La Stampa 23/12/2007, pag.31 RICHARD NEWBURY, 23 dicembre 2007
Le mie serve padrone. La Stampa 23 Dicembre 2007. LONDRA. Virginia Woolf fu l’apostolo dell’indipendenza delle donne con la famosa richiesta di Una stanza tutta per sé e una rendita personale di 400 sterline l’anno per essere libera di scrivere i suoi romanzi
Le mie serve padrone. La Stampa 23 Dicembre 2007. LONDRA. Virginia Woolf fu l’apostolo dell’indipendenza delle donne con la famosa richiesta di Una stanza tutta per sé e una rendita personale di 400 sterline l’anno per essere libera di scrivere i suoi romanzi. In realtà questa indipendenza si realizzava grazie al personale «invisibile» di casa che, per 25-50 sterline l’anno, faceva tutto: la spesa e la cucina, il rammendo e le pulizie, serviva a tavola e apriva la porta, accendeva i caminetti, rifaceva i letti, scaldava l’acqua per il bagno e il bucato, svuotava i vasi da notte e ripuliva i pozzi neri. La vita agiata della classe media superiore cui apparteneva la Woolf attraversò il passaggio dall’era delle famiglie a intenso lavoro deferente - nella casa dei genitori di Virginia a Kensington cinque domestiche fisse accudivano sette persone - alle famiglie a bassa intensità di lavoro: l’arrivo dei gabinetti moderni, dell’acqua calda corrente, del riscaldamento centrale, delle stufe elettriche e dei frigoriferi, permetteva di vivere in case più piccole o in appartamenti, dove l’abbondante personale di servizio era superfluo. Virginia Woolf raccontò questo cambiamento nei suoi romanzi e nel suo diario dolentemente sincero. Nel 1917 lei, la socialista fabiana, scriveva: «I poveri non hanno opportunità; non hanno buone maniere né autocontrollo con cui proteggersi; noi abbiamo il monopolio dei sentimenti generosi. Oso dire che non è del tutto vero, ma che c’è del vero. La povertà degrada». Virginia Woolf voleva le attenzioni delle domestiche senza dover esercitare l’autorità della padrona. E Nellie Boxall, che per diciotto anni fu la sua cuoca, se ne lamentava: «Non mi tratta da serva». In realtà Virginia Woolf dipendeva dalle sue domestiche - la cuoca e la cameriera personale Lottie Hope - più di quanto loro non dipendessero da lei. Cucinò il suo primo, semplice pasto, dopo i quarant’anni: un fatto comunque rivoluzionario per una padrona di casa del suo ceto. La sorella di Lytton Strachey poteva essere rettore del Newnham College a Cambridge, ma non era in grado di cuocere neppure un uovo. Spesso bloccata dalle sue crisi maniaco-depressive e dal rifiuto di nutrire il corpo per il quale provava solo ripugnanza, Virginia doveva essere nutrita dalle domestiche come fossero sua madre. Associava i rifiuti corporei alla sua scrittura, alla sua sessualità confusa e, sostiene Alison Light nel volume Mrs Woolf & the Servants -The Hidden Heart of Domestic Service, al mondo segreto della servitù «sotto le scale». Nei suoi rapporti con le donne - fossero l’aristocratica Vita Sackville West, la compositrice Ethel Smyth o la sua cuoca Nellie Boxall - Virginia cercava avidamente le cure materne e questo complicava il rapporto con Nellie. Dopo continue battaglie con la «povera cara Nellie» e la sua «timida e astiosa mente da serva» che rivelava «l’umana natura allo stato grezzo», Woolf potè scrivere sul suo diario nel 1934: «Dopo 18 anni sono finalmente riuscita a sbarazzarmi di un’affezionata tiranna domestica». Questo rapporto di mutua dipendenza cambiò quando cambiarono la società e la tecnologia. I Bloomsburiti si erano spostati dalla formale Kensington all’informale Bloomsbury, vicino alla London University, come