Corriere della Sera, Stefania Tamburello 28/12/2007, 28 dicembre 2007
Elisabetta lavora da cinque anni come badante a Roma. Viene dall’Equador. E negli ultimi tempi è sempre più soddisfatta per il suo lavoro
Elisabetta lavora da cinque anni come badante a Roma. Viene dall’Equador. E negli ultimi tempi è sempre più soddisfatta per il suo lavoro. Come lei anche Luisa del Perù o Lisetta che invece arriva dalle Filippine. Il motivo? L’apprezzamento del dollaro sull’euro che ha fatto lievitare il valore dei soldi che ogni mese riesce a mandare a casa, visto che in America Latina, come in Asia, la moneta di riferimento resta il biglietto verde. Ne beneficia la sua famiglia, ma anche l’economia del suo Paese che come molti altri trova nel denaro inviato dagli emigranti il principale sostegno allo sviluppo. Basti pensare che le rimesse dei lavoratori all’estero rappresentano molto spesso per i Paesi in via di sviluppo una voce più significativa degli aiuti ufficiali e della cancellazione del debito. In quest’ottica si può dire che l’Italia sia ai primi posti tra i «benefattori ». Il calcolo lo ha fatto due anni fa – ed è il più recente su vasta scala – il Fondo monetario internazionale rilevando che sulla base dei dati del 2004 gli Usa sono al primo posto tra i Paesi da cui partono le rimesse mentre l’Italia è al nono. In Europa invece, e i dati diffusi da Eurostat sono relativi al 2006, l’Italia è al terzo posto dopo Spagna e Gran Bretagna con un volume di quasi 4,4 miliardi di rimesse inviate all’estero su un totale di 27 miliardi di euro (nel mondo il totale è di 226 miliardi di dollari). Le cifre e la graduatoria sono però nel frattempo cambiate. Perché dopo aver quasi esaurito a fine anni ’80 il flusso inverso delle rimesse incassate, l’Italia presenta un trend costante di aumento delle somme inviate all’estero dai lavoratori stranieri. Negli ultimi tre anni, poi, c’è stata un’accelerazione e il 2007, stando ai dati più recenti segnalati dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano cambi, si avvia a produrre un nuovo record delle rimesse degli immigrati. Che, e il fatto non è certo privo di importanza, costituisce una voce piccola ma non trascurabile della nostra bilancia dei pagamenti. Le cifre ufficiali sottostimano il fenomeno perché prendono in considerazione solo i canali bancari e da ultimo le segnalazioni dei principali money transfer, ivi compreso il canale postale. Sfuggono così alle statistiche i trasferimenti fatti attraverso piccoli intermediari non riconosciuti oppure tramite conoscenti o familiari. A livello mondiale l’Fmi ritiene che il volume del sommerso sia il 50% dell’emerso, mentre c’è anche chi arriva ad ipotizzare moltiplicatori di 3 o 5 volte. In Italia i dati (che per la prima volta comprendono anche le segnalazioni dei principali money transfer) segnalano rimesse per 4,35 miliardi di euro nel 2006 contro i 3,9 miliardi del 2005 e i 2,7 miliardi del 2004. Nel 2007, solo nei primi sei mesi, le rimesse hanno superato i 2,67 miliardi di euro, praticamente la cifra dell’intero 2004. Se si calcola anche luglio la somma complessiva supera i 3,18 miliardi. Di contro il flusso inverso, cioè le rimesse degli italiani all’estero che ancora provengono da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Regno Unito, Spagna, Svizzera, Canada e soprattutto Stati Uniti, ha raggiunto nei primi 7 mesi del 2007 i 154 milioni (248 nel 2006, 233 nel 2005 e 228 nel 2004). Negli ultimi tre anni, rileva la Banca d’Italia nella sua relazione annuale, tra i primi quindici Paesi destinatari delle rimesse figurano stabilmente ai primi posti Romania, Cina, Filippine e Marocco che pesano per circa il 50% del totale. L’importanza della Romania e del Marocco in graduatoria è coerente con la prevalenza dei loro cittadini nel territorio italiano; quella della Cina e delle Filippine può riflettere invece un maggior ricorso a canali formali di trasferimento internazionale di fondi da parte degli immigrati più lontani dai propri Paesi di origine. Andando ancora più nel dettaglio il numero complessivo delle rimesse è stato, nel 2006, di 10,3 milioni e l’importo medio di ogni singolo invio è stato pari a circa 400 euro. Quanto alle province più attive, svetta Roma seguita da Milano. Il tema delle rimesse non è però solo materia di statistiche. I flussi, e gli intermediari che trasferiscono i fondi, sono costantemente sotto osservazione per la normativa antiriciclaggio. Le informazioni statistiche, ha detto recentemente il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi davanti alla Commissione antimafia, «non consentono un riscontro sull’origine delle rimesse di cui una parte importante proviene verosimilmente da attività svolte in un contesto di economia sommersa che si presta all’evasione della normativa fiscale ». Dopo l’inchiesta di due anni fa che ha portato nella rete della magistratura alcuni money tranfer, sono state introdotte regole più rigorose per l’esercizio di tale attività: gli intermediari che aderiscono ai circuiti internazionali sono 32 con