La Stampa 20/12/2007, pag.13 FABIO POZZO, 20 dicembre 2007
”Dallo Stato la Chiesa riceve meno di quanto dà”. La Stampa 20 Dicembre 2007. Contabile di famiglia, da ragazzo, per necessità, oggi gestisce il patrimonio del Papa
”Dallo Stato la Chiesa riceve meno di quanto dà”. La Stampa 20 Dicembre 2007. Contabile di famiglia, da ragazzo, per necessità, oggi gestisce il patrimonio del Papa. Monsignor Domenico Calcagno, arcivescovo, è il segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, la potentissima Apsa. L’ufficio, presieduto dal cardinale Attilio Nicora, ha in dote i beni immobiliari e mobiliari della Santa Sede, compresi i fondi dei Patti Lateranensi del ’29 versati dal governo alla Chiesa per riparare alla perdita degli antichi Stati Pontifici, un impegno di 750 milioni di lire in contati e un miliardo di titoli al 5% di allora. Nativo di Parodi Ligure, è alessandrino per anagrafe, genovese per diocesi e ministero. Monsignore, anche lei nella lobby dei liguri del Vaticano... «Nessuna lobby. C’è una presenza significativa, che mette in risalto la stima e la fiducia che il Segretario di Stato, il cardinale Bertone, riveste nei liguri». E’ stato anche economo della Cei. Come nasce questa sua propensione per conti e bilanci? «A scuola mi piaceva la matematica. Dopo la morte prematura di mio padre, mia madre mi consegnava in gestione il denaro che riusciva a racimolare. Ma è stato il cardinale Siri in un certo senso a scoprire questa mia propensione, dopo che ero riuscito a recuperare l’Oratorio genovese di S. Erasmo, monumento nazionale che stava franando in mare, con l’aiuto finanziario di tanta gente meravigliosa». Come si svolge il suo lavoro? «Soprattutto attraverso le carte. Tutto è documentato, c’è uno scambio regolare con la Segreteria di Stato. Una volta la settimana incontro il presidente Nicora, i delegati delle sezioni, i capufficio. C’è poi la commissione cardinalizia e ci sono due-tre riunioni l’anno con i consultori esterni». Va anche a rapporto dal Papa? «No, il Santo Padre ha ordinariamente rapporti con il Segretario di Stato, con il quale, quando è necessario, ci confrontiamo». Si confronta anche con ministri dello Stato italiano? «I rapporti con le istituzioni sono prerogativa del Segretario di Stato. Noi diamo pareri, se richiesti». Il bilancio dell’Apsa ha chiuso il 2006 con un utile di 13,7 milioni di euro. Nel 2005 era di 43,3 milioni. Da che cosa è dovuta questa differenza? «Principalmente dalla fluttuazione dei cambi». La debolezza del dollaro vi è costata 7 milioni di euro. Sono consistenti gli investimenti dell’Apsa in valuta americana? E perché un paniere in divisa Usa? «Il motivo principale che ha indotto la Santa Sede a mantenere nel tempo disponibilità liquide e strumenti finanziari denominati in valuta estera, è il rispetto di un elementare principio di prudenza che suggerisce la diversificazione del rischio di cambio e del rischio Paese nelle varie componenti del proprio patrimonio. In particolare, la scelta di detenere una parte del patrimonio in dollari Usa - moneta universalmente adottata come riserva valutaria - risale al periodo in cui bilancio e costi della Santa Sede erano denominati nella lira italiana, moneta soggetta a frequenti svalutazioni competitive ed espressione di un’economia relativamente fragile». La crisi subprime. L’Apsa teme contraccolpi? «No. I nostri investimenti sono tranquilli, non speculativi». Quali sono? «Obbligazioni e azioni. Nessuno strumento ad alto rischio. Il nostro obiettivo è di conservare e consolidare nel tempo il patrimonio ricevuto in dote dall’Apsa, non quello del profitto. Amministriamo quello che è del Papa, non abbiamo bisogno e non vogliamo andare oltre. E’ ovvio, poi, che le scelte di investimento si attengono ai principi della dottrina sociale della Chiesa circa la connotazione morale dell’attività economica e finanziaria». Anche le donazioni al Papa vengono investite? «Le liberalità sono utilizzate secondo le finalità indicate dai donanti e non costituiscono