atto radicale, anche se Miss Genia aveva chiesto a Sophia Farrell, la cuoca di Kensington e tipica «perla» vittoriana, di seguirla. E le aveva pure chiesto l’approvazione della nuova casa. Ma il clima informale e l’assenza di una divisa da lavoro per il personale portarono a quelle rivendicazioni di potere che si sarebbero risolte soltanto quando gli elettrodomestici avrebbe reso inutili i domestici. Per la straordinaria madre di Virginia, gestire la casa e il personale era la sfera della moglie, così com’era un dovere sociale soccorrere i bambini indigenti abbandonati dando loro un tetto e una carriera da servitori. Lottie Hope, che fu a lungo la cameriera personale di Virginia, era stata abbandonata alla nascita sui gradini della Casa dei Poveri e aveva studiato nella scuola di campagna istituita dalla vicina di Kensington di Woolf, Edith Sichel, che dava il cognome Hope (speranza, ndt) a tutti i bambini senza nome che aveva salvato. Questo era il maternalismo vittoriano - che implicava un abisso sociale. Finché fu possibile, Virginia costruì ponti per superarlo, ma era meno capace di un ingegnere sociale ottimista. Le dinamiche erano radicalmente cambiate. La produzione in serie di cadaveri nella Prima Guerra Mondiale, che collaudò la deferenza verso la distruzione, aveva visto l’ascesa al potere dei caporali: Stalin, Mussolini, Hitler. E le cameriere erano diventate le regine di Hollywood. Quando Nellie Bloxall ordinò alla sua padrona di uscire dalla «sua» stanza, Virgina Woolf capì che i rapporti costituiti erano cambiati. Fu ancor più scandalizzata nel 1929, quando Nellie disse: «Stiamo vincendo». La sconvolgeva il fatto che entrambe volessero la vittoria dei laburisti. «Perché? In parte perché non voglio essere governata da Nellie. Penso che essere governati da Nellie e Lotty sarebbe un disastro». Questo è il mondo in trasformazione dei romanzi della Woolf, che nel 1929 scriveva sul suo diario: «Se leggessi questo diario come fosse un libro che mi è venuto incontro, credo che mi attaccherei con avidità al ritratto di Nelly e scriverei una storia - forse dovrei farla ruotare tutta intorno a lei - divertendomi molto. Il suo carattere - i nostri sforzi per sbarazzarci di lei - le nostre riconciliazioni». In effetti le tirannie familiari e le repressioni dei suoi racconti sono spesso viste «dal sottoscala»: la cameriera di Mrs Dalloway, la domestica svizzera dei Ramsay, i devoti servitori di Orlando, gli addetti alla pulizia che salvano dalla rovina la casa in Gita al faro. «Intorno al dicembre 1910 il carattere umano era cambiato», scriveva Virginia Woolf. Lo aveva percepito non con la prima Mostra dei pittori postimpressionisti organizzata dall’amante di sua sorella, Roger Frye e neppure nel Movimento delle Suffragette per il quale lavorava, ma «nell’indole della propria cuoca». Mentre la cuoca vittoriana «formidabile, silenziosa, impenetrabile, indecifrabile, era vissuta come un leviatano nelle profondità inferiori, la cuoca georgiana era una creatura che amava la luce del sole e l’aria fresca; entrava e usciva dal salotto, ora per prendere in prestito il Daily Herald, ora per chiedere consiglio su un cappellino. Tutti i rapporti umani sono cambiati, quelli tra padroni e servi, mariti e mogli, genitori e figli». Virginia Woolf avrà anche sognato una vita senza domestiche, «interamente controllata da una donna, un aspirapolvere e qualche stufa elettrica», ma sono stati gli umili servizi di Nellie e Lottie che le hanno permesso di ideare Mrs Dalloway, Gita al faro, Orlando e Le onde. RICHARD NEWBURY