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 2007  dicembre 21 Venerdì calendario

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese... La politica italiana torna sempre più frequentemente alle sue origini rinascimentali, all’intrigo e al veleno, al sesso e alla congiura, alle corti e alle milizie

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese... La politica italiana torna sempre più frequentemente alle sue origini rinascimentali, all’intrigo e al veleno, al sesso e alla congiura, alle corti e alle milizie. Nulla è mai come appare, e ogni cosa ne indica un’altra. I complotti s’intrecciano, e ognuno ne nasconde un altro; gossip e news-analysis si specchiano nelle urla degli eserciti contrapposti. Donatella Pasquali Zingone Dini, per la biografia, per l’aspetto da «arrivista, dura, spietata» (sono parole sue) e per la selva di cognomi illustri che porta, è destinata a un ruolo di primadonna in un tale teatro della politica, come lei stessa ha preso ad annunciare, e semmai stupisce che se ne parli relativamente poco.  bella, è ricca, è la moglie di un uomo famoso e tuttora potente. Il «Gruppo Zeta» - sembrerebbe la sigla di una nuova Spectre, o di una banda di tupamaros - che Lady D. ha ereditato insieme ai figli dal primo marito, è diventato una superpotenza con 15 mila dipendenti che ha sedi in Costa Rica e in Guatemala (oltreché a Roma), e che costruisce in tutta l’America Latina grattacieli residenziali, resort e alberghi, uffici, aree industriali e commerciali. L’ampia intervista raccolta da Giovanni Iozzia per Chi, in cui Lady D. annuncia un libro-memoriale sulle sue vicende giudiziarie e una «discesa in campo» in aiuto al marito, è anche un’autodifesa appassionata e un autoritratto forse non così lontano dalla verità: «Sono una donna che ha sposato un uomo straordinario (Zingone), molto più grande di me, che mi ha lasciato troppo presto con due figli che ho dovuto crescere da sola. Ho fatto da madre e anche da padre». Da qui una certa durezza, che in realtà nasconderebbe l’animo di «una donna timida». Chi conosce la signora Donatella e le è amico condivide queste parole, e aggiunge qualche dettaglio in più. Per esempio ne ricorda la bellezza (anche se non risponde al vero la leggenda che la vuole modella nella frizzante Milano degli Anni Sessanta), la determinazione, la voglia di «andare avanti». Risalgono già a quei tempi i pettegolezzi e le malignità sul matrimonio con un uomo «molto più grande» e molto più ricco: Renzo Zingone, il visionario creatore di Zingonia, avveniristica area industriale e residenziale in provincia di Bergamo che avrebbe dovuto ospitare cinquantamila persone e che oggi è una periferia senza centro popolata di extracomunitari. Alla morte dell’imprenditore, una brutta storia di eredità contesa tra figli di primo e secondo letto gettò un’ulteriore luce sinistra, se così si può dire, sulla futura signora Dini. Pettegolezzi dettati dall’invidia, sostengono non senza ragione gli amici: a una donna bella e in gamba - e che Lady D. sia molto in gamba è fuori di dubbio - non si perdona il successo. Vero è che una fama non sempre limpidissima l’ha spesso accompagnata in questi anni, e precisamente da quando il marito è entrato in politica. Il che non per forza significa, come la stessa signora sostiene invece da tempo, che i suoi guai giudiziari siano una ritorsione politica. Più semplicemente, la visibilità ha un prezzo. Così, quando nel dicembre del ”94 si affacciò al Quirinale il nome di Lamberto Dini, ministro del Tesoro del governo Berlusconi appena caduto, come possibile nuovo presidente del Consiglio, non soltanto Prodi - ancora a Bologna, ma già candidato in pectore - espresse una sua contrarietà, ma anche a Botteghe Oscure, dove peraltro il «ribaltone» aveva la sua cabina di regia, non mancavano le perplessità: più per la signora che per il «rospo», come allora il manifesto battezzò Dini. Si parlò a un certo punto di non meglio precisati affari con i libici; in tempi più recenti la signora Donatella è stata tirata in ballo da Igor Marini per una presunta tangente di 5 miliardi nell’affare Telekom Serbia. Tutto falso, quell’«affare»: ma va ricordato come la signora, interrogata dalla Commissione d’inchiesta, abbia dato una spiegazione squisitamente politica del suo coinvolgimento nell’inchiesta: «Forza Italia non mi ha mai perdonato di essere scesa in campo a favore di mio marito. Un esponente di cui non farò il nome mi disse che me l’avrebbe fatta pagare». Non diversa la giustificazione della condanna a due anni e quattro mesi per il crac di 30 miliardi della Sidema srl inflittagli l’altro giorno dal Tribunale di Roma: «Sono finita in alcune trappole politiche, tese da nemici politici di mio marito, che hanno poi fatto scattare le inchieste giudiziarie». Il che, tra parentesi, è l’esatto opposto di quanto avrebbe sostenuto Silvio Berlusconi, alludendo, nel corso di una cena d’auguri con i deputati azzurri, a «qualcuno cui è stato minacciato di mandare in galera la propria moglie» se avesse partecipato alla famosa «spallata» e fatto cadere Prodi. E ritorniamo così al punto di partenza: l’intrigo, il complotto, il doppio e il triplo retroscena, e naturalmente le donne, qui usate come merce di scambio e ricatto, e non importa se attrici in cerca di successo o imprenditrici che l’hanno ampiamente raggiunto. Stampa Articolo