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 2007  dicembre 27 Giovedì calendario

Politici, sapersi vendere è tutto. Panorama 27 dicembre 2007. Quello che è successo al premier inglese Gordon Brown è pazzesco e dimostra che ormai in politica sapersi vendere al pubblico non è la cosa più importante, è tutto

Politici, sapersi vendere è tutto. Panorama 27 dicembre 2007. Quello che è successo al premier inglese Gordon Brown è pazzesco e dimostra che ormai in politica sapersi vendere al pubblico non è la cosa più importante, è tutto. Una volta esistevano anche i carismi freddi, ora solo le leadership calde. il nuovo «tutto» del gioco del potere. Cari politici italiani stretti dalla morsa leggera di Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, e nel loro caleidoscopio di colori e immagini, sappiatelo: no personalità, no party. Ricapitoliamo. Gordon Brown non è un grigio burocrate laburista. all’origine, con Tony Blair, della grande rivoluzione del New labour. Insieme, 15 anni fa, decisero che bisognava tagliare la barba al profeta Marx e ai suoi epigoni, che si doveva conquistare il potere saldamente in mano ai conservatori di Margaret Thatcher e di John Major reinventando una strategia generale, un’identità socialista di tipo liberale (felice ossimoro) e un modo di essere e presentarsi ai britannici, agli europei, al mondo. Sempre insieme, Blair e Brown congiurarono contro la vecchia guardia, uccisero politicamente gli avversari old fashion, presero il potere nel partito e poi nel paese, che hanno governato, sempre insieme, per 10 anni, battendo ogni record di longevità e di vitalità, assimilando l’eredità della Iron lady e aggiornandola, facendo della Gran Bretagna un paese sempre più cool e gagliardo in ogni aspetto della sua vita civile e sociale. La funzione di Brown è stata decisiva. Era, accanto a Blair, l’uomo delle sicurezze, dei soldi, dei bilanci, dell’ordine riformatore, quello che sapeva ciò che diceva quando si parlava di budget, un leader parlamentare fenomenale, capace di incantare la classe dirigente con disinvoltura e competenza. Ma sempre e solo all’ombra della rutilante personalità politica di Tony, del suo inimitabile fascino personale. Poi la catastrofe. No personalità, no consenso. Brown è protagonista della tormentata staffetta, prende il posto del suo gemello politico, e cerca di imporre il suo stile. Uno stile composto, da faticone, con un’ombra di malinconia decisionista in ogni sua espressione pubblica. Pensa di potercela fare, forse Blair aveva esagerato in spregiudicatezza, forse gli inglesi vogliono la famosa «serietà al governo», e io gliela posso dare (così ha pensato Brown, in un primo momento confortato dai sondaggi). Invece, patapùmfete. Nel giro di qualche settimana o mese il premier Buster Keaton, succeduto allo spirito chaplinesque del giovane socio bello e fico, ha cominciato a registrare una rovinosa caduta nei sondaggi. Non passa. Non buca lo schermo, non buca il rapporto diretto con i cittadini, e alla fine semina sfiducia. La competenza? La solidità politica? I risultati? Il curriculum? I cittadini di Sua maestà hanno l’aria di non sapere che farsene. E Gordon Brown entra in quella zona di crisi che in genere prelude addirittura a un cambio di cavallo in corsa, se il New labour vorrà vincere le elezioni contro i conservatori di David Cameron, che nel frattempo si sono astutamente blairizzati. Fatte le debite proporzioni, era successo qualcosa di simile anche a Massimo D’Alema, il nostro Gordon Brown. Primo premier postcomunista, aureolato del titolo di politico più intelligente d’Italia, le cose gli sono andate male, ed è rimasto vittima della propria freddezza e osticità. Invece alla lunga un Veltroni, più generico ma più abbordabile e fantasioso, ha dato lui il via alla storia del Partito democratico, ha raccolto il consenso necessario e si appresta, con chissà quali risultati ma una partenza brillante, a vivere un’avventura politica che riguarda tutti. Non parliamo poi di Berlusconi, che può fare anche sette errori di politica professionale al giorno, ma alla fine i voti ce li ha lui e se li tiene. Buchi? Bene. Non buchi? Finisci all’inferno o, al massimo, in purgatorio. GIULIANO FERRARA