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 2007  dicembre 27 Giovedì calendario

Moravia copiava. Panorama 27 dicembre 2007. L’incipit, secco ed essenziale, è di quelli che non si dimenticano: «Entrò Carla»

Moravia copiava. Panorama 27 dicembre 2007. L’incipit, secco ed essenziale, è di quelli che non si dimenticano: «Entrò Carla». Sì, entrò Carla nel romanzo italiano. E le cose non furono più le stesse. Correva l’anno 1929 quando il giovane Alberto Pincherle, nome d’arte Alberto Moravia, pubblicò il suo primo romanzo, Gli indifferenti: un lucido, spassionato e proprio per ciò spietato ritratto di famiglia in un interno. Carla e suo fratello Michele, la svagata Mariagrazia loro madre, l’amante Leo Merumeci rappresentavano con entomologica crudezza l’apatia morale della borghesia italiana negli anni del fascismo, dal quale infatti il libro fu subito osteggiato. Invano. Quel romanzo pubblicato a sue spese da un ragazzo appena ventiduenne, che l’aveva iniziato 6 anni prima in sanatorio, era destinato a diventare un piccolo classico moderno, inaugurando la carriera d’un vero e proprio guru delle nostre lettere. a partire da Gli indifferenti che certe atmosfere narrative, in cui si mescolano sesso e noia di uomini e donne senza qualità, vengono a definirsi una volta per tutte «moraviane». Eppure, quel romanzo così fortemente peculiare, quel punto di vista idiosincratico non nascono nell’iperuranio. A ispirarne più d’un aspetto, ne è convinta l’italianista Daniela Marcheschi, è stato il capolavoro dell’ottocentista russo Michail Saltykov-Scedrin, I signori Golovlëv, che l’editore Carabba aveva tradotto nel 1918. «Quel romanzo era ben conosciuto nella cerchia letteraria frequentata da Moravia e dal suo amico Dino Terra» precisa Marcheschi, fresca reduce dalla direzione scientifica del convegno internazionale su Terra svoltosi a Lucca tra il 14 e il 15 dicembre. Negli anni Venti e Trenta, Terra era uno scrittore ben noto. Tanto che a qualcuno sembrò di riconoscerlo nel protagonista dell’Avaro, un racconto lungo pubblicato nel 1938 da Moravia, costretto a scrivere a Terra una lettera per negare l’addebito (riquadro in basso). Come s’incominciano a scoprire le tracce dei Signori Golovlëv negli Indifferenti, lo si può evincere attraverso i riscontri testuali suggeriti da Marcheschi nel riquadro a destra. «I personaggi principali, dalla madre frivola alla nipote Nina che si concede per interesse a un riccone, fino a Porfirij, avido e sensuale come Leo Merumeci, presentano sicure analogie con quelli del romanzo moraviano» osserva la studiosa. «Indifferenza e noia, altri marker linguistici tipici di Moravia, sono parole chiave anche nel testo di Saltykov-Scedrin». Intendiamoci: l’influsso della narrativa russa dell’Ottocento sul primo Moravia non era certo ignoto, per via di quella condizione semipatologica di pigrizia e abulia, di oblomovismo trapiantato nella borghesia romana, tipico di tanti suoi personaggi. Ma il riferimento andava un po’ genericamente a Fëdor Dostoevskij. Saltykov-Scedrin è una scoperta. «Fondamentale è il rapporto di amicizia e militanza letteraria che in quegli anni Moravia condivideva con autori come Nicola Chiaromonte e Dino Terra. Il quale, in un paio d’interviste inedite, rilasciate allo storico Paolo Buchignani nel 1993, 2 anni prima di morire, dichiarò che I signori Golovlëv era stato un libro decisivo per qualcuno di loro. I riscontri testuali fanno pensare che si trattasse proprio di Moravia: carta canta» conclude Marcheschi. C’è chi non l’ha presa bene. Per esempio, critici come Franco Cordelli e Antonio Debenedetti (più sfumato Raffaele Manica), che si sono affrettati a gridare al delitto di lesa maestà davanti all’ipotesi d’un Moravia «copione». E anche se fosse? L’originalità in letteratura è faccenda complessa. Ogni vero scrittore, diceva Jorge Luis Borges, inventa i suoi precursori. Imitandoli, li ricrea, li rende visibili come per la prima volta. anche attraverso la lente degli Indifferenti che il capolavoro di Saltykov-Scedrin può parlarci in modo nuovo. Quello di Moravia rimane un romanzo capitale; inconfondibile il suo stile, se è vero che resiste anche alla parodia inconsapevole. Come quella d’uno studente italoamericano che, raccontano Guido Almansi e Guido Fink in Quasi come, tradusse il fatidico «Entrò Carla» con «He entered Carla», ossia «Egli penetrò Carla». Più moraviano di così! ROBERTO BARBOLINI