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 2007  dicembre 27 Giovedì calendario

Ho ascoltato la sua conferenza all’Umanitaria sul tema «Il Medio Oriente fra islamismo e modernizzazione», ma non sono riuscito a farle la domanda che mi stava – e mi sta – a cuore, anche se relativa a una zona geograficamente distante ma affine per argomento

Ho ascoltato la sua conferenza all’Umanitaria sul tema «Il Medio Oriente fra islamismo e modernizzazione», ma non sono riuscito a farle la domanda che mi stava – e mi sta – a cuore, anche se relativa a una zona geograficamente distante ma affine per argomento. Come spiega, se non con la connotazione religiosa, la diversa evoluzione di India e Pakistan, nati lo stesso giorno, il 14 agosto 1947 dalla stessa matrice coloniale, nella stessa area? La prima, pur attraverso terribili accadimenti (assassinii di Indira Gandhi e figlio, tragedia di Amrit Sar, rivolta dei Sikh, ecc.) non ha, neppure per un giorno, abbandonato la sua vocazione che ne fa la più grande democrazia del mondo; il secondo è frequentemente e ripetutamente caduto in tentazioni totalitarie, come al momento attuale. Michele Amato amatoroberto@hotmail.com Caro Amato, P er la verità vi fu una fase, fra il 1975 e il 1977, quando Indira Gandhi proclamò lo stato di emergenza e prese misure repressive contro le opposizioni. Agì duramente e con piglio molto autoritario perché l’unità dello Stato era minacciata da spinte autonomistiche, ma anche perché un tribunale, nel 1975, la ritenne colpevole di brogli elettorali e la condannò all’interdizione dei pubblici uffici per sei anni. Quando il Paese tornò alle urne nel 1977, il suo partito venne sconfitto e Indira, un anno dopo, fu addirittura incarcerata per alcuni giorni. Ma reagì qualche mese dopo fondando un nuovo partito (l’Indian National Congress) che vinse le elezioni del 1980 e le consentì di ritornare al potere. Come vede anche l’India è passata attraverso periodi difficili durante i quali i valori e i principi della democrazia sono stati temporaneamente trascurati. certamente vero tuttavia che la storia del Pakistan è stata molto più complicata e tumultuosa. Il primo problema dello Stato, dopo la sua indipendenza nel 1947, fu l’assenza di un preciso confine fra i popoli indiani e musulmani che abitavano il grande Raj britannico. Vi furono scambi di popolazione accompagnati da un conflitto che provocò alcune centinaia di migliaia di morti e vi furono contestazioni per molti territori di frontiera: la grande regione dei Pashtun ai confini con l’Afghanistan, il Punjab ai confini con l’India, il Belucistan ai confini con l’Iran, il Bengala e il Kashmir, un piccolo principato musulmano di cui gli indiani riuscirono a impadronirsi con un colpo di mano al momento dell’indipendenza. Il risultato fu un mostro geopolitico composto da due entità (il Pakistan nella sua attuale dimensione e il Bengala orientale) separate dal territorio indiano. Il maggior fattore di tensione e instabilità fu per l’appunto il Bengala, troppo lontano e troppo autonomista per accettare il potere di Karachi. Quando il governo centrale scelse l’urdu come lingua ufficiale dello Stato, i bengalesi intensificarono i loro sforzi per la conquista dell’indipendenza. Il risultato di questa congenita anomalia fu una lunga sequenza di guerre, scontri militari, operazioni di polizia, leggi marziali e colpi di Stato. L’episodio più traumatico fu la secessione del Bengala e la costituzione del Bangladesh nel 1971, dopo una guerra in cui gli indiani intervennero con le loro truppe a favore della provincia separatista e inflissero ai pakistani una umiliante sconfitta. Il Pakistan sopravvisse grazie all’importanza della sua posizione geopolitica e all’amicizia degli Stati Uniti, da cui i governi di Islamabad, dove si era trasferita nel frattempo la capitale del Paese, ricevettero considerevoli aiuti economici e militari, soprattutto dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre del 1979. Come lei scrive nella sua lettera, caro Amato, la religione contribuì alle travagliate vicende del Paese. Il Pakistan è musulmano, ma la sua classe politica e militare dovette fare i conti, sin dagli inizi, con gruppi fondamentalisti che desideravano imporre allo Stato i principi della Sharia. E i militari, che tanta parte hanno avuto nella storia del Paese, hanno sempre oscillato fra il tentativo di reprimerli e quello di tenerli a bada con qualche concessione. Sono queste le due posizioni tra cui si è mosso in questi ultimi anni il pendolo del generale Musharraf.