La Stampa 23/12/2007, pag.5 GIUSEPPE ZACCARIA, 23 dicembre 2007
Atene, aspettando il prossimo sorpasso. La Stampa 23 dicembre 2007. Atene. Considerati dai tavoli di Vlassis, storica «taberna» del centro, da queste parti gli indicatori di felicità parrebbero orientarsi sul bello stabile
Atene, aspettando il prossimo sorpasso. La Stampa 23 dicembre 2007. Atene. Considerati dai tavoli di Vlassis, storica «taberna» del centro, da queste parti gli indicatori di felicità parrebbero orientarsi sul bello stabile. Non del tutto, d’accordo. Per via di un vecchio problema alla rete elettrica metropolitana ogni tanto manca la luce e per arrivare fin qui la caccia al taxi ha raggiunto l’intensità di un safari keniota. Però il vino è buono, i suvlaki eccellenti, c’è tolleranza verso i fumatori e i prezzi sono molto contenuti. Nei tempi dilatati di un pranzo ellenico qui dentro si percepisce soddisfazione ed un certo fatalismo ottimista, ecco perché nonostante certi parametri non vengano inseriti negli indicatori economici il luogo sembra adatto a iniziare un’indagine sul dubbio che ci attanaglia. Ma davvero dopo (forse) gli spagnoli anche gli ellenici sono destinati a superarci in termini di economia? Da noi qualcuno ha fissato la scadenza epocale per il 2012, altri ipotizzano la svolta entro un massimo di tre anni. Il vecchio proprietario della trattoria non ci crede molto. Alla domanda se la Grecia (nel periodo natalizio «capta» dall’alluvione di panettoni al mandorlato) sia pronta a riconquistare il «ferum victorem» a suon di appalti alza i cespugli piantati al posto delle sopracciglia e risponde scettico: «Makari». Subito dopo presenta il conto, quasi temendo nell’avventore l’incombere di una crisi alcolica. Nelle risposte dei greci alle idee di un imminente sorpasso sull’Italia quel «makari», ovvero che Dio lo voglia, è una costante anche se dopo aver soppesato meglio la domanda qualcuno si informa cortesemente sul tuo stato di salute. Anzi, man mano che si sale nella scala sociale e nella conoscenza degli schemi economici l’idea di raggiungere e superare il livello di vita di noi italiani si fa sempre più rarefatta, fino a tramutarsi in qualcosa che non sfiora neppure la mente di una persona ragionevole. «Depressione italiana? Ma di cosa sta parlando?». Janis Zakalidis, uno dei più noti sociologi di Atene, pare scandalizzato dai nostri timori. «Un tempo - dice - avevamo coniato il famoso ”una fazza una razza” per indicare i punti di contatto fra i nostri due Paesi che si fondavano su alcune qualità e molti problemi in comune. Questo però valeva un tempo, da molti anni l’Italia è divenuto Paese sviluppato, un modello da imitare, una delle migliori espressioni europee di volontà e libertà, e per giunta con un’identità precisa...». Il sociologo non lo dice ma sembra aggiungere: e adesso come fate voi ad avere paura? No, davvero, a confrontarsi con i problemi altrui l’eurofrustrazione si relativizza, se non altro perché assume valenze speculari. Perfino un politico consumato come Gerasjmos Giakoumatos, fino all’altro ieri ministro del Lavoro non dice «makari» però ammette che le distanze sono ancora molto, ma molto ampie. Il suo partito, «Nuova Democrazia», è al governo e come formazione di centro destra ha mantenuto a lungo stretti rapporti con «Forza Italia» sviluppando analisi e terapie comuni. Lui per esempio dice che «pure se molto è stato fatto nel sistema permangono problemi strutturali e rigidità difficili da affrontare, come il mercato del lavoro che ancora dipende in massima parte dallo Stato». Cambiano le parole, i problemi sono identici: privatizzazione, udite, si dice «idiotikopiisi», ovvero ricetta salvifica per limitare l’«anergìa» (disoccupazione) la quale a sua volta potrebbe alleviare il «hreòs», il debito pubblico. Se noi privatizziamo l’Alitalia, senza maggiore successo qui si tenta di fare lo stesso con la Olympic Airways, i porti e le ferrovie mentre si susseguono gli scioperi, nel mondo del lavoro l’instabilità è altissima e statisticamente un lavoratore virgola otto (peraltro mal pagato) dà da mangiare a un pensionato. Qualche progresso si registra, è vero: per esempio il tasso di produttività è dell’1,6 per cento contro 1,5 della media europea, la crescita del Pil è la maggiore nella zona euro e anche il tasso di disoccupazione scende dall’8,9 all’8,7 per cento ma basta questo a far temere uno storico sorpasso? Giakoumatos risponde con un sorriso: «Se davvero avete questo problema, penso che possiate stare tranquilli...». Eppure c’è qualcosa che la Grecia di questi anni dovrebbe insegnarci. Ianis Patsiavos, capo delle relazioni internazionali della «Sev», la locale Confindustria, ammette che parte della crescita è drogata. « Questo Paese - dice - non è ancora uscito dalla sindrome del post-Olimpiadi, nel senso che sfrutta fino ad esaurimento l’abbrivio di quegli acceleratori». Lui stesso però spiega che «oltre ad ampliare settori tradizionali di eccellenza come i noli marittimi o il commercio le imprese sono riuscite a modernizzarsi per affrontare mercati nuovi». Le esportazioni stanno aumentando e soprattutto la Grecia delle imprese ha giocato e vinto una scommessa enorme, quella dei mercati balcanici. Lo conferma uno che nel nome aveva il destino, Stelios Ekonomidis, proprietario della «Arcon», grande impresa di costruzioni con sedi ad Atene, Sofia e Bucarest. «Gli investimenti greci nei Balcani ormai assommano a più di tre miliardi di euro e si sono rivelati una miniera d’oro». In Serbia gli ipermercati «Vero» appartengono alla famiglia Veropoulos, in Macedonia rivalità secolari sono state superate in nome del mattone. Dovunque si siano compiute ristrutturazioni e rammodernamenti le imprese greche hanno guadagnato miliardi. E gli italiani? Una fonte dei Veropoulos sentenzia: «Per fare imprenditoria bisogna aprirsi al nuovo e investire, non solo risparmiare sulla mano d’opera o ad aggrapparsi alle mammelle di uno Stato diverso». GIUSEPPE ZACCARIA