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 2007  dicembre 30 Domenica calendario

Professor Antonio Paolucci, lei da pochi giorni è stato nominato direttore dei Musei Vaticani. Su che cosa governa? «I Musei sono l’insieme delle collezioni che il mecenatismo dei Papi ha raccolto in questa parte del mondo

Professor Antonio Paolucci, lei da pochi giorni è stato nominato direttore dei Musei Vaticani. Su che cosa governa? «I Musei sono l’insieme delle collezioni che il mecenatismo dei Papi ha raccolto in questa parte del mondo. Si va dalla Cappella Sistina di Michelangelo, alle stanze affrescate da Raffaello, dalle statue di antichità classica greco-romana ai reperti etruschi, dalla sezione etnografica a quella egizia, a quelli dell’arte moderna del ”900 che è iniziata da papa Paolo VI». Quante persone lavorano? «Lo staff è circa 500 persone compresi i custodi, tecnici, restauratori, funzionari ed esperti». Quanti visitatori? «Più di 4 milioni. Con una caratteristica: tutti si buttano sempre su Michelangelo e poi vanno via. Intere sezioni sono oscurate dai tempi ferrei delle agenzie di viaggio. In realtà i Musei Vaticani richiederebbero settimane di visita. Dal prossimo 2 gennaio il governatorato, mio referente giuridico e politico, ha deciso di procrastinare di due ore l’orario. Chiuderemo quindi alle 18». Quanto costa il biglietto? «Con l’anno nuovo il biglietto passerà da 13 a 14 euro». Quali sono le caratteristiche dei Musei? «Innanzitutto la perfetta efficienza e professionalità del corpo dei custodi dei Musei Vaticani. E poi la qualità. E’ immensa, sterminata. Incuriosisce la straordinaria diversità materica, etimologica dei materiali per cui si va dai papiri egizi agli acrilici di oggi, si va dal marmo delle sculture romane all’oreficeria barocca, alla scultura lignea, alla pittura, agli affreschi». I Musei che cosa rappresentano? «Il mio predecessore Francesco Buranelli lo scorso anno ha celebrato i 500 anni di questi Musei, che furono fondati nel 1506 dal papa Giulio II, il papa di Michelangelo. Questo è il più antico archetipo di museo, il modello di tutti i musei. Nella storia della Chiesa romano-cattolica vi sono due costanti. La prima è l’alleanza con le arti figurative. Il confronto rischioso con la rappresentazione del vero visibile: non avremmo avuto la civiltà figurativa moderna se la Chiesa non avesse deciso una volta per tutte che il vero visibile non è un inganno diabolico, ma un’epifania di Dio, cioè una cosa buona. La seconda è cosa la Chiesa cattolica romana ha consegnato al mondo, e lo dimostrano i Musei che sono il culto della memoria. I Musei nascono per fornire ”pietas” e memoria delle generazioni degli uomini che si sono succedute nei secoli. Questo hanno fatto i Musei in quella parte del mondo che chiamiamo Occidente». Quali sono i suoi obiettivi? «Intanto voglio conoscere i collaboratori, poi capire quali sono i problemi per cercare di risolverli. Ho sempre usato uno stile estremamente pragmatico e opportunistico, nel suo significato letterale, cioè di cogliere le opportunità buone. C’è una vasta attività espositiva, i Musei Vaticani sono come il Louvre e i musei fiorentini, una delle grandi riserve del mondo. Il problema è quello della grande pressione dei visitatori. Ogni cittadino del mondo dovrebbe avere nella vita l’opportunità di poter vedere almeno una volta la Cappella Sistina di Michelangelo. Bisogna regolare i flussi». In concreto che cosa si può fare? «Cercare di far vivere e visitare le parti meno viste e praticate e poi rendere più efficaci i servizi didattici. Un tempo si veniva per vedere il Laocoonte o l’Apollo del Belvedere e anche Raffaello oggi è meno apprezzato di una volta. Forse tra un secolo si tornerà a privilegiare il Laocoonte, ma oggi l’attrazione fatale è Michelangelo, e certo non vogliamo contrastarla. Vorrei che nelle loro corse i visitatori avessero per lo meno uno sguardo per capire di quale ricchezza di proposta sono composti questi Musei. Vorrei che ne avessero solo, almeno, una percezione. Penso, per esempio, ai Sarcofagi o alla famosa Galleria delle Carte geografiche che è una straordinaria visione dell’Italia campanile per campanile". Lei è stato ministro per i Beni e le Attività Culturali, ha diretto i più bei musei d’Italia: insomma ha vissuto una vita in mezzo al bello. «Sì, ho passato la mia vita in mezzo al bello e ho avuto la fortuna, che capita a pochi, di non annoiarmi mai. Come ci si può annoiare di fronte alla superba sfilata delle sculture antiche del Pio-Clementino,, oppure come ci si può annoiare di fronte alla Trasfigurazione di Raffaello, uno dei 5 o 6 quadri più belli del mondo?». Che cosa ha lasciato dietro di sé agli Uffizi? «Il museo che amo di più, forse perché l’ho frequentato più a lungo, è il Museo Nazionale del Bargello. Non ci sono solo i capolavori della scultura rinascimentale ma molti esemplari di arti minori, vi sono stoffe, smalti, vetri, ambre. Penso che non ho ancora deciso bene, se penso al Paradiso penso a qualcosa che assomiglia o ai Musei Vaticani o al Museo Nazionale del Bargello». Stampa Articolo