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 2007  dicembre 21 Venerdì calendario

 uno dei più importanti imprenditori italiani, con interessi che spaziano dalle costruzioni all’immobiliare, dall’industria cementiera all’editoria

 uno dei più importanti imprenditori italiani, con interessi che spaziano dalle costruzioni all’immobiliare, dall’industria cementiera all’editoria. Ma Francesco Gaetano Caltagirone oggi, a 64 anni, è anche qualcosa di più: uno degli snodi fondamentali del sistema finanziario che conta, quello dei salotti buoni, quello che ruota attorno alla costellazione Mediobanca-Generali e, nello stesso tempo, il pivot del terzo polo bancario imperniato su Montepaschi e contrapposto alle corazzate Unicredit e Intesa Sanpaolo. Eppure chi arriva a Roma in via Barberini 28, la strada delle compagnie aeree, all’ingresso del bel palazzo dove ha sede la Caltagirone spa, cuore e cervello del gruppo, non troverà accanto al portone neppure una minuscola targa che ne segnali la presenza. «E a che serve? - spiega con un sorriso - Non ho bisogno di apparire. Lascio ad altri le luci della ribalta e le ostentazioni. Chi vuole sa dove trovarmi». Di lui dicono che, nonostante il carattere spigoloso e lo stile un po’ ruvido, sappia in realtà muoversi con disinvoltura nel mondo politico, coltivando solidi rapporti sia a destra che a sinistra, oltre che al centro dove, però, gioca in casa avendo come genero (ha sposato la figlia Azzurra) l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini. Che rapporto ha con la politica? «Vedo una politica che semina sapendo che non ne vedrà i frutti a causa dei lunghissimi tempi burocratici italiani. Quello che conta è l’annuncio. Si interpreta la politica come la dialettica delle cose da annunciare, senza preoccuparsi della realizzazione». Questo ha creato non pochi guasti. «Basta guardare i dati ufficiali. Dal 1996 a oggi, in dieci anni, l’Italia ha perso in termini di crescita del pil il 10% rispetto alla Francia, il 20% sulla Gran Bretagna e il 30% sulla Spagna, che ci ha superato come pil pro-capite. La media fa -20%. Significa che rispetto a 10 anni fa abbiamo un quinto di ricchezza reale in meno da dividere. Significa che non possiamo più difendere questo tenore di vita». Cosa bisogna fare? «Certe frange politiche propongono di appropriarsi di quote di ricchezza di altre categorie sociali. Ma questa è una scelta miope, destinata in breve tempo a esaurirsi. Solo aumentando la produzione di ricchezza si può difendere un tenore di vita europeo. Non è un problema di nuovi contratti da rinnovare. La ricchezza quando non c’è, non c’è». Insomma, non siamo messi bene. «Paghiamo scelte sciagurate degli anni passati, come lo stop al nucleare e il blocco delle infrastrutture. Ma siamo un Paese arretrato anche perché c’è uno Stato che non funziona: un processo civile dura 15 anni. Temo che questa perdita di ricchezza possa portare a grosse tensioni sociali». Che cosa serve? «C’è bisogno di rigore. Serve un leader che renda consapevoli gli italiani dei sacrifici da compiere. E che non sia eletto solo perché simpatico. Auspico un politico del fare. All’Italia servirebbe una Margaret Thatcher. Certo il nostro sistema non ne agevola la selezione». Messa così, non è che anche lei sia tentato dalla politica? «No, non ho più l’età e ho già tanti impegni».  comunque un imprenditore che si interessa di politica. «Scopo dell’impresa è produrre ricchezza. Che questo finisca per produrre anche potere è incidentale. Sono contro quelle situazioni imprenditoriali che mirano solo a produrre potere, ad esempio governando col 5%, piuttosto che profitto. Negli Stati Uniti non è possibile per una grande impresa avere un’influenza dominante sulla politica perché le grandi aziende sono tante e si crea un equilibrio. Da noi per un periodo abbastanza lungo ci sono state imprese dominanti. Sono per una netta distinzione fra impresa e politica». Qui da noi non è propriamente così. «Se a un imprenditore piace la politica, la faccia. Naturalmente tralasciando l’impresa. la commistione che non mi va bene: è un tentativo di barare. Sono per il mercato e la concorrenza, non mi piacciono le scorciatoie». Lei è il più grande costruttore italiano. Come vede l’evoluzione della crisi del mutui subprime? «Il momento delicato sarà a fine gennaio, quando verranno resi noti i bilanci di banche, assicurazioni e finanziarie straniere. Nessuno sa chi è rimasto con il cerino in mano». Ma la Bce fa bene a tenere su i tassi? «Sì. Se abbassasse il livello di guardia, veramente tante famiglie non arriverebbero a fine mese. Se riparte l’inflazione è un disastro». Come vede