Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 30/12/2007, 30 dicembre 2007
In artiglieria c´è un procedimento chiamato «aggiustamento»: si fa un tiro sicuramente lungo, poi se ne fa un altro sicuramente corto e dai rilievi ottici si determina la gittata giusta da impostare per colpire il bersaglio
In artiglieria c´è un procedimento chiamato «aggiustamento»: si fa un tiro sicuramente lungo, poi se ne fa un altro sicuramente corto e dai rilievi ottici si determina la gittata giusta da impostare per colpire il bersaglio. qualcosa che avviene anche nel computo del tempo e nella costruzione del calendario: un´opera che nei secoli ha (o dovrebbe avere) convinto l´uomo che l´unica via per arrivare alla precisione passa dall´approssimazione. Dal mondo del pressappoco all´universo della precisione, si intitolava appunto un´opera dello storico della scienza Alexandre Koyré: il titolo andrebbe letto come se fosse provocatorio, visto che quello che possiamo apprezzare oggi è un universo di pressappochismo in cui galleggia qualche oasi di affidabilità totale. Il nostro calendario è uno dei massimi esempi di questa situazione. Già ai tempi di Giulio Cesare si era capito che, limando a 365 giorni il periodo (in realtà appena più lungo) che intercorre fra due solstizi uguali, si sarebbe ottenuto uno scivolamento progressivo delle stagioni. Oggi, con tutta la nostra presunta coscienza globale, è tanto faticoso mettere d´accordo tutti su pochi principi; allora invece si poteva infilare d´imperio un giorno in più nell´anno: il 29 febbraio il giorno «bisesto», che in ogni quadriennio caratterizza l´anno «bisestile». Ma a questo punto un giorno intero ogni quattro anni è risultata una correzione anche eccessiva e, passando dall´Impero al Papato, fu Gregorio XIII che introdusse nel 1582 il proprio subemendamento: ogni quattrocento anni si devono togliere tre giorni bisesti. Le cose così vanno a posto, se non si ha un concetto troppo rigido della locuzione «a posto» (permane un differenza di ventisei secondi). Correggere le correzioni, adattare, ritoccare: la pazienza e la lungimiranza dell´uomo si sono misurate più volte con l´esasperante riottosità della materia, e con gli scherzi della natura. La linea e il circolo, il tondo e il quadro, l´eccentricità balorda del pi greco, quei due più due a cui, con tutta la buona volontà, non si riesce a far fare quattro. Quello che forse dovremo finalmente comporre è l´elogio dell´approssimazione, la cosa ma anche la parola, con la sua proficua ambiguità. Fin negli spot di Aldo, Giovanni e Giacomo «approssimativo» è un´insolenza isterica, riferita alla dimensione miserabile della sciatteria. Ciò che è approssimativo si può accettare solo in via provvisoria, magari rivestendolo con quel lessico finto-specialistico con cui i tecnici parlano di «misure spannometriche» quando non addirittura di rilevazioni «nasometriche». «A spanne», in maniera goffamente quantitativa; o, fin anche qualitativamente, «a naso». In questa autoironia un po´ patetica è come se si aprisse un dubbio abbagliante, uno spiraglio di luce in una fessura: il dubbio che un poco di qualità, sensibilità e intuito umano serva a stabilire, se non la misura esatta, il senso finale delle cose e della nostra volontà di misurarle. La vocazione all´esattezza ci fa andare oltre il quarto, il quinto, il sesto decimale del pi greco: uno scrupolo spannometrico ci consiglia però il punto in cui fermare il calcolo infinito; è lo stesso scrupolo che ci ha impedito di dare troppa importanza ai ventisei secondi che sfuggono ancora al calendario gregoriano. In fondo basta sapere che ci sono. Ecco allora che la vera Correzione della Correzione sta nel rivalutare il pressappoco: non come definitiva rinuncia all´esattezza ma, e al contrario, come volontà di perseguirla per piccoli e attenti passi, senza mai proclamarla. Ogni 29 febbraio celebrato - così come ogni 29 febbraio mancato - ha come patrono la vocazione umana all´aggiustamento, al dubbio sistematico, all´approssimazione virtuosa.