Corriere della Sera 24/12/2007, pag.28 Massimo Gaggi, 24 dicembre 2007
La sfida della setta anti-shopping In fuga dal mondo dei consumi. Corriere della Sera 24 dicembre 2007
La sfida della setta anti-shopping In fuga dal mondo dei consumi. Corriere della Sera 24 dicembre 2007. NEW YORK – Gelida notte di dicembre. L’ultimo cliente è appena uscito dal grande supermercato della Terza Avenue, all’angolo della 38esima strada. Il personale porta fuori i sacchi degli scarti. Ma, prima dei camion della nettezza urbana, sul marciapiede arrivano i «freegans», gruppi di vegetariani radicali in fuga dalla civiltà dei consumi: gente convinta che si possa vivere – e inquinare di meno – senza comprare nulla (o quasi). Basta rovistare nella spazzatura dei ricchi, indossare abiti dismessi da altri, recuperare sedie, lampade e vecchie tv abbandonate in strada da chi ha appena rinnovato l’arredamento o si è regalato uno schermo ad alta definizione. E, per mangiare, ci sono i supermercati che la sera gettano via tonnellate di cibo in scadenza o, semplicemente, prodotti invenduti che occupano spazio prezioso sugli scaffali. I «freegans», una ventina, arrivano in bici, armati di zainetti, buste e guanti di plastica. Cominciano a palpeggiare i sacchi, ne interpretano il contenuto, aprono quelli più «promettenti». Il mucchio di vegetali ancora intatti, frutta un po’ ammaccata, pane raffermo, scatolame, cresce a velocità impressionante. E il marciapiede diventa palcoscenico: stasera a riprendere la scena ci sono troupe televisive americane, russe e finlandesi. I «freegans» cercano di fare proselitismo e sono abili propagandisti della loro crociata contro il commercio. Il leader del gruppo Adam Wiessman, infila nello zaino una confezione di 12 uova. « contro le regole» confessa. «Non prendiamo mai carne uova e latte, i prodotti più deperibili. Ma queste sono ancora freschissime...». Adam è lo specchio delle contraddizioni della sottocultura «freegan»: barba rada e berretto nero calato sulla fronte, cerca di sembrare un Che Guevara della metropoli, ma è tradito da una corporatura tutt’altro che snella e dai pantaloni di fustagno col risvolto e da un paio di scarpe nere di vernice che spuntano sotto il vecchio giaccone liso. « la nostra filosofia» mi spiega Madeline Nelson, una delle attiviste più anziane del gruppo. «Se troviamo un oggetto ancora utilizzabile, un abito che può essere indossato, lo prendiamo. Anche se non ci piace, anche se è estraneo alla nostra cultura. Noi stessi spesso ci interroghiamo sulle nostre contraddizioni, ma cerchiamo di essere pragmatici». I «freegans» non sono «homeless», pochi di loro sono davvero poveri. Sono, per lo più, studenti o professionisti nauseati dall’eccesso di consumismo che hanno deciso di cambiare vita. C’è chi lo fa clandestinamente come Deirdre – una insegnante che vive e lavora a Brooklyn e che partecipa a questi «raid» all’insaputa del marito e della sua scuola – e chi, come Madeline, è orgogliosa della sua scelta di vita. La Nelson, che ha 51 anni, era il direttore delle comunicazioni di Barnes and Noble, la più grande catena di librerie d’America. «Spendevo centomila dollari l’anno in cose non essenziali. Avevo nel mio armadio quaranta camicie uguali. Una follia». Qualche anno fa si è dimessa e ha venduto la sua casa lussuosa. Oggi vive in un appartamento più modesto e lavora per i freegans e altre organizzazioni del volontariato. La molla della ribellione contro la civiltà dei consumi, racconta, è scattata dopo aver conosciuto il «reverendo Billy», il capo della «Church of Stop Shipping». Un «pastore» che, circondato dal suo coro «gospel», si esibisce nei centri commerciali di mezza America e davanti ai negozi più affollati di Manhattan, invitando la gente a non abbandonarsi al «culto degli acquisti» e minacciando la venuta dei «Quattro cavalieri della Shopocalypse, l’apocalisse dello shopping, se gli americani non la smetteranno di comportarsi da consumatori «compulsivi». Puro teatro: Bill Talen, il «reverendo Billy», non è un prete ma un attore che ha scelto di trasformarsi in attivista dell’anticonsumismo. Uno che bolla Disneyland come la «ground zero» di un commercio innalzato a religione e che invita i cristiani a guardarsi da Topolino, il vero Anticristo. Il suo messaggio suggestivo e sconclusionato – un miscuglio di azioni dimostrative, sermoni seriosi, sortire paradossali e autoironia (Talen ama farsi riprendere mentre gira nei negozi, in bilico tra la sua religione «astensionista» e la tentazione dello shopping) – viene preso sul serio anche da alcuni esponenti religiosi, teologi e da riviste come «Christianity Today». Ma a sostenerlo e ad ispirarsi a Billy sono soprattutto i gruppi delle galassie «antiglobal», dai «no logo» ai «freegans», fino ai Compact: una setta di San Francisco che cerca di vivere solo con cose riciclate. Un movimento organizzatissimo che ha le sue reti (Freecycle Network, Freegan.info), i suoi blog ideologici (No Impact Man, Adbusters), un centro filantropico che aiuta i più poveri (Food not Bombs), guide ai «tour della spazzatura» (Meetup. com), mentre il sito Freegankitchen.com insegna a trasformare gli scarti di cibo in un pasto appetitoso. Un mondo che a volte suscita simpatia, induce qualche consumatore americano a interrogarsi sui suoi eccessi, ma che non fa grandi proseliti. La gente che passa davanti a «vegans» che aprono e richiudono con grande cura i sacchi della spazzatura, sorride più con ironia che con comprensione. Molti rabbrividiscono. Talen in questo momento gode di una notevole popolarità: è il protagonista di «What would Jesus buy?» (Gesù cosa comprerebbe?), film-documentario contro l’America iperconsumista prodotto da Morgan Spurlock, il regista di «Super Size Me», la denuncia dell’America dei «fast food», che tre anni fa ricevette una «nomination» agli Oscar del cinema. Ma gli spettatori del documentario non sono molti. Quando, vestito da telepredicatore, il reverendo Billy si esibisce col suo coro a Times Square o davanti ai negozi più affollati, riceve spesso l’applauso della gente: «Hai ragione, compriamo troppa roba inutile». Poi, però, entrano tutti nei negozi e riempiono le buste dello shopping natalizio. Massimo Gaggi