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 2007  dicembre 24 Lunedì calendario

OMERO L’ASSIRO

La Stampa 24 Dicembre 2007. Omero senza pace. Le teorie sull’interpretazione dei suoi poemi, sulla loro storicità, sull’affidabilità delle sue ambientazioni costituiscono un complesso filologico immenso che va sotto il nome di «questione omerica» e si arricchisce continuamente. L’ultimo è costituito dall’interpretazione dello scrittore austriaco Raoul Schrott, autore di una traduzione dell’Iliade, secondo il quale il poema non risale al IX-VIII secolo a.C. come si è sempre pensato ma solo al VII, e il poeta non era originario della Ionia come dice la tradizione ma della Cilicia ed era uno scrivano greco al servizio della burocrazia dell’Impero assiro che dominava quella regione proprio di fronte a Cipro.
Troia poi non era affatto sui Dardanelli come si è sempre creduto e non aveva nulla a che fare con la città scavata da Schliemann, Doerpfeld e ultimamente Korfmann, ma era la città cilicia senza nome che è stata scavata a Karatepe («Collina nera») nella Turchia sud-orientale. Lo Scamandro era il Piramo e il mare non era l’Egeo ma il golfo di Alessandretta. Scioccante.
La teoria esposta da Schrott ha convinto fior di accademici. Purtroppo in questi casi è difficile pronunciarsi perché quello che si ha a disposizione per il momento è un’intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Zeitung che gli ha dedicato ben cinque pagine. La teoria sembra comunque basarsi soprattutto sul linguaggio di Omero (Schrott ha anche tradotto l’epopea di Gilgamesh), sull’esame accurato del territorio nei pressi di Karatepe e sul fatto che le descrizioni di Omero non sono secondo lui applicabili al sito di Hissarlik scavato da Schliemann. Lo Scamandro è troppo piccolo, il Monte Ida è troppo rotondo, non c’è nessun approdo capace di ospitare 1.200 navi e via demolendo. Schrott sostiene insomma l’ipotesi che l’Iliade sia nata scritta e non orale come avevano ipotizzato Milmann Parry e Albert Bates Lord, e che la guerra di Troia si debba ambientare nel golfo di Cilicia. Inoltre fa presente che in lingua fenicia (usata anche in Cilicia) gli scrivani erano chiamati bene omerim (figli del cantore), da cui si spiegherebbe il nome che non ha peraltro riscontro nell’onomastica greca del tempo. Il resto si apprenderà quando la teoria rivoluzionaria di Schrott sarà pubblicata per esteso.
Non è la prima volta che la collocazione dell’Iliade viene spostata su altri teatri geografici. Qualche anno fa addirittura si ipotizzò, sulla base di presunti riscontri toponomastici, che l’azione si dovesse collocare nel Baltico!
La questione omerica comincia di fatto già con Giovanbattista Vico, che si accorse della stratificazione presente nei poemi omerici, della differenza molto forte tra Iliade e Odissea e di anacronismi frequenti che segnalavano epoche diverse a cui attribuire i singoli passi. Da quel momento in poi la letteratura critica su Omero è dilagata e le ipotesi e gli studi si sono susseguiti a getto continuo.
Un punto fondamentale fu la ricerca condotta negli Anni 30 del secolo scorso dagli studiosi americani Milman Parry e Albert Bates Lord. Armati di uno strumento tecnologico rivoluzionario, il magnetofono, registrarono i componimenti dei poeti orali serbi e arrivarono alla conclusione che i meccanismi compositivi erano gli stessi che si potevano trovare nei poemi omerici. Questa ipotesi, largamente accettata dagli studiosi, risolveva molti problemi fra cui quello della stratificazione. Un evento bellico come la guerra di Troia avrebbe innescato una serie di canti che avrebbero dato origine a un corpus fatto di composizioni spontanee di diversa lunghezza e di diverse caratteristiche. Composti in epoche diverse da cantori (gli aedi) diversi, i canti sarebbero poi confluiti nei due grandi poemi di Omero. In questo modo si spiegava bene come mai lo scudo di Aiace, relitto della panoplia micenea, è un pezzo da museo in confronto a quello di Achille, riconoscibilissimo come capolavoro dell’arte orientalizzante del VI secolo a.C., e così pure l’elmo di Merione costituito da zanne di cinghiale, confermato appieno dai rinvenimenti di oggetti uguali nelle tombe micenee, era molto più antico degli elmi crestati presenti in tutto il poema attribuibili alle armature del secolo VI a.C.
