Giovanni Bianconi Corriere della Sera 27/12/07, 27 dicembre 2007
ROMA – Le proteste e le «preoccupazioni» per le mosse del Quirinale, come pure alcune malcelate soddisfazioni, non sono piaciute al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
ROMA – Le proteste e le «preoccupazioni» per le mosse del Quirinale, come pure alcune malcelate soddisfazioni, non sono piaciute al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il nodo della grazia all’ex poliziotto condannato per mafia Bruno Contrada costituisce materia troppo delicata e gravida di conseguenze per diventare terreno di scontro e speculazione politica nel quale tirare in ballo il capo dello Stato. Tanto più se sul colle più alto non s’è fatto altro che rispondere a un paio di lettere e avviare accertamenti e richieste di rito. Ecco perché il presidente della Repubblica ha voluto rispondere con un comunicato stringato e «tecnico», però denso di significato, alle ultime voci che alimentano il «caso Contrada». Quando Napolitano precisa di conoscere bene le procedure e i principi da seguire, intende dire di avere ben presente la portata della vicenda. Nella quale non s’è certo pronunciato a favore della concessione della grazia all’ex funzionario del Sisde condannato, tanto per rispondere a Rita Borsellino e ad altre inquietudini sul fronte dell’antimafia. Ma a coloro che mettono in guardia dall’uso di due pesi e due misure – come chi nel centrodestra paragona Contrada ad Adriano Sofri e compagni – fa capire che ci sono differenze dalle quali non si può prescindere. Tra «tutte le ragioni da prendere in considerazione » e le «procedure da rispettare », il faro della discussione restano le pronunce della Corte costituzionale, ultima quella sul «caso Bompressi» nel maggio 2006. Lì è stabilito che la grazia è un «eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria », mentre la regola per le «ordinarie esigenze » sono gli «strumenti tipici previsti dall’ordinamento penale, processual-penale e penitenziario». Ecco perché, in merito alla compatibilità tra le condizioni di Bruno Contrada e la cella di un carcere militare, la parola spetta al tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere sul «differimento pena» (cioè la scarcerazione) per motivi di salute del detenuto. Su questo punto il presidente della Repubblica s’è limitato a segnalare ai magistrati di Napoli, competenti per territorio, l’opportunità di valutare l’anticipazione della decisione fissata per il prossimo 24 gennaio. Tutto qui. Altro discorso è la domanda di grazia presentata per conto di Contrada dal suo difensore, l’avvocato Giuseppe Lipera. La lettera di «implorazione e supplica» inviata dal legale al Quirinale è stata letta come istanza di un provvedimento di clemenza; l’articolo 681 del Codice di procedura penale indica proprio l’avvocato tra i soggetti legittimati a invocare la grazia per un condannato. Com’è prassi, la presidenza della Repubblica ha girato la richiesta al ministero della Giustizia per l’avvio dell’istruttoria: un atto che non contiene alcuna «sollecitazione », né lascia supporre l’orientamento favorevole del capo dello Stato. Forse l’equivoco è nato da qualche nota ministeriale, ma per il Quirinale – ferma restando l’ipotesi della scarcerazione per motivi di salute – l’iter della grazia a Contrada è appena all’inizio, e ogni valutazione di merito è prematura. I tempi sono una delle differenze tra questa vicenda e quella con al centro Adriano Sofri. Di grazia per l’ex dirigente di Lotta continua condannato per l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi si discute da oltre dieci anni, e solo nel 2006 Napolitano ha firmato (portando a termine l’iniziativa avviata dal predecessore Carlo Azeglio Ciampi) l’atto di clemenza per l’altro condannato per lo stesso crimine, Ovidio Bompressi. Le analogie sono invece nell’andamento contorto e contestato dei processi: in entrambi i casi cinque gradi di giudizio (condanna, assoluzione, annullamento dell’assoluzione, nuova condanna e conferma definitiva) testimoniano valutazioni difformi e controverse di prove, dichiarazioni di pentiti e relativi riscontri, che sommate ai proclami d’innocenza degli imputati hanno lasciato molti dubbi sul verdetto finale. Sia per Sofri che per Contrada l’opinione pubblica s’è divisa (e continua ad esserlo) sulle inchieste e i dibattimenti che ne sono scaturiti, attribuendo valore anche politico alle accuse e al lavoro dei magistrati. E in entrambi i casi i condannati non hanno voluto chiedere la grazia. A differenza di Sofri, però, per conto di Contrada ora l’ha fatto il suo avvocato. Nel 1997 un altro ex presidente, Oscar Luigi Scalfaro, non ritenne di dar seguito a richieste altrui in favore dell’ex leader di Lotta continua: la vicinanza con l’ultima sentenza avrebbe impropriamente trasformato l’atto di clemenza in un ulteriore grado di giudizio. Su Contrada la Cassazione s’è pronunciata nel maggio scorso, e per lui potrebbero valere le considerazioni che dieci anni fa valsero per Sofri. Infine, il processo all’ex poliziotto rientra in una stagione di antimafia giudiziaria (che comprende molti altri casi, da Andreotti in giù) sulla quale l’eventuale grazia riaccenderebbe polemiche mai sopite. E anche di questo il presidente della Repubblica è ben consapevole.