli Agnelli, a Peugeot, Renault, Citroën e ai giapponesi Toyoda. Su Ford (al quale si deve una politica di buoni salari e la scoperta della produzione in serie e dell´automobile per tutti) e sul «fordismo» si è detto e scritto tanto. Sugli Agnelli si potrebbe dire altrettanto, e Landes non lesina alla dinastia omonima osservazioni critiche e giudizi precisi, alcuni positivi, altri al vetriolo (ad esempio: «L´Italia ha tutto da guadagnare se la Fiat prospera. Questo principio genera un effetto di compravendite a catena: quando la Fiat ha bisogno di qualcosa lo Stato gliela fornisce a prezzo stracciato; e se la Fiat produce bidoni, proprio di bidoni lo Stato ha improvvisamente bisogno»). Nella terza parte appaiono i Rockefeller e i Guggenheim. Qui il discorso e le analisi sul capitalismo familiare, sulle dinastie e sui successori ai troni è arricchito dalla vicinanza storica con i personaggi in questione e con la conoscenza molto accurata che Landes ha del capitalismo americano del Novecento, fino ai giorni nostri. Vorrei aggiungere alle informazioni che spesso si hanno sulle due famiglie che nel 2002 è uscito negli Stati Uniti un voluminoso libro di memorie di David Rockefeller opportunamente tradotto da Mondadori. Non mi pare che se ne sia parlato molto sulla stampa italiana. Potrebbe essere una occasione per spingere i tanti eredi delle nostre dinastie industriali e finanziarie a seguire l´esempio di Rockefeller e ad aprire agli studiosi le carte di famiglia. Sarebbe, una volta tanto, un buono e trasparente servizio di interesse pubblico.