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 2007  dicembre 24 Lunedì calendario

Mika e le lolite del tennis business. La Stampa 24 Dicembre 2007. Le liste sono due. L’ultimo nome da aggiungere, capiremo poi a quale delle due, è Mika Stojanovic

Mika e le lolite del tennis business. La Stampa 24 Dicembre 2007. Le liste sono due. L’ultimo nome da aggiungere, capiremo poi a quale delle due, è Mika Stojanovic. Segnatevelo. Quattro anni, inglese, un sorriso luminoso disegnato dentro un visetto da bambolina più mediterranea che albionica, l’inevitabile racchettona impugnata a due mani. Il mese scorso mamma Simone, 26 anni, suddita di Sua Maesta, e papà Igor, 40 anni, uomo d’affari montenegrino con un passato da cestista, l’hanno iscritta ad un torneo under 10 a Londra, il primo della sua - vogliamo già chiamarla: «carriera»? ovvero il Lawn Tennis Association’s Mini Orange Tournament, organizzato dal gym, in Squirrels Heath Lane. Mika, sventolando rovesci e una coda di capelli crespi, ha vinto due incontri su quattro, battendo due ragazzine di otto anni, il doppio della sua età. Sì, avete capito. Mika è l’ultima arrivata di una serie infinita. Quella dei bambini prodigio. Un fagottino sorridente cui il Daily Mail ha già dedicato una pagina, e che Pat Cash, l’ex-campione di Wimbledon, ha già «prenotato» per una seduta di palleggio l’anno prossimo al Queen’s, giusto prima dell’inizio dei Championships. Qualcuno gli aveva parlato delle doti di Mika, lui si è fatto mandare una cassetta ed è rimasto - pare - basito dalla scioltezza dei colpi della minuscola Miss Stojanovic, tanto da chiamare al telefono la famiglia e assicurarsi lo ius prima palla. Un fulmine, il vecchio Pirata, visto che Mika ha iniziato a giocare da pochissimi mesi. « rimasta affascinata guardando l’ultimo Wimbledon», spiega mamma Simone. «E appena dopo aver visto la finale di doppio misto vinta da Jamie Murray e Jelena Jankovic (un inglese e una serba, guarda caso, ndr) ha iniziato a giocare. Così l’abbiamo portata in un parco qui a East Ham, e ora non fa altro che giocare. Ha iniziato da cinque mesi ma sembra che si sia allenata per anni». Entusiasmo di mamma. Entusiasmo di papà: «Se gioca così a quattro anni, cosa potrà fare fra qualche tempo?», si chiede orgoglioso Igor. «Vogliamo solo nutrire il suo talento, e se questo significherà trasferirsi in America, lo faremo». Una decisione già presa. Mika l’anno prossimo volerà in Florida dove Oscar Wegner, ex coach di Gustavo Kuerten e delle sorelle Williams, ha già studiato per lei un piano quinquennale. L’ultimo entusiasmo è quello, scontato come le parole con cui lo esprime, di John Littleford, direttore della Modern tennis Coaching Academy di Gidea Park, nell’Essex, dove al momento è collocata la presunta piccola buddha: «Mai vista una giocare così alla sua età. Pura gioia. Ha il potenziale per raggiungere qualsiasi risultato. Mika è la prossima numero uno del mondo inglese, e noi dobbiamo solo occuparci di lei». Il digrignante meccanismo della caccia alla predestinata, insomma, si è già rimesso in moto. Senza voler scomodare l’epopea ancora pienamente XIX secolo di Lottie Dod, la proto-Lolita che vinse Wimbledon a 15 anni nel 1887 e ’88, gli esempi delle fanciulline prematuramente (prematuramente?) sbocciate nel tennis è lungo, e va, tanto per citare i casi più eclatanti, da Tracy Austin, che quasi alla stessa età di Mika era finita sulla copertina della rivista specializzata americana «World Tennis» e che nel ’79 diventò, a 16 anni e 9 mesi, la più giovane vincitrice degli Us Open, a Steffi Graf, Monica Seles, Jennifer Capriati, Mary Pierce e Martina Hingis. Da Anna Kournikova, che a 9 anni era già un delizioso oggettino di marketing, a Jelena Dokic, la serbo-australiana che proprio a Melbourne, a gennaio, tenterà l’ennesima rentrèe di una vita-carriera tormentata, alla meteora Alexandra Stevenson, alle Williams e Maria Sharapova. Tra i maschi basterà citare Andre Agassi, che ad allenarsi iniziò quando era in fasce, Michael Chang e più recentemente Richard Gasquet, che Tennis Magazine scoprì nella provincia francese, per battezzarlo futuro fuoriclasse, quando il frugolo non aveva ancora 9 anni; o Donald Young, il fenomeno afro-americano riemerso l’anno scorso dopo stagioni di accecamento per eccesso di aspettative. Ma se un tempo a passare da innocenti e pigmalioni erano i maestri, oggi l’impressione è che il ruolo di scout-pedofili sia passato ai media e agli occhioni elettronici. Le cassette, internet, l’e-mail, le fotocamere, la vetrina onnivora di YouTube moltiplicano ed espongono i presunti Mozart dello sport in presa diretta. Addirittura, come nel caso di Mika, a 4 anni e a cinque mesi dalla prima pallina centrata. Un record, probabilmente. Non sono invece originali la mappa genetica e l’itinerario previsto di Mika. Almeno una metà di cromosomi dell’est europeo, almeno un genitore ex-sportivo, almeno un genitore-padrone (babbo Igor?) affettuoso a parole ma decisissimo a tentare di tutto pur di sfondare; quindi il trasferimento in una delle due grandi incubatrici di campioni contemporanee, la Florida o la Spagna. Il tutto da shackerare con dosi equine di allenamento. O sei Federer, magari la Henin, sostengono i più realisti (o i cinici?), o per sfondare questa è la strada. Obbligata. Asfaltata di ossessione, con un guard-rail di sacrifici. Stesa sopra le gioie e le coccole dell’infanzia. Per i campioni elencati nella prima lista, indubbiamente, ha funzionato così. Esiste però una seconda lista, meno nota, che nessuno pubblica e che riporta i nomi di quelli che non ce l’hanno fatta. Di chi dopo anni di fatiche ha capito di non avere la stoffa per uno sport nel quale, per citare ciò che Yogi Berra diceva del baseball, «conta per il 90 per cento la testa, e per l’altra metà il fisico»; o di chi semplicemente si è ribellato alla tirannia di genitori e coach. «So benissimo che non sarebbe giusto mettere pressione su mia figlia a quattro anni - assicura Mrs. Stojanovic - ma so anche che ha tutto per diventare una numero uno». Prima di Mika gli ultimi buddha segnalati, anche loro a 4 anni, erano stati quelli dell’americano Jan Kristian Silva e di Sonya Kenin, russa emigrata negli States. Jan, il «Tiger Woods del tennis» è stato accolto dall’accademia Mouratoglou, e il suo mentore francese è convinto che Jan «male che vada, vincerà qualche volta Wimbledon». Sonya ha 9 anni ed è la n.1 delle under 10 in Florida, e secondo papà Alex «è felice». Per capire su quale delle due liste finiranno, occorrerà aspettare ancora lunghi anni. STEFANO SEMERARO