Western Union (cui aderiscono Finint e Angelo Costa) e Moneygram (di cui le Poste sono referenti italiani) che gestiscono il 70% del valore e l’80% del numero delle rimesse. Gli «agenti finanziari» di cui tali intermediari si avvalgono sono circa 38 mila, di cui il 50% operativi nel settore dei trasferimenti di valuta. Ed è su questi che si indirizza principalmente l’attività di controllo della Guardia di finanza che nel 2006 ha svolto 410 indagini e ha segnalato 796 operazioni sospette riguardanti in gran parte soggetti cinesi e senegalesi. Stefania Tamburello Il dato può sorprendere, ma è l’Abi, l’associazione che riunisce le banche italiane, a fornirlo: il 10% dei circa 3 milioni e mezzo di finanziamenti concessi dal sistema del credito per comprare un’abitazione fa capo agli immigrati. Cosa che tradotta in cifre significa 350 mila contratti siglati fino al 2006. «Sono i debitori più affidabili che fanno registrare il valore più basso di sofferenze, cioè di morosità» sostengono a Palazzo Altieri, sede dell’associazione. «Chi di loro va in banca per farsi fare un prestito non ha certo voglia di farsi cogliere in fallo e giocarsi il futuro» spiegano. Del resto non è proprio facilissimo diventare cliente di una banca. Per ottenere prestiti e mutui il cittadino straniero deve avere alcuni requisiti: un lavoro che sia retribuito con una busta paga e ovviamente un permesso di soggiorno in regola. Ma l’accesso allo sportello, la cosiddetta bancarizzazione è a più ampio raggio e passa oltre che per la voglia dei datori di lavoro di accreditare in banca i salari, proprio attraverso il canale delle rimesse. Non per nulla il G8, il gruppo dei Paesi più ricchi del mondo fra i quali figura l’Italia, ha da poco avviato una serie di iniziative per agevolare i trasferimenti di denaro. E ciò da una parte per facilitare appunto l’accesso degli immigrati ai servizi bancari e finanziari e dall’altra per rafforzare i sistemi del credito dei Paesi riceventi in modo da massimizzare così anche l’impatto sulla crescita economica. Il risultato si vede: l’erogazione di credito ai lavoratori stranieri è passata dall’1,8% del totale del 2000 al 5,4% del 2004 (4,85 miliardi di euro), ultimo anno per il quale sono state messe a punto indagini e statistiche complete. Il percorso del cittadino straniero dopo il primo contatto allo sportello prosegue con l’apertura di un conto corrente base, il trasferimento delle rimesse, l’acquisto di carte prepagate o ricaricabili e quindi approda all’accensione di un prestito o del mutuo per l’acquisto della casa. Al primo posto fra i correntisti figurano i cittadini romeni seguiti dai marocchini. Le stime dell’Abi dicono poi che gli immigrati consumano il 62% del loro reddito, ne risparmiano il 22% e ne mandano al Paese d’origine il 16%. Secondo un’indagine dell’istituto di ricerca Scenari immobiliari nel 2005 gli immigrati proprietari di abitazione in Italia erano 560 mila, cioè il 15% della quota totale di acquisto di immobili. Che per gli stranieri sono più che quadruplicati nel giro di 5 anni mentre la loro domanda potenziale di alloggi raggiunge oggi il milione di casi. Secondo l’ultima ricerca Abi-Cespi del 2006 (la prossima sarà pronta a fine gennaio prossimo) il 57,3% degli immigrati adulti risulta bancarizzato: oltre l’11% delle famiglie straniere ha attivato un mutuo e oltre il 17% sta pensando di sottoscriverlo. E poi ancora il 42% ha fatto ricorso ad un prestito, mentre il 46% è interessato al credito al consumo; il 41% ha una carta Bancomat e il 13% una carta di credito. Secondo la previsione dell’Abi tra 10 anni in Italia ci saranno oltre 3 milioni di conti correnti di immigrati, il 10% del totale. Del resto proprio l’Abi sta insistendo molto sull’interesse delle banche ad allargare la clientela proponendo soluzioni ad hoc per le categorie in qualche modo più deboli come gli studenti, i pensionati e appunto gli immigrati. Ma chi si trasferisce in Italia in cerca di lavoro e benessere non chiede soldi in banca solo per mettere su casa. Sono in aumento anche coloro che utilizzano i finanziamenti per mettere su azienda. Si tratta principalmente di imprese individuali che aumentano però molto più rapidamente della media nazionale. Negli ultimi 5 anni gli imprenditori immigrati sono più che raddoppiati: il loro numero è infatti passato da circa 100 mila a 227.524 con tassi di crescita superiori al 10% annuo contro incrementi tra l’1 e il 2% della base imprenditoriale complessiva del-l’Italia (in particolare gli aumenti sono stati dell’1,2% nel 2006 e dell’ 1,6% nel 2005). Significativo è inoltre il ricorso alle banche. Sempre secondo i dati messi a punto dall’Abi il 70% degli imprenditori immigrati ha rapporti con istituti di credito. E se il 64% di questi si rivolge ad una sola banca il 6% colloquia con più di una. 350 mila contratti per una casa Secondo l’Abi, l’anno scorso, il 10 per cento dei circa tre milioni e mezzo di finanziamenti per comprare una casa sono stati concessi a immigrati Soggiorno In coda nel 2006 per il permesso di soggiorno S.Ta.