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 2007  dicembre 24 Lunedì calendario

Don Gelmini prova a patteggiare col Papa. La Stampa 24 Dicembre 2007. ROMA. Saranno presto depositati gli atti inerenti al rinvio a giudizio di don Pierino Gelmini, il fondatore della Comunità Incontro

Don Gelmini prova a patteggiare col Papa. La Stampa 24 Dicembre 2007. ROMA. Saranno presto depositati gli atti inerenti al rinvio a giudizio di don Pierino Gelmini, il fondatore della Comunità Incontro. Fonti della Procura della Repubblica di Terni hanno confermato che le inchieste e le indagini fin qui svolte si avviano alla loro conclusione formale con la richiesta di rinvio a giudizio per l’ottantenne sacerdote. Don Gelmini, colpito da un grave malessere cardiaco, versa in condizioni fisiche molto gravi.  stato ancora una volta lo psichiatra-portavoce Alessandro Meluzzi a comunicare le presunte volontà del fondatore ed unica guida della Comunità Incontro, con un comunicato stampa destinato a far discutere. «Don Gelmini», ha dichiarato Meluzzi, «sua sponte ha mandato una lettera a Sua Santità, finalizzata a garantire "perinde cadaver" (fino alla morte) la sua permanenza con i ragazzi della comunità. Pertanto si spalanca un orizzonte doloroso legato a questa vicenda giudiziaria, per poter affrontare le questioni ad essa legate, don Gelmini chiede autonomamente ”pro gratia” (quindi non perché imposto) al Santo Padre la riduzione allo stato laicale». Ogni volta che si torna a parlare di don Gelmini, sacro e profano sembrano intrecciarsi con effetti non sempre consoni alla gravità del momento vissuto dalla Comunità. Decriptato dallo strano ecclesiastichese usato da Meluzzi, sembrerebbe che don Gelmini abbia chiesto di sottrarsi agli obblighi contratti con la Chiesa come sacerdote per «obbedire» ad un superiore interesse, quello di restare con i suoi ragazzi. Solo che la formula, quella corretta è «perinde ac cadaver» (come un cadavere), nella mistica cattolica, rimanda alla volontà di obbedire al Pontefice ed ai legittimi superiori della Chiesa anche a costo del sacrificio di ogni interesse personale. Nel linguaggio dei rapporti ecclesiastici dunque, la vera notizia sembra essere un’altra: la vicenda di don Gelmini, è entrata nell’ambito del diritto penale canonico. La «riduzione allo stato laicale» è infatti la massima pena con la quale vengono puniti i chierici che si macchiano dei delitti più gravi previsti dall’ordinamento ecclesiastico; può essere imposta altresì, a richiesta dell’interessato, a coloro che non intendono più sottostare agli obblighi liberamente assunti quando hanno chiesto di essere ordinati sacerdoti. Insomma, una specie di patteggiamento canonico dove la pena della riduzione allo stato laicale, viene accettata in cambio della rinuncia da parte della Chiesa, ad esigere il rispetto dei patti liberamente assunti con essa. Quest’ultima ipotesi sembra essere la strada scelta da don Pierino Gelmini per risolvere, senza lungaggini procedurali, i numerosi problemi canonistici inerenti allo status giuridico delle opere da lui fondate e venuti alla luce dopo la sua iscrizione al registro degli indagati della Procura di Terni per presunti abusi sessuali. Il sacerdote aveva accusato l’atto giurisdizionale del giudice italiano come ispirato da sentimenti anticlericali. E tali dichiarazioni erano state criticate dal’ex vicario del Papa per la Città del Vaticano ed attuale presidente dell’ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, il cardinale Francesco Marchisano. Durante lo scorso autunno, il vescovo di Terni monsignor Vincenzo Paglia, superiore ecclesiastico competente, ha preso contatto con don Gelmini per poter chiarire innanzitutto lo status giuridico della Comunità, riconosciuta dall’ordinamento civile ma non da quello canonico. E per porre fine allo strano rito latino-greco-melchita-ameliano che il sacerdote ha fantasiosamente introdotto nella sua comunità. Due procedimenti ora messi in stand by con la richiesta di riduzione allo stato laicale. Evidentemente, l’obbedienza non è più una virtù. Soprattutto quando si hanno degli interessi da difendere. FILIPPO DI GIACOMO