Paolo Salom, Corriere della Sera 30/12/2007, 30 dicembre 2007
«Il sistema socialista finirà col sostituirsi al sistema capitalista; è una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell’uomo
«Il sistema socialista finirà col sostituirsi al sistema capitalista; è una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell’uomo... ». Pagina 25 del Libretto Rosso, il verbo di Mao. E la sua fortuna. Perché se, in Cina, il sistema collettivistico, invece di sostituire quello capitalista, lo ha assorbito fino a creare «un’economia socialista di mercato», i diritti d’autore (creazione che più borghese non si può), provenienti soprattutto dalla «piccola Bibbia» che anche in Occidente ha solleticato le fantasie di tanti giovani rivoluzionari, si sono accumulati fino a creare un gruzzolo conteso dagli eredi di Mao. Lo rivela, a oltre trent’anni dalla scomparsa del Grande Timoniere, una rivista di partito, Dangshi Wenyuan. Il tesoro, 130 milioni di yuan, equivalenti a 12 milioni di euro, giace su due conti correnti della Banca cinese del popolo, uno aperto presso gli sportelli «privati» della nomenklatura, nel quartiere del potere (Zhongnanhai). L’altro nella sede centrale dell’Istituto di credito. Mao aveva voluto intestarli alla «Cellula numero uno del Comitato Centrale». Nessuno ne immaginava l’esistenza, a parte lo stesso Mao, Zhou Enlai e due guardie del corpo del leader, una delle quali, Zhang Yufeng, ha protetto nei decenni il denaro accumulato, una vera fortuna per la Cina d’allora, un’eredità cui oggi i nipoti di Mao guardano con interesse crescente. In passato nemmeno la potentissima Jiang Qing era riuscita a metterci le mani, anche se aveva sollevato il problema con il marito. Lui – riferisce la rivista Dangshi Wenyuan – se era di buon umore, le garantiva che le avrebbe lasciato la sua parte; ma se era inverso (e negli ultimi anni accadeva spesso), l’accusava di desiderare la sua «fine prematura». E il discorso si chiudeva. In seguito, sin dalla scomparsa del Grande Timoniere (9 settembre 1976), il figlio Mao Anqing (morto a marzo scorso), le figlie Li Min e Li Na, i nipoti (oggi sono quattro, oltre il bisnipote Mao Dongdong, 4 anni) hanno chiesto di potere «ereditare» il tesoro nascosto di Mao che, tra l’altro, continua a crescere per effetto degli interessi e perché, sebbene con un ritmo più lento, i diritti d’autore continuano a essere versati sui due conti segreti. Il partito ha però sempre negato la successione, con la scusa che il denaro proveniva dalla «cristallizzazione della saggezza collettiva del partito». Insomma: il miliardo e più di copie del Libretto Rosso vendute ai tempi della Rivoluzione culturale e le montagne di Opere scelte ( Poesie comprese, 85 milioni di copie) che venivano acquistate non solo in Cina (i diritti d’autore dei volumi tradotti in quattordici lingue sono ancora conservati in una banca svizzera: 400 mila franchi) erano sì il frutto del genio politico di Mao, ma, come dire, di «proprietà pubblica». Riusciranno i nipoti a mettere le mani sul gruzzolo? Intanto possono meditare su una massima del Libretto Rosso: «Cercate di avere in testa le "cifre". E scambiatevi le informazioni». Paolo Salom