Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 28 Venerdì calendario

Gli ultimi mesi hanno fatto registrare, soprattutto su grandi quotidiani in lingua inglese, pesanti e deprimenti giudizi sul declino del nostro Paese

Gli ultimi mesi hanno fatto registrare, soprattutto su grandi quotidiani in lingua inglese, pesanti e deprimenti giudizi sul declino del nostro Paese. Giudizi in parte accettabili, anche se talvolta basati su informazioni scaturite dalle nostre compiaciute e spesso eccessive autocritiche. Ma c’è un campo (oltre a quelli, noti, di auto e moto da corsa, della moda, della cucina, del calcio e delle belle donne) di cui gli italiani possono andare fieri. Un Paese visto all’estero come popolato da sterminatori di uccellini ha fatto nella conservazione della natura grandi passi avanti. Nel 1970 il territorio protetto in Italia, costituito da quattro parchi nazionali di cui l’ultimo creato nel 1935, copriva lo 0,63% della superficie nazionale. Oggi i parchi nazionali sono più di venti e, sommati alle altre riserve naturali, coprono più del 10% del territorio. Le foreste, che nel dopoguerra interessavano il 20% del Paese, oggi hanno superato il 30%. In più, dopo decenni di azioni di cosiddetta bonifica, è dal 1970 che in Italia nessuna palude è più stata prosciugata e la maggior parte di esse gode di seria protezione in Parchi nazionali, oasi Wwf e Lipu, riserve del Corpo Forestale dello Stato. A questa «rinascita» naturalistica, unita a una legge sulla caccia più protettiva, si deve il ritorno in massa di molte specie animali, un tempo considerate estinte o in via di ineluttabile estinzione. Restando sulla catena alpina (ambiente in cui al-l’Italia, fin dal 1821, va il merito di aver salvato lo stambecco, già distrutto in Francia, Germania, Austria, Svizzera...) il recupero faunistico può essere simbolizzato dal ritorno dell’avvoltoio barbuto o gipeto. Questo immenso rapace, il cui ultimo esemplare fu abbattuto il 29 ottobre 1913 in Val d’Aosta, oggi grazie a un progetto internazionale al quale anche il Wwf ha contribuito è diffuso su tutte le Alpi. Solo nel Parco Nazionale dello Stelvio, da anni due coppie mettono al mondo i loro nidiacei. Restando sulle Alpi, a fine anni ’90 su tutta la catena, dalle Marittime alle Giulie, sopravvivevano solo due o tre orsi bruni alpini, asserragliati nelle foreste del Trentino. Pure in questo caso, la creazione di zone protette nel suo areale potenziale e un’accorta operazione di reintroduzione di esemplari provenienti dall’ex Jugoslavia, hanno fatto lievitare il loro numero a più di venti. Per il lupo, grande successo degli ambientalisti italiani, si è passati dai 100 esemplari del ’73 ai più di 1.000 odierni, mentre in Francia, Germania, Svizzera, Austria, Svezia, Danimarca, risulta estinto da anni. Anche della lince non si avevano più notizie dal 1918, anno in cui una femmina vecchia e zoppa fu presa in una tagliola nei pressi della Valsavaranche. Oggi, grazie a reintroduzioni effettuate in Svizzera, Slovenia e Austria, ce ne sono circa venti. E un numero imprecisato, d’ignota provenienza, è osservato nelle foreste appenniniche comprese nei Parchi nazionali dell’Appennino centrale. Poter vedere un fenicottero rosa in libertà era, fino a trent’anni fa, un evento eccezionale per l’Italia. E manco a parlare di una loro possibile nidificazione. Oggi i trampolieri dalle ali di fiamma sono presenti in tutte le paludi e le lagune in più di 20.000 individui e nidificano in circa 9.000 coppie in Sardegna, Puglia e Romagna. Ma il ritorno della fauna, favorito dalla diffusione di aree protette e dalla riduzione del-l’attività venatoria, non finisce qui. La lontra, mammifero acquatico di cui ancora vent’anni fa si contavano non più di qualche centinaio di esemplari (al Nord era estinta), dà segni di recupero, soprattutto nei fiumi e nei laghi del Meridione. E ancora: nel 1980 i cervi della tipica sottospecie di Sardegna sopravvivevano in meno di 300 esemplari. Oggi sono circa 6.000 ed esemplari italiani sono stati reintrodotti in Corsica dove si erano estinti da decenni. Certo, ci sono ancora specie che danno forte preoccupazione. Come la foca monaca, considerata quasi estinta (salvo sporadici avvistamenti) nei nostri mari; il capovaccaio (o avvoltoio degli egizi) presente ormai in meno di 10 coppie; il gobbo rugginoso, piccola anatra dal becco azzurro, che non dà segni di ripresa nonostante i tentativi di ripopolamento. Ma tutto sommato, anche se la produzione industriale segna il passo e la gente è depressa, questi primati dovrebbero essere un motivo dei quali gli italiani possono andare orgogliosi.