Corriere della Sera 20/12/2007, pag.43 Danilo Taino, 20 dicembre 2007
Metà Germania in mano agli stranieri. Corriere della Sera 20 dicembre 2007. BERLINO – Hanno un bel dire del capitalismo renano che difenderebbe la proprietà nazionale delle imprese
Metà Germania in mano agli stranieri. Corriere della Sera 20 dicembre 2007. BERLINO – Hanno un bel dire del capitalismo renano che difenderebbe la proprietà nazionale delle imprese. La realtà è che quest’anno, per la prima volta, i maggiori gruppi tedeschi quotati in Borsa sono per oltre il 50% posseduti da stranieri. Nemmeno la piazza finanziaria di Francoforte fosse la City di Londra. Il quotidiano Handelsblatt ha rivelato che le prime trenta aziende dell’indice Dax sono per il 52,6% di proprietà di investitori esteri, il 20% in più che nel 2005. Almeno la metà tedesca delle due grandi economie a cavallo del Reno (l’altra è quella francese) è insomma molto più aperta di quanto spesso si pensi. Nella maggior parte dei casi, i proprietari esteri delle quote di grandi gruppi della Germania sono fondi pensione e fondi d’investimento anglosassoni: per esempio, Barclays, Sun Life e Capital Research possiedono ciascuno il 5% della farmaceutica Merck, quindicesima nell’indice Dax 30 per capitalizzazione. Ma ci sono anche casi politicamente più delicati: per dire, il 4,4% di Deutsche Telekom è nelle mani di Blackstone, un gruppo di private equity americano che però nei mesi scorsi ha avuto una forte iniezione di capitale dalle autorità cinesi; il 2,2% di Deutsche Bank è di proprietà della Dubai International Finance. La spiegazione del fenomeno è abbastanza lineare. Negli ultimi due anni, l’economia tedesca è cresciuta bene e, soprattutto, le aziende hanno iniziato a raccogliere i frutti di una ristrutturazione profonda: gli investitori sono ovviamente attratti da questa situazione. Il dollaro debole e le prospettive incerte dell’economia americana, inoltre, hanno spostato investimenti di portafoglio dagli Stati Uniti all’Europa: e, in Europa, la Germania è la stella più brillante in fatto di performance aziendali. Delle magnifiche 30 aziende considerate dall’analisi di Handelsblatt, la più internazionalizzata in fatto di investitori è la Borsa stessa, Deutsche Börse, per l’84% in mani estere. Seguono Adidas (79%) e Bayer (78%). Tra gli ex monopoli pubblici, il 39,6% delle azioni di Deutsche Post è all’estero, come lo è il 37,4% della compagnia aerea Lufthansa. Anche una banca non in splendide condizioni ma comunque forte e rispettata, Commerzbank, ha come maggiore azionista un gruppo estero, le italiane Assicurazioni Generali. «La tendenza dimostra come all’estero siano attrattive le società e le azioni tedesche», è l’opinione di Franz-Josef Leven, dell’Istituto azionario tedesco. Un trend positivo, per la Germania, segno dei suoi successi economici. La situazione, però, tocca nervi scoperti. Fin quando l’investitore estero è un’istituzione finanziaria occidentale, che si muove puramente sulla base di interessi economici, tutto bene: è un gioco nel quale i tedeschi sanno come muoversi. Se, però, l’investitore è un fondo statale russo o cinese o arabo – in questo momento ricchissimi – il discorso cambia: la cancelliera Angela Merkel e tutti i suoi alleati di governo sono terrorizzati all’idea che uno Stato non rispettoso del mercato e della democrazia, ma con una precisa agenda politica, investa in una banca o in un’azienda strategica tedesca e usi poi la proprietà delle azioni per fini politici. Per questo stanno preparando una legge, da votare a inizio 2008, che consenta a Berlino di valutare e bloccare un investimento politicamente non gradito. Al momento, però, i numeri rivelati sugli investimenti esteri in Germania raccontano soprattutto che il capitalismo renano, nella versione tedesca, è molto contagiato da quello aperto e senza muri degli anglosassoni. Danilo Taino