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 2007  dicembre 21 Venerdì calendario

GIANNI RONDOLINO

La sera del 21 dicembre 1937, giusto settant’anni fa, un folto pubblico e non pochi invitati eccellenti, da Charlie Chaplin a Judy Garland, da John Barrymore a Clark Gable a Carole Lombard, si accalcavano davanti al Carthay Circle Theatre di Hollywood per assistere alla prima di Biancaneve e i sette nani di Walt Disney. Un film molto atteso, cominciato nel 1934, proseguito fra non poche difficoltà tecniche e finanziarie, voluto testardamente da Disney che ne avrebbe fatto non soltanto il suo primo lungometraggio a disegni animati, ma anche la sua opera più nota e di maggior successo. Un film che riprendeva la fiaba dei fratelli Grimm in un contesto spettacolare che sfruttava tutti i mezzi del cinema d’animazione sonoro e a colori. Tre anni di ricerche, di sperimentazioni, in cui la storia e soprattutto i singoli personaggi dovevano essere studiati nei minimi particolari. Anche perché, a parte una Silly Simphony del 1934, La dea della primavera, che non per nulla fu considerata la premessa stilistica e formale di Biancaneve, era la prima volta che Disney e i suoi animatori davano vita, non già ai soliti animali antropomorfi, ma a esseri umani. Non si trattava soltanto dei sette nani, con i loro tratti grotteschi e caricaturali, più simili a quei simpatici animaletti disneyani che a uomini in carne e ossa, ma soprattutto di Biancaneve, del Principe Azzurro, della Regina, la bellissima, altera e cattiva Grimilde. Se la fanciulla (e anche il principe, nella sequenza finale) riuscì un po’ di maniera, leziosetta con le sue canzoncine e le sue movenze, non v’è dubbio che la Regina fu un personaggio di grande spessore drammatico. Probabilmente il personaggio che più si ricorda del film, sia quando chiede allo specchio di confermare la sua bellezza sovrana, sia quando, trasformatasi in strega, si aggira per il bosco e insidia l’ignara Biancaneve. Un personaggio che, grazie anche a un libretto gustoso e sapiente di Stefano Poggi, La vera storia della Regina di Biancaneve. Dalla Selva Turingia a Hollywood (ed. Raffaello Cortina), uscito in questi giorni, ha un passato di tutto rispetto. Se è vero, come pare ormai assodato, che Disney, per tratteggiarlo, si ispirò alla bella Uta degli Askani di Ballenstedt, moglie del margravio Ekkehard II di Meissen, raffigurata in una statua del XIII secolo nel Duomo di Naumburg in Germania. Tutto risale al 1935, al viaggio che Disney e suo fratello Roy fecero in Europa per raccogliere materiali e suggestioni per i personaggi, gli ambienti, le scenografie di "Biancaneve". Tra i molti libri illustrati che si portarono a Hollywood ce n’era anche uno tedesco, che illustrava i capolavori del Medioevo germanico, fra cui la statua di Uta. Non sappiamo se fu una illuminazione: sta di fatto che, se si guarda Uta si vede la Regina. Una somiglianza strabiliante, un confronto persino inquietante. Anche perché, come ci ricorda Poggi, la figura di Uta fu, durante gli anni del nazismo, quasi l’emblema della donna tedesca, bella, volitiva, fedele, degna di rispetto. E Disney ne fece invece la strega cattiva, il simbolo stesso della malvagità. Tanto che, a quanto pare, Goebbels, forse più «realista» di stesso Hitler (che amava i disegni animati di Disney), impedì la circolazione di Biancaneve e i sette nani in Germania. E dire che Disney, come si vide nel 1938, quando, unico a Hollywood, volle ricevere Leni Riefenstahl, aveva dimostrato invece una certa simpatia per il fascismo e il nazismo.

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