Restava comunque il problema del divario antropologico-culturale fra Iliade e Odissea, che presentano due mondi diversi, troppo lontani per poter essere attribuiti allo stesso autore. Qualcuno pensò che Omero avesse composto l’Iliade da giovane e l’Odissea da vecchio, ma si tratta di un’ipotesi onestamente piuttosto ingenua. Ma allora chi era veramente Omero? E se il meccanismo della composizione orale è così sofisticato, come dicevano Parry e Lord, perché mai avrebbe dovuto mettere per iscritto le sue storie?
Una risposta abbastanza plausibile si poteva riconoscere nel fenomeno della colonizzazione che incomincia all’inizio del IX secolo a.C. con la fondazione della più antica colonia greca d’Occidente: Pitecussa, ossia Ischia. Si sa da molti particolari nelle fonti che i piccoli gruppi che migravano, composti solo da giovani maschi scapoli, portavano spesso con sé un poeta, vero e proprio uomo-libro che era il depositario dell’intero patrimonio della tradizione e della memoria storica e culturale. D’altra parte già gli Argonauti avevano preso con sé Orfeo. Ma poi l’invenzione e la diffusione della scrittura avrebbe reso possibile trasportare i poemi anziché i poeti, e quindi ecco la versione scritta del corpus della guerra troiana e dei ritorni di Odisseo e degli altri eroi.
Un ritrovamento archeologico proprio a Ischia portò alla luce un corredo funebre di cui faceva parte una coppa recante un’iscrizione che faceva chiarissimo riferimento a un passo dell’Iliade. La tomba fu datata al IX secolo a.C., per cui se ne dedusse che in quell’epoca l’Iliade non solo esisteva ma era ben conosciuta anche dai greci migrati in Occidente. Dunque in Omero si poteva forse riconoscere colui che per primo aveva messo per iscritto parti del corpus della guerra di Troia. Rimaneva però il mistero di chi fosse e del perché di lui non si sapesse nulla.
Schrott ora ribalta tutto: prima c’era il testo, ed era un testo assiro come quello in cui era scritta l’ultima versione dell’epopea di Gilgamesh, poi sarebbe venuta la diffusione orale. La prova sarebbe nelle formule espressive che si riscontrano solo nelle tavolette in cuneiforme e nella topografia dei luoghi che ancorerebbero l’Iliade all’area della Cilicia, anche se lo studioso ammette che non si può leggere il poema come un Baedeker. E forse anche in certi episodi: è indubbio che la coppia Gilgamesh-Enkidu richiama in qualche punto quella di Achille e Patroclo. Quanto a Omero, era uno scrivano che sapeva leggere il cuneiforme. Qualche anno fa Calvert Watkins credette di riconoscere in un verso in lingua luvia la stessa metrica che esiste in alcuni pochi versi dell’Iliade dissonanti dalla metrica dell’esametro epico, e analogie onomastiche con Omero furono riconosciute nei documenti ittiti. Era quindi esistita un’Iliade asiatica? L’ipotesi non è stata mai scartata, ma Schrott dovrà fornire elementi molto convincenti per ribaltare così radicalmente una topografia e una etnografia egea così profondamente radicate e codificate come quelle che appaiono nel catalogo delle navi e nella continuità della tradizione sulla collocazione di Ilio-Troia nel quadrante nord-occidentale della penisola anatolica.
Valerio Massimo Manfredi