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 2007  dicembre 21 Venerdì calendario

L’assassinio di Alessandrini e i derby di Milano. Parla il figlio Marco

Sarà il derby della verità, dicono. Indimenticabile, promettono. Indimenticabile. Parole leggere, che volano e che la vita, a volte, riempie di significati pesanti. Per Marco Alessandrini, ad esempio, il derby di Milano sarà per sempre indimenticabile. Ma sul serio.
PAPA’ Marco Alessandrini vide per l’ultima volta suo padre Emilio alle 7 e 50 del 29 gennaio 1979, davanti alla scuola elementare di via Colletta, a Milano. Lo salutò ed entrò in classe. Aveva 8 anni. Suo padre fece retromarcia e imboccò viale Umbria per andare in tribunale. All’incrocio con via Muratori venne affiancato da un’auto e bersagliato da otto colpi di pistola, due lo raggiunsero alla testa. Moriva così, rovesciato sul volante, il magistrato che aveva indagato sul terrorismo rosso e nero, meritandosi un encomio per l’inchiesta su Piazza Fontana; il primo a rivelare le deviazioni dei servizi segreti. «Prima Linea » rivendicò l’omicidio con queste parole: «Alessandrini è uno dei magistrati che maggiormente ha contribuito a rendere efficiente la procura della Repubblica di Milano». Cioè: massacrato perché faceva troppo bene il suo mestiere.
BURIANI Marco Alessandrini oggi ha l’età di suo padre quando fu ucciso, 36 anni. Vive a Pescara, terra di famiglia, e fa l’avvocato. Ricorda: «Quella mattina tornai a casa con i genitori di un mio compagno di classe. Pranzai da loro. Venne a prendermi mia nonna e mi disse che papà aveva avuto un incidente. A casa mi spiegarono che era morto. Ero seduto in poltrona, mi alzai e andai a cercarlo in camera. Pensai a un brutto scherzo. Al funerale mi imposi un certo contegno, ma durò a poco. E la mia immagine, quella di un bambino di 8 anni che piangeva suo papà, finì nella "Notte della Repubblica" di Sergio Zavoli. La memoria ha percorsi suoi, esclusivi e spesso insondabili. La foto più nitida che mi è rimasta di mio padre è un derby a San Siro: lo stadio enorme, io piccolo, mio padre vicino, maglie rossonere che si abbracciano e, su tutti, vedo la testa bionda di Buriani. Oggi c’è Ambrosini, ma Buriani era diverso, più scimmiesco, una specie di Gattuso. Rivedo soprattutto lui. L’immagine di quel derby, ancora oggi, è ciò che più mi lega a mio padre».
INDIMENTICABILE Buriani fece 2 gol quel giorno: 16 novembre 1977. Il Milan vinse 3-1. Segnò anche Rivera. Nel gruppo di fuoco che uccise Emilio Alessandrini c’era un terrorista di nome Mazzola. A 30 anni da quel derby, Marco ne aspetta un altro con sentimenti juventini: «Da bambino ero in bilico tra la Juve, squadra di mio padre, e il Milan, squadra della mia città. A farmi decidere fu quel colpo di tacco di Bettega a San Siro e i suoi 4 gol alla Finlandia. Vidi quella partita a casa di Gerardo D’Ambrosio. Bettega era il preferito di mio padre, che in realtà era più sportivo che tifoso. Andava a vedere l’Inter con la tessera che gli aveva regalato l’avvocato Prisco e che mi è tornata in mano in questi giorni, riordinando le cose. Ho foto bellissime di papà che gioca a basket negli anni 60. Roba da pionieri. Oggi a basket gioco io, in una squadra che si chiama "Ammici del basket", con due emme in onore di Dan Peterson. Ma il divertimento vero è giocare a calcio in spiaggia,quiaPescara,sulla Copacabana de noantri
». Milano è lontana.
RABBIA «A Milano mi laureai nel ’95. Ho avuto qualche esperienza di lavoro, ma non mi sono trovato benissimo. La mia dimensione è Pescara. Naturalmente temo che quanto accaduto a mio padre abbia condizionato il mio rapporto con Milano. Ho conosciuto Benedetta Tobagi e il figlio del commissario Calabresi: mi sento legato a tutti i figli delle vittime del terrorismo da un sentimento di fratellanza. Avrò sempre la stessa rabbia davanti agli ex terroristi che vanno in televisione a teorizzare e a insegnare ».
BIONDO Marco Alessandrini lavora in tribunale, dove il calcio è di casa. «Il calcio è una splendida metafora dell’immutabilità del potere. Leggo le ultime intercettazioni e vedo che non è cambiato nulla. Il calcio resta comunque un mondo affascinante e remunerativo, credo: mi piacerebbe lavorarci. Ma ho la sensazione che serva molto pelo sullo stomaco. E’ stato imbarazzante sentirsi juventino negli anni scorsi, ma ora, vedendo i rigori che ci fischiano contro, capisco che si è voltata pagina. Seguirò con nostalgia Ibrahimovic, ma tiferò Milan perchè allo scudetto ci credo e spero che l’Inter si fermi. Il massimo sarebbe un gol-partita di testa di Ambrosini al novantesimo ». Quello biondo. Indimenticabile.