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 2007  dicembre 30 Domenica calendario

ROMA – Soldi, mezzi e uomini alla fine sono serviti per fiaccare le resistenze delle autorità di Tripoli

ROMA – Soldi, mezzi e uomini alla fine sono serviti per fiaccare le resistenze delle autorità di Tripoli. Quattro anni dopo l’avvio della trattativa con il colonnello Gheddafi, l’Italia sigla l’accordo per combattere l’immigrazione clandestina. E ottiene quello che fino a qualche mese fa appariva impensabile: il pattugliamento delle coste libiche. La firma congiunta sul documento viene messa dal ministro degli Esteri Abdurrahman Mohamed Shalgam e dal titolare del Viminale Giuliano Amato, volato ieri mattina in Africa con il responsabile del suo gabinetto Gianni De Gennaro e con il capo della polizia Antonio Manganelli. «Ora – dice – potremo bloccare i traffici illeciti e salvare tante vite». Palazzo Chigi parla invece di «intesa che rafforza i rapporti tra i due Paesi». Il modello è quello albanese. Squadre miste italo-libiche controlleranno il tratto di costa da cui ogni anno partono migliaia di disperati. S’imbarcano su gommoni e pescherecci, sempre più spesso su mezzi di fortuna, dal porto di Zwara o dalle spiagge che si trovano nel Nord del Paese. Arrivano dal Niger, dal Ciad, dal Sudan, dall’Eritrea. Ma anche dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Egitto. Affrontano il deserto e chi sopravvive aspetta poi che arrivi il proprio turno per tentare la traversata fino a Lampedusa o altre isole della Sicilia. Alcuni si sono spinti sino in Sardegna. Finora la Libia aveva rifiutato qualsiasi tipo di cooperazione senza l’impegno dell’Italia, ma soprattutto dell’Unione Europea, a fornire i mezzi per effettuare i controlli delle frontiere interne. «Non ci servono uomini – ha più volte dichiarato il ministro degli Esteri di Tripoli – ma le apparecchiature che ci consentano il monitoraggio completo dei confini». Una richiesta che naturalmente prevedeva anche un impegno finanziario della Ue. Ora che il governo Prodi si è fatto garante di questi rapporti internazionali e ha anche accettato di versare la propria parte di contributi, l’accordo è stato chiuso. «I pattugliamenti – si legge nel testo – saranno organizzati con sei unità navali cedute temporaneamente dall’Italia (che poi saranno sostituite da altrettanti mezzi consegnati in via definitiva). I mezzi imbarcheranno equipaggi misti ed effettueranno operazioni di controllo, ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza e di transito delle imbarcazioni dedite al trasporto degli immigrati clandestini ». ROMA – Si è mossa su un doppio binario la trattativa dell’Italia con la Libia. Ma alla fine l’uomo della svolta è stato Gianni De Gennaro, l’ex capo della polizia attuale responsabile del gabinetto del ministro Giuliano Amato. stato lui a tessere la tela con le autorità di Tripoli sin dal giugno scorso e a ottenere il via libera definitivo all’accordo. Il resto lo hanno fatto i diplomatici che in questi ultimi mesi hanno assicurato a Gheddafi l’impegno formale per sanare i vecchi conti del passato, cioè i danni causati dal colonialismo che il colonnello non ha mai smesso di pretendere. E così il titolare della Farnesina Massimo D’Alema agli inizi di novembre ha potuto dichiarare pubblicamente: «Abbiamo raggiunto un’intesa di massima che dovrà essere perfezionata». Un patto che prevede l’impegno dell’Italia alla costruzione dell’autostrada che attraversa tutto il Paese, visto che parte dal confine con la Tunisia e arriva a quello con l’Egitto.  il «grande gesto» più volte promesso da Silvio Berlusconi quando era a capo del governo e mai realizzato. stato il nodo da sciogliere per riuscire a convincere il governo della Giamahiria a consentire il pattugliamento delle sue coste. Ma non è stato l’unico. Perché De Gennaro ha mostrato concretamente quale potesse essere l’apporto che l’Italia era disposta a fornire per aiutare i libici a presidiare le proprie frontiere interne. E così sono stati consegnati «cinque veicoli fuoristrada completamente allestiti per il deserto e dotati di apparecchiature satellitari gps e impianti radio; gli strumenti per l’individuazione del falso documentale; sette computer e altrettanti sistemi di comunicazione satellitare». Ma è stato soprattutto messo a disposizione un finanziamento di due milioni di euro dell’Unione Europea al quale l’Italia ha partecipato con 700.000 euro, per mettere a punto il progetto di rimpatrio volontario per gli extracomunitari entrati in Libia dai Paesi limitrofi. Segnali forti che, uniti all’organizzazione dei voli interni per riportare a casa i clandestini affidata proprio agli italiani, hanno alla fine convinto il colonnello Gheddafi. Il negoziato, come del resto avviene da anni, ha avuto anche nell’ultimo periodo fasi alterne. Avviato quando al Viminale c’era ancora Giuseppe Pisanu, è stato più volte interrotto dal governo libico. E gli analisti sono stati concordi nel valutare come nei momenti di crisi tra i due Paesi gli sbarchi di persone provenienti dai porti che guardano l’Italia si siano intensificati. Del resto, basta allentare i controlli e consentire alle carrette del mare di salpare per far sì che sulle coste siciliane arrivino migliaia di clandestini. Persone che dovrebbero essere riportare in patria, ma che molto spesso si è costretti a trattenere visto che con alcuni Stati non esistono accordi di riammissione. Nel giugno scorso è stato consegnato il centro di accasermamento per la polizia libica a Gharyan, costruito con fondi italiani, e il Viminale ha messo a disposizione sette milioni di euro per creare il sistema informatico di registrazione dei dati anagrafici dei cittadini. L’Italia si è fatta carico della formazione del personale di polizia e dell’addestramento dei piloti e degli ufficiali che a bordo di elicotteri e motovedette si occupano della ricerca in mare. L’impegno a concedere altri fondi e farsi garante nei confronti dell’Unione Europea per la consegna di mezzi e ulteriori soldi alla fine ha sbloccato la trattativa. Ieri mattina il ministro Amato, accompagnato da De Gennaro, è volato a Tripoli per la firma definitiva. L’incontro con Gheddafi è saltato all’ultimo minuto, ma ci sarà tempo per rivedersi. Anche perché il premier Romano Prodi sembra intenzionato a tornare in Libia entro la fine di gennaio. Fiorenza Sarzanini