Sergio Romano, Corriere della Sera 21/12/07, 21 dicembre 2007
In una sua risposta lei parla di una situazione di tensione nata al momento della fondazione dello Stato di Israele (1948)
In una sua risposta lei parla di una situazione di tensione nata al momento della fondazione dello Stato di Israele (1948). Come storico lei non può dimenticare quello che è successo nel periodo del mandato britannico; furono venticinque anni nei quali, alla convivenza pacifica fra arabi ed ebrei, si sostituì uno stato di tensione sfociato in numerosi attacchi contro gli ebrei. Questi nel 1919 (come si legge nell’accordo firmato a Londra tra Feisal e Weizmann) erano visti come i fratelli che potevano portare alla rinascita di quelle terre aride e desolate, al punto che Feisal benediceva l’immigrazione che sfuggiva ai pogrom russi e portava ricchezza e sviluppo fra gli arabi di Palestina. Ma subito dopo iniziavano i pogrom. Un solo esempio fra tanti: la plurimillenaria comunità ebraica di Hebron, certa della propria immunità in nome dell’antica amicizia, veniva annientata nel 1929, e si iniziavano a costruire autobus blindati per difendersi dagli attacchi della popolazione araba. Fondamentale fu l’alleanza delle élites arabo-palestinesi con Hitler e Mussolini, mentre gli ebrei erano schierati con gli Alleati. La loro posizione di contenuto filo hitleriano continua ancora oggi nei media come testimonia Palestinian Media Watch quotidianamente. Lei poi parla di una popolazione ebraica che, dopo secoli di tranquilla convivenza nei paesi arabi, partì dai vari Paesi elencati per recarsi in Israele. Non fu una partenza volontaria. Perché non dire che furono cacciati, da un giorno all’altro, senza potersi prendere alcunché dei beni messi da parte in anni di lavoro? Sono anche quelli dei profughi, dei quali però lei non fa mai menzione, nelle sue risposte. Emanuel Segre Amar segreamar@fastwebnet.it Caro Segre Amar, I l documento che lei cita nella sua lettera venne firmato da due grandi personalità della prima metà del Novecento. Feisal ibn al-Hussein fu grande amico di Lawrence, protagonista della «rivolta nel deserto», effimero re di Siria nel 1920 e re dell’Iraq dal 1921 al 1933. Chaim Weizmann fu leader dell’Organizzazione sionista mondiale e primo presidente dello Stato d’Israele. un testo importante. Ma venne sottoscritto a Parigi nel gennaio del 1919, prima degli accordi internazionali che avrebbero definito la geografia politica del Medio Oriente. Non esisteva ancora il protettorato britannico della Palestina. Lo Stato arabo di cui si parla nell’accordo era la Grande Siria (una regione che nell’Impero Ottomano comprendeva anche la Palestina). E gli ebrei, grazie alla Dichiarazione Balfour, avevano allora diritto a una semplice «home»: una espressione tradotta in italiano con la parola focolare. Più che rappresentare un realistico programma per il futuro, l’accordo tra Feisal e Weizmann rifletteva le loro buone intenzioni e quegli antichi rapporti di pacifica convivenza fra arabi e ebrei a cui facevo allusione in una risposta precedente. I moti arabi del 1929 e la sanguinosa Intifada del 1936 sono il risultato di una situazione alquanto diversa da quella del 1919 e non possono essere caratterizzati come la violazione di un accordo. In un libro sulla questione palestinese apparso presso Corbaccio nel 2006 («Palestina. La storia incompiuta »), Shlomo Ben Ami, ministro degli Esteri israeliano all’epoca di Camp David, ricorda che «nel 1906, quando David Ben Gurion (...) arrivò in Palestina, il Paese contava 700.000 abitanti di cui 55.000 ebrei e soltanto 550 potevano considerarsi pionieri sionisti». Negli anni seguenti, soprattutto dopo la guerra civile russa e l’avvento di Hitler al potere, la popolazione ebraica crebbe sino a rappresentare, nel 1947, il 33 per cento degli abitanti della Palestina. Aumentò l’acquisto di terre arabe, nacquero nuove istituzioni ebraiche e la home divenne, nelle intenzioni e nelle speranze dei coloni, uno Stato. Ben Ami ha descritto perfettamente questa situazione: «Proprio come il moderno nazionalismo ebraico era la risposta degli ebrei alla minaccia arrecata dagli europei alla loro distinta identità, così il nazionalismo palestinese può essere ampiamente considerato come la reazione collettiva degli arabi locali all’iniziativa sionista che minacciava i loro diritti naturali in Palestina». Al parallelismo fra i due nazionalismi corrisponde un parallelismo nella vicenda dei profughi. Furono più di ottocentomila gli ebrei costretti ad abbandonare i Paesi arabi fra il 1948 e il 1967. Furono più o meno altrettanti i palestinesi che dovettero abbandonare le loro case nel 1948.