l’evolversi del settore immobiliare? «La domanda è in forte decrescita. Per quanto ci riguarda quest’anno i risultati sono buoni. Per i prossimi anni sicuramente ci sarà una contrazione dei volumi». Dagli immobili al cemento: Cementir ha avuto un terzo trimestre 2007 molto buono. Quali programmi avete? «Proseguire l’espansione all’estero. Ancora nel 2000 il nostro mercato era al 100% l’Italia. Oggi il nostro Paese pesa per non più del 20%. E in ogni caso, ovunque nel mondo ci sia una gara per la vendita di un cementificio, noi partecipiamo». L’accreditano di una liquidità di 2-3 miliardi di euro: una massa di manovra enorme. «Diciamo che è verosimile». Potrebbe usarne una parte per crescere nell’editoria. Anche lei subisce il fascino della carta stampata? «Dice bene: i giornali hanno un grande fascino. Ma anche le imprese editoriali devono produrre utili». Regola della casa? «Senza dubbio, sì». Si parla di un suo interesse per ”Il Secolo XIX”. «Come gruppo siamo al di sotto del limite del 20% di quota di mercato dei quotidiani imposto dalla legge. Perciò, se capiteranno occasioni, perché no? A una condizione, però: di poter contare sulla quota di controllo. per questo motivo che non vedo all’orizzonte operazioni sul quotidiano di Genova: il suo editore, Carlo Perrone, non mi sembra assolutamente intenzionato a vendere». Con ”Leggo” lei è fra i protagonisti della free press: come vanno i conti? «A quattro anni dal primo numero, Leggo ha oggi oltre 2 milioni di lettori. Abbiamo già raggiunto il pareggio, anzi un piccolo utile». Nel suo ruolo di azionista e vicepresidente, lei è fra i protagonisti dell’operazione fra Mps e Antonveneta. Ha avuto parole entusiastiche. «Il Montepaschi per la sua storia secolare poteva essere solo banca aggregante e non aggregata. Con Antonveneta presenta interessanti sinergie e quasi nessuna sovrapposizione. La prossima mossa, da studiare con cura, sarà l’espansione all’estero». Lei è visto come crocevia fra la finanza bianca e quella rossa. «Finanza bianca, finanza rossa... Non ci sono banche rosse e banche bianche. Esistono banche buone e banche cattive. E faccio presente che Mps ha una conduzione molto sana». C’è chi dice che ora Montepaschi potrebbe guardare alla Bnl, nell’ipotesi di un disinnamoramento da parte di Bnp Paribas. «Credo che per qualche tempo Montepaschi abbia bisogno di digerire Antonveneta». Che giudizio dà del presidente Giuseppe Mussari? «Una persona intelligente, capace, che ha grande voglia di fare». Condivide le critiche del fondo Algebris sulla gestione e la redditività delle Generali delle quali è consigliere? «Le Generali vanno bene. Hanno distribuito 75 centesimi di dividendo e hanno in programma di portarli in 3 anni a 1,5 euro. Sinora abbiamo avuto risultati superiori alle previsioni. I motivi per cui sono avvenute polemiche e prese di posizione sono fatti a noi estranei e quindi non dovete chiedere a me. Inoltre, ribadisco: non ho mai conosciuto nessuno di Algebris». Lei quindi non è d’accordo con chi dice che Antoine Bernheim debba lasciare libera la poltrona di presidente? «Ma se è appena stato rinnovato nell’aprile scorso...». Come giudica il nuovo assetto di Mediobanca e il presidente Cesare Geronzi? «Geronzi è una persona di grande capacità e ha la possibilità di fare molto bene. Mediobanca negli ultimi 10 anni aveva perso colpi: pensi a quanto lavoro hanno acquisito le banche straniere entrate in Italia con le privatizzazioni e quanto poco la stessa Mediobanca abbia agito all’estero. Dopo questo ridimensionamento, da italiano spero proprio che Mediobanca abbia un rilancio. Internamente ha tutte le personalità per farlo». Cosa pensa della nuova Telecom? «Ho molta stima per Gabriele Galateri e Franco Bernabè. Mi auguro che dopo così tante traversie la società possa finalmente crescere». Lei ai propri manager chiede risultati positivi per le sue aziende. così esigente anche con i suoi figli Francesco, Alessandro e Azzurra, impegnati nel gruppo? «Premesso che Francesco si occupa della Cementir, Alessandro del settore immobiliare e Azzurra dei giornali (Messaggero, Mattino, Gazzettino di Venezia, Leggo), sì, sono esigente. Così come sono esigente con me stesso. Sono stato educato e ho educato i miei figli, a una grande libertà ma col senso del limite, il rispetto dell’etica e il culto della legalità. Certo, anche ai miei figli, così come a tutti in azienda, chiedo di portare risultati». Ha discussioni sul lavoro con loro? «Discussioni no. Possiamo avere idee diverse, ma nel rispetto reciproco». E chi è più duro quando si parla di lavoro fra i tre figli? «Non c’è dubbio: la figlia. Azzurra ha un caratterino...».