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 2007  dicembre 21 Venerdì calendario

VARI ARTICOLI SULL’ALLARGAMENTO DELL’AREA SCHENGEN ALLA POLONIA E AD ALTRI OTTO STATI. TUTTI DEL 21/12/2007


CORRIERE DELLA SERA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
DANILO TAINO
BERLINO – la prima volta che i tedeschi attraversano il confine polacco con le mani in tasca, senza dover mostrare i documenti o il fucile Mauser. Dalla mezzanotte, il confine più tragico d’Europa, sull’Oder-Neisse, non esiste fisicamente più. Non ha vinto alcuna guerra la Germania e non ha vinto alcuna guerra la Polonia. Vince l’Unione europea che da oggi, 21 dicembre 2007, allarga l’area senza frontiere di Schengen ad altri nove Paesi, quasi tutti ex comunisti, e fa saltare muri vecchi di secoli. la fine definitiva della cortina di ferro, dal Baltico all’Adriatico, che un tempo tracciava la frontiera della Guerra Fredda.
Questa mattina, da Berlino, Angela Merkel arriverà a Zittau, cittadina tedesca sul confine polacco, lo attraverserà senza più guardie di frontiera e incontrerà il nuovo primo ministro di Varsavia, Donald Tusk.
Assieme, faranno pochi chilometri, entreranno nella Repubblica Ceca, anch’essa senza più cancelli, e stringeranno la mano al premier di Praga Mirek Topolánek. Più a Nord, intanto, 2.500 bambini avranno già iniziato a tagliare le catene che fino a ieri hanno diviso le belle spiagge del Baltico e i bagnanti che dovevano scegliere tra le acque tedesche e quelle polacche. Pochi, solo qualche anno fa, avrebbero immaginato qualcosa del genere – un confine aperto e pacifico – tra la Germania e la Polonia, la costruzione di una fiducia reciproca dopo una storia di guerre, di invasioni, di odi, di paure.
In fondo, non sono ancora passati 70 anni da quando, il 1˚ settembre 1939, Hitler lanciò il Blitzkrieg contro la Polonia che scatenò la Seconda guerra mondiale. In poche settimane, il Paese fu cancellato dalla mappa politica, dopo essere stato invaso, da Est, anche dalle truppe dell’Armata Rossa. Settant’anni sono pochi, soprattutto se si considera che, sin dal Medioevo, il territorio polacco è stato oggetto di invasioni da parte degli eserciti germanici e austriaci. Quello di oggi è un passo straordinario per la Germania, che non fa più paura ai vicini. Ed è un passo storico per la Polonia, che può, almeno a Ovest, calmare la sua ansia da accerchiamento e da pericolo che la accompagna da sempre. Nel cuore dell’Europa centrale si apre la possibilità di una relazione pacifica tra due Paesi grandi e importanti che non si sono mai amati e che, anche oggi, rimangono un po’ diffidenti l’uno dell’altro ma accettano la scommessa.
A questo punto, la Germania, Paese un tempo temuto a Est come a Ovest, non ha più frontiere chiuse, se si esclude quella con la Svizzera: ma anche Berna entrerà l’anno prossimo nella zona di Schengen, assieme ad altri due Paesi non membri della Ue, la Norvegia e l’Islanda. Più in generale, da oggi l’Europa può essere attraversata dai Paesi Baltici all’Atlantico senza mai incontrare una guardia di frontiera. Oltre che in Polonia e nella Repubblica Ceca, da stanotte, infatti, si circola senza controlli di confine (esclusi gli aeroporti che li effettueranno ancora per qualche mese) in Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Ungheria, Slovenia e Malta.
Sull’evento, oggi, si verseranno ettolitri di inchiostro e di retorica.
Ma stavolta bisogna ammettere che una cancelliera tedesca, donna, armata solo di un sorriso, che va a bussare alla porta polacca e se la vede aprire per sempre è un grande pezzo di storia.
Danilo Taino

