Corriere della Sera, Sergio Rizzo 28/12/2007, 28 dicembre 2007
ROMA – Il denaro non ha odore: fin dai tempi di Vespasiano è questa una specie di legge universale
ROMA – Il denaro non ha odore: fin dai tempi di Vespasiano è questa una specie di legge universale. Ma perfino l’immondizia, in alcuni casi, riesce a smettere di puzzare. Succede quando si trasforma in moneta sonante. Ecco perché mentre in Campania non sanno più dove metterlo, il pattume, con il nauseabondo serpentone di cinque milioni di «ecoballe» (niente altro che enormi blocchi di immondizia impacchettata: cos’avranno di «eco»?) che si allunga ogni giorno di più e i cumuli di rifiuti che hanno ripreso a bruciare ammorbando l’aria, in Germania c’è qualcuno che accoglierebbe a braccia aperte la spazzatura Made in Napoli. Chi può avere avuto un’idea tanto pazzesca? Remondis, la più grande azienda tedesca che opera nel campo dello smaltimento dei rifiuti, avrebbe dato la propria disponibilità a realizzare in un’area della Renania ai confini con il Lussemburgo un inceneritore per bruciare tutta l’immondizia della Campania producendo elettricità. Ipotesi che potrebbe essere considerata davvero assurda, e come tale sarebbe stata già liquidata dai responsabili dell’emergenza rifiuti in Campania. Assurda, naturalmente, se la situazione non fosse però ancora più assurda. L’emergenza rifiuti in Campania va avanti da quattordici anni, durante i quali sono stati letteralmente gettati al vento due miliardi di euro. Da ben sette anni, preso atto che non si riuscivano a fare gli inceneritori, preso atto che le discariche erano piene, e preso atto che la camorra controllava (e controlla?) ormai gran parte del ciclo, si è deciso di mandare una parte della spazzatura nel Nord Italia e all’estero: destinazione Germania. Dove l’immondizia della Campania, da sette anni, già ora viene regolarmente bruciata in appositi impianti. Ogni giorno la spazzatura viene caricata sui treni della Ecolog, una divisione delle Ferrovie, e spedita al di là del Brennero per essere smaltita negli inceneritori tedeschi della Remondis, che in questa operazione è partner di Fs. Naturalmente ne viene esportata giornalmente soltanto una parte: un migliaio di tonnellate sulle 7.500 prodotte (anche se il quantitativo è stato raddoppiato). E naturalmente non gratis. L’export di pattume costa a tutti noi 215 euro la tonnellata per il cosiddetto «tal quale», che sarebbero i classici sacchetti di rifiuti indistinti: 400 mila euro al giorno, ai ritmi attuali. Metà va per il trasporto (quindi in qualche modo torna allo Stato) e metà a chi la smaltisce: con l’apparente contraddizione che siamo noi a fornire ai tedeschi, pagando di tasca nostra, la materia prima per fare energia elettrica. Il bello è che il costo per esportare in Germania, pur essendo ben superiore a quello dello smaltimento in discarica nel resto dell’Italia, è nettamente inferiore a quello che il commissariato per l’emergenza spende per smaltirli in Campania, quei rifiuti. Il prezzo va da un minimo di 290 euro a tonnellata fino a cifre imprecisate, persino, ha calcolato qualcuno, non inferiori a 1.000 euro. Com’è possibile? Per prima cosa c’è il costo della trasformazione nelle famose «ecoballe»: 120 euro la tonnellata. Poi c’è il trasporto con i camion sui terreni dove queste «ecoballe» vengono parcheggiate: altri 20 euro. Quindi il costo dello stoccaggio provvisorio: 150 euro. Provvisorio, però, si fa per dire. Perché siccome non ci sono gli inceneritori, quelle ecoballe stazionano per anni su terreni acquistati o presi in affitto a caro prezzo: 250 ettari di territorio campano sono ormai completamente occupati. Più stanno, più il costo sale. E dato che le prime «ecoballe» sono lì dal 2001, fate voi i conti. La cosa è talmente eclatante che il direttore generale del ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini, considerato papabile per il posto di commissario straordinario fino a oggi occupato dal prefetto di Napoli Alessandro Pansa, non si capacita di come sia possibile che costi meno spedire l’immondizia in Germania piuttosto che tenersela in Campania. E non si capacita al punto da aver messo in moto i carabinieri perché compiano le necessarie verifiche. Quando la risposta ai suoi interrogativi è sotto gli occhi di tutti, e sta nella follia di un sistema che invece di bruciare la spazzatura polverizza milioni di euro al giorno. Domanda: e gli inceneritori dei quali da 14 anni non si vede nemmeno l’ombra? L’appalto ce l’aveva la Fibe, del gruppo Impregilo, incaricata anche di fabbricare le «ecoballe». Ce l’aveva, appunto, perché il contratto è stato risolto. Uno dei due inceneritori, quello di Acerra, sarebbe comunque quasi pronto. Meglio, potrebbe funzionare fra meno di un anno. Ma c’è un particolare: non può bruciare le «ecoballe» prodotte in Campania, perché mancano le specifiche tecniche. E allora? Allora si sono fatti avanti i tedeschi, con la loro idea «pazzesca ». Bruciare in Germania non una parte della spazzatura della Campania, come oggi, ma tutta quanta, con un impianto nuovo di zecca da 100 megawatt destinato solo a quello scopo, avendo la garanzia di un contratto di 15 anni e a un prezzo molto più basso di quello attuale. Per tutta risposta a novembre è stata bandita la nuova gara per completare gli inceneritori e sostituire Fibe. Sono arrivate offerte dalla francese Veolia, dalla spagnola Abertis (quella che si doveva fondere con Autostrade) e dall’Asm di Brescia, che da trent’anni riscalda la città bruciandone i rifiuti. Ma se ne verrà mai a capo?