Farian Sabahi, La Stampa 30/12/2007, 30 dicembre 2007
Benazir Bhutto era una donna, occidentalizzata e di fede sciita. Per questo non piaceva ai radicali islamici
Benazir Bhutto era una donna, occidentalizzata e di fede sciita. Per questo non piaceva ai radicali islamici. Ma non credo siano stati i talebani e al Qaeda ad assassinarla», dichiara il professore Vali Nasr, membro del Council of Foreign Relations e autore del saggio «La rivincita sciita» (Ed. Egea). «A trarre vantaggio dalla sua scomparsa», continua lo studioso americano di origine iraniana, «saranno soprattutto i militari che da anni sostengono gli estremisti e hanno legami con i gruppi jihadisti». Perché Benazir è stata uccisa? «Era la figura pro-democratica più importante del Pakistan e la leader del maggiore partito laico. Ora le forze armate avranno mano libera, saranno in grado di scongiurare la reale democratizzazione del Paese e potrebbero persino dividere il Partito popolare pachistano (Ppp) di Benazir Bhutto in più fazioni, indebolendolo». Il generale Musharraf è colui che sembra trarre maggior vantaggio dalla morte dell’ex premier. Sarà così anche nel lungo periodo? «Non è detto. A questo proposito si può tracciare un paragone con l’assassinio di Rafik Hariri a Beirut. Tenuto conto del fatto che l’ex premier libanese era sunnita e aveva forti legami con i sauditi, e che a differenza del Libano il Pakistan ha l’atomica, in entrambi i casi si profila una polarizzazione delle forze politiche e l’indebolimento delle istituzioni. Ma questi attentati possono anche rafforzare l’opposizione e quindi, nel caso del Pakistan, dare manforte a coloro che si oppongono alla dittatura militare del generale Musharraf. Di conseguenza potrebbe essere proprio l’attuale presidente la vittima del processo innescato con l’attentato di Rawalpindi a Benazir Bhutto». In questi anni numerosi leader sciiti sono stati assassinati. L’appartenenza della famiglia Bhutto a questa minoranza islamica è del tutto irrilevante? «No di certo! L’influenza crescente delle forze estremiste è andata di pari passo con la violenza settaria che prende di mira gli sciiti. Al Qaeda e i partiti islamici sono ideologicamente contrari allo sciismo, che considerano un’eresia. Il problema è che sia al Qaeda sia i partiti islamici stanno acquisendo sempre più potere non soltanto in Pakistan ma pure in Iraq». Quali radici ha questa violenza settaria contro gli sciiti, che sembra colpire in particolare l’Iraq e il Pakistan ma da cui non era esente l’Afghanistan dei talebani? «Risale agli Anni Ottanta e Novanta quando la rivalità tra sunniti e sciiti si accompagnava, nelle relazioni internazionali, a quella tra l’Arabia Saudita e la Repubblica islamica dell’Iran. Nel caso del Pakistan gli sciiti hanno dato la loro preferenza al Partito popolare non solo perché era quello di Benazir Bhutto ma anche perché storicamente la minoranza sciita ha sempre preferito la laicità rispetto all’interferenza della religione in politica. A innovare questa tradizione millenaria è stato l’ayatollah Khomeini nel 1979». Quali conseguenze ha avuto la preferenza concessa dagli sciiti pakistani al partito Ppp della Bhutto? «Con gli anni il partito di Benazir Bhutto è diventato il fronte di opposizione agli estremisti presenti in politica. Molti radicali pachistani hanno quindi interpretato l’ascesa del Partito popolare come una minaccia al dominio fondamentalista sunnita sul Pakistan e per questo motivo si sono alleati al generale Musharraf con l’obiettivo di diminuire l’influenza del Ppp». Quali saranno le conseguenze della morte di Benazir Bhutto per il Pakistan? «Il Pakistan, di per sé già instabile, si trova in una situazione di grande pericolo e di conflitto esasperato tra società civile e quadri militari. Le istituzioni ne escono indebolite, il Partito popolare ha perso la sua leader e quindi sfumano le prospettive di transizione verso un governo democratico e civile, ovvero senza i militari al potere. Non va inoltre sottovalutato il fatto che molti sostenitori di Benazir Bhutto sono nella regione del Sindh, da cui proveniva anche l’ex premier. I Sindh sono da sempre in conflitto con il gruppo etnico dei Muhajir che sostiene il generale Musharraf e a distanza di pochi giorni dall’attentato nella città di Karachi dilaga la violenza». Stampa Articolo