BERLINO – Ora, la Polonia è un Paese pienamente occidentale: le manca solo l’euro per essere al cuore dell’Unione europea. E ha una porta aperta sulla Germania, per secoli vicino visto con timore e, spesso, con odio. Il professor Dieter Bingen, direttore dell’Istituto tedesco per la Polonia di Darmstadt, uno dei maggiori esperti delle relazioni tra i due Paesi, è convinto che la caduta delle frontiere di questa notte sia un fatto storico. «Siamo di fronte a una grande svolta e a una grande opportunità – dice ”. Credo che la frontiera tra Germania e Polonia sia destinata a non tornare, esattamente come quelle della Germania con la Francia o con il Lussemburgo».
Com’è la relazione tra i due Paesi?
« molto migliorata dalla caduta del comunismo. Ha avuto momenti difficili, anche di recente, ma è in lento miglioramento. L’elezione, in ottobre, di Donald Tusk in Polonia apre una nuova stagione di opportunità. Il nuovo premier sta riposizionando il Paese, sia nei confronti della Russia sia della Germania. Berlino deve prendere sul serio le sue aperture, non trattarle con sussiego come faceva quando il potere a Varsavia era nelle mani dei gemelli Kaczynski. La signora Merkel dovrà mettere in campo nuove idee».
Ma i polacchi hanno ancora memoria, per esempio, del Blitzkrieg di Hitler nel ’39?
«Gli anziani sì. Ma per i giovani è più importante ciò che la Germania ha fatto dopo, come è cambiata. Più hanno rapporti con i tedeschi, più diventano pro-tedeschi».
E in Germania com’è vista la Polonia?
«Ancora in modo non sufficientemente positivo. Storicamente, c’è poco rispetto per la cultura e per la storia polacche».
Sono due Paesi pronti a non avere una frontiera?
«Potrebbero essere più preparati, soprattutto i tedeschi. I polacchi sono più aperti mentalmente. Ma credo che tutti impareranno. E alcune figure, come Günter Grass, sono elementi di connessione importanti».
Economicamente, la Polonia sarà la nuova Spagna?
«Ha molte riforme da fare: più libertà di mercato, le tasse, meno burocrazia. Ma ha un’ottima possibilità di diventare un’economia forte».
Chi guadagna di più dalla caduta delle frontiere, Berlino o Varsavia?
«Sul piano psicologico, la Polonia, perché apre definitivamente a Occidente e si integra in modo totale. un passo di straordinaria importanza per la psicologia del Paese».

CORRIERE DELLA SERA
ALESSANDRA MANGIAROTTI
DAL NOSTRO INVIATO
STUPIZZA (Udine) – Samo Valentincic ha 35 anni e un triste ricordo di frontiera. Quello della sua bicicletta nuova, regalo del quindicesimo compleanno, fatta a pezzi per poter varcare il confine italo-sloveno. «Costava troppo, ci hanno detto. Così mio padre, per farla passare, è stato costretto a smontarla in due: prima ha portato a casa il telaio e poi le ruote». Oggi Samo attraversa il valico di Stupizza quattro volte al giorno. Vive a Kobarid, la slovena Caporetto, ma lavora a Pulfero come cuoco. «All’inizio – racconta – dovevo avere con me sempre passaporto e permesso di soggiorno, se dimenticavo in macchina la spesa erano noie. Poi è bastata solo la carta d’identità, quindi il riconoscimento della guardia amica. Da oggi confini aperti».
«Zivio». «Evviva». Nella notte Samo brinda all’apertura della frontiera italo-slovena al valico dove la sua bici è stata fatta a pezzi: 280 chilometri che dall’«angolo dei tre Paesi » (Austria-Italia-Slovenia) corrono fino al mare. «Un confine tra culture così vicine che nella mia testa non era un confine, noi giovani guardiamo avanti», alza il bicchiere di vin brulé. Più o meno le parole di Ana, che indossa i guanti della nonna «per farle vivere un momento che ha atteso per una vita». O di Michela, che si sente italiana al cento per cento, di tradizione slovena, e adesso «spera anche nella caduta dei confini nei cuori». O come le parole di Nives, che ricorda quando dopo il terremoto «i nostri vicini venivano a comprare mattoni e cemento da noi per la ricostruzione, ma per attraversare il confine erano costretti a staffette interminabili».
Al valico di Stupizza si respira aria di montagna e fiume. Fa freddo, ma non importa. C’è il calore delle fiaccole che da Pulfero e da Caporetto si sono messe in marcia per incontrarsi sull’ex Cortina di ferro. Via le barriere italiane, via quelle slovene. Anche se gabbiotti grigi stanno lì a ricordare quello che è stato un confine tra due mondi. Fino a mezzanotte si controllano i documenti. Poi scambio di bandiere tra i vigili del fuoco, abbracci tra carabinieri e polizia slovena. Sullo sfondo le note dell’Inno alla Gioia, delle fisarmoniche. Il ministro degli Esteri Dimitri Rupel e il presidente del Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy si stringono la mano. « una data storica – dice il governatore ”. Da qui si parte per disegnare un futuro comune».
Qui la ferita inferta dal confine imposto è più profonda. «Fino a qualche anno fa qui finiva il mondo », dice Piergiorgio Domenis, sindaco di Pulfero. «Da oggi torniamo al centro». Lui sogna una terra più ricca e un impiego vicino a casa per i giovani. Parole che fanno la ola lungo tutto il confine. Via le barriere a Stupizza. Via quelle di Nova Gorica, di Fernetti, Pesek, Rabuiese. Dieci, venti, trenta Comuni che festeggiano la loro fusione. Una «frontiera davvero non qualunque » sottolinea lo scrittore Claudio Magris, per anni «quasi invalicabile » dietro la quale si è nascosto «l’ignoto e il familiare insieme». Insomma: «Un confine che oggi giustamente cade chiudendo una pagina di storia drammatica».
All’una di notte dal valico di Stupizza le auto passano senza controlli. Sono quasi tutte italiane, attraversano la dogana puntando sui casinò oltreconfine. In terra slovena si canta e si brinda sino a tarda notte. In terra italiana donne e ragazzini se ne vanno a casa portando pezzi di barriera bianco-rossa. Come nel 1989, quando a finire nelle tasche erano pezzi di muro, quello di Berlino.