massa finanziaria». Nel bilancio dell’Apsa la voce immobiliare nel 2006 ha un saldo netto di 32,3 milioni e ricavi per 59,3 milioni. Secondo alcuni analisti, sul buon andamento avrebbe inciso anche una vivace azione di trading. Vero? «Le compravendite immobiliari, ridotte per numero e valore, non hanno avuto alcun intento di negoziazione. Le proprietà immobiliari che pervengono alla Santa Sede da liberalità, ove non abbiano vincoli posti dai donanti o dai testatori, vengono solitamente smobilizzate perché, oltre a produrre scarsi redditi, presentano costi di gestione elevati e sono talvolta fonte di contrasti». Si dice che la Chiesa possegga un quarto del panorama immobiliare italiano. Le risulta? «La stima mi pare comunque esagerata. Un conto poi è la Chiesa in Italia, altro è l’Apsa, che ha personalità giuridica e proprietà definite: basta andare al Catasto, per verificarlo. Non saprei quantificare il patrimonio del mio ufficio, né il suo valore commerciale, anche perché per non poca parte consiste in edifici di culto e palazzi istituzionali, fuori mercato. Un patrimonio che non credo sia stato incrementato di molto, dal momento in cui si è costituito ad oggi, salvo che per le abitazioni in favore dei dipendenti». Già, le abitazioni. «Non riusciamo a soddisfare le richieste del nostro personale». Parliamo di affitti di immobili della Chiesa: è stato scritto che nel 2007 sono aumentati in media del 10%. Tanti anche gli sfratti per morosità. «Per quanto riguarda l’Apsa la situazione è molto tranquilla, perché la maggior parte degli immobili non istituzionali sono locati a nostri dipendenti, per canoni più che a buon mercato. Non mi risulta che vi siano contenziosi. Gli sfratti sono 23, non eseguiti». L’esenzione Ici. Un argomento molto discusso. «I nostri palazzi istituzionali beneficiano del regime agevolato previsto dal Trattato del 1929. Per gli altri immobili ci si attiene alla normativa italiana vigente». C’è chi sostiene che non dovrebbe esistere tale sostegno da parte dello Stato a favore della Chiesa. C’è chi ha calcolato che la Chiesa costa allo Stato italiano circa 4 miliardi di euro l’anno e parla di costi della casta. Che risponde? «Che bisognerebbe anche valutare i benefici che l’Italia ha avuto ed ha dalla Chiesa. Parlo di scuole, ospedali, attività di sostegno per i più deboli e i giovani. Dell’immenso patrimonio artistico, beni per il quale lo Stato eroga contributi insufficienti alla sua gestione. Che cosa vuole che sia la parziale esenzione dell’Ici, a fronte della montagna di spese che affronta la Chiesa in Italia a vantaggio di tanti?». C’è anche l’8 per mille. «Che dimostra che gli italiani si fidano di più a dare i propri soldi alla Chiesa anziché allo Stato. Ma è comunque sempre poco in confronto alle spese che deve sostenere la Chiesa. Dovessimo fare un bilancio rispetto a quanto la Chiesa dà alla società italiana...». Facciamolo «Non credo che la Chiesa riceva dallo Stato più di quanto dà». I costi della casta, dunque? «E’ ingiusto e insostenibile parlare di costi della casta. Purtroppo è in atto una politica di aggressione nei confronti della Chiesa, dettata a mio avviso da cattiveria ideologica». E’ stato scritto che l’ex banchiere Fiorani in un interrogatorio avrebbe chiamato in causa l’Apsa, sostenendo che quando lui ha comprato la Cassa Lombarda una quota era dell’Amministrazione, e che i soldi li avrebbe girati su un conto estero di quest’ultima. «Fin dalla stipula della Convenzione finanziaria allegata al Trattato del Laterano l’Apsa si avvale, per la sua attività istituzionale, di rapporti intrattenuti stabilmente con il sistema bancario e le istituzioni finanziarie internazionali». Monsignore, nel corso della presentazione del bilancio 2006 della Santa Sede, si è parlato dello stipendio del Papa. Lo paga l’Apsa? «L’Apsa provvede al personale addetto all’appartamento del Santo Padre. La Sua vita è talmente sobria e regolata da mille impegni quotidiani che farei fatica a immaginare l’uso di uno stipendio». FABIO POZZO