La Repubblica 20/12/2007, pagg.1-46 Federico Rampini, 20 dicembre 2007
Il cavaliere rosso che salva Morgan Stanley. La Repubblica 20 dicembre 2007. PECHINO. Travolta dall´inarrestabile crisi dei mutui insolventi, una delle più importanti banche d´affari americane chiama in soccorso un "cavaliere bianco" inatteso quanto ingombrante: la Repubblica popolare cinese
Il cavaliere rosso che salva Morgan Stanley. La Repubblica 20 dicembre 2007. PECHINO. Travolta dall´inarrestabile crisi dei mutui insolventi, una delle più importanti banche d´affari americane chiama in soccorso un "cavaliere bianco" inatteso quanto ingombrante: la Repubblica popolare cinese. Morgan Stanley ha dovuto ammettere ieri l´esistenza di un nuovo buco di bilancio di 5,7 miliardi di dollari legato ai mutui "subprime". Per ripianarlo la banca americana ha aperto il suo capitale alla China Investment Corporation. Il "fondo sovrano" controllato dal governo di Pechino gestisce una parte delle riserve valutarie accumulate dalla banca centrale cinese. Il presidente Hu Jintao diventa l´azionista di fatto del 10% di Morgan Stanley (l´investimento è di 5 miliardi di dollari). La scalata amichevole del più grande regime comunista del mondo a un tempio della finanza di Wall Street è un segnale del cambiamento degli equilibri tra i vecchi paesi industrializzati e le nuove potenze emergenti dell´economia globale. La crisi della Morgan Stanley è precipitata a ritmi convulsi. Ancora il mese scorso la banca aveva valutato a "soli" 3,7 miliardi di dollari il buco dei subprime. Ieri ha dovuto ammettere l´esistenza di una voragine di perdite ben più consistenti: 9,4 miliardi di dollari. A tanto ammontano gli attivi cancellati dal bilancio. Per ora. è un´operazione di pulizia obbligatoria: sancisce la perdita di valore di una montagna di titoli che rappresentano crediti verso i titolari di mutui di serie B. Con il crollo del mercato immobiliare americano dilaga il numero di famiglie che non riescono a rimborsare i mutui. A nulla è servito finora il piano di salvataggio dei debitori in difficoltà varato dal sistema bancario sotto la guida della Casa Bianca. Via via che si moltiplicano le insolvenze i titoli dei creditori perdono valore, costringendo le banche ad ammettere perdite sempre più colossali. La raffica di annunci di nuove perdite spiega l´impotenza delle banche centrali ad arginare le falle del sistema. Preoccupate dalla rarefazione del credito che penalizza l´economia reale e può provocare una recessione, la Federal Reserve e la Banca centrale europea continuano a inondare di liquidità i mercati. Fed e Bce hanno offerto alle banche "sportelli d´emergenza" per alimentarne i finanziamenti. Ma è chiaro ormai che questa è una crisi d´insolvenza più che di liquidità: molte banche ignorano l´entità delle perdite reali, ciascuna sospetta che altre possano essere sull´orlo di serie difficoltà. Così il taglio dei tassi d´interesse deciso dalla Fed non si è trasmesso ai mercati. Al contrario, si è allargata la forbice fra i tassi d´interesse sui prestiti alle aziende e i rendimenti dei titoli pubblici: la prova che i capitali fuggono verso gli unici investimenti considerati senza rischio. Per quanto riguarda Morgan Stanley, è la prima volta nella storia che l´istituto deve chiudere un trimestre in profondo rosso: i guadagni di tutti gli altri settori di attività bancaria non compensano l´uragano che si è abbattuto sui titoli dei mutui. « un´immensa delusione per me, per il consiglio d´amministrazione e per tutti gli azionisti» ha dichiarato l´amministratore delegato John Mack, che potrebbe essere costretto alle dimissioni come i suoi ex colleghi di Merrill Lynch e Citigroup, defenestrati dopo il disastro delle perdite sui mutui. Per tentare di salvare banca e poltrona Mack ha chiamato in soccorso il fondo sovrano del governo cinese. «Siamo felici - ha dichiarato ieri - di accogliere la China Investment Corporation come investitore stabile nella Morgan Stanley. un passo importante per aumentare i flussi di capitali fra i nostri due paesi». verosimile che il chief executive della banca abbia sondato in anticipo il suo governo ricevendo un via libero preventivo al clamoroso ingresso dell´azionista pubblico cinese. Non a caso pochi giorni fa, per preparare il terreno a un ingresso "morbido", il governo di Pechino ha annunciato di voler rafforzare il management del suo fondo sovrano reclutando gestori selezionati solo in base alle competenze finanziarie. Era un chiaro messaggio per rassicurare Washington sul fatto che la motivazione di questi investimenti cinesi non è politica, non è un cavallo di Troia per infiltrare la longa manus del regime comunista nel cuore dell´establishment di Wall Street. Tuttavia il fondo sovrano resta una emanazione della banca centrale cinese. Il suo fondo di dotazione iniziale di 200 miliardi di dollari proviene direttamente dalle riserve valutarie di Pechino. Washington può consolarsi con l´idea che più la Cina investe i suoi capitali in società americane, più sarà cointeressata nel lungo termine a garantire la buona salute dell´economia americana. Tuttavia appena due anni fa un tentativo di scalata cinese alla Unocal, compagnia petrolifera californiana di medie dimensioni, fu bloccato con un veto politico fra le grida d´allarme del Congresso Usa. Da allora i rapporti di forza tra le due nazioni sono evidentemente cambiati. Il crac dei mutui ha fiaccato la resistenza americana contro la penetrazione cinese nei gangli strategici dell´economia. Perché il consumatore americano possa continuare a comprare computer e cellulari made in China, deve accettare che Pechino ricicli i suoi capitali comprando aziende Usa. La vicenda Morgan Stanley conferma il peso crescente dei fondi sovrani come protagonisti dei mercati finanziari globali. Il governo di Abu Dhabi - respinto poco tempo prima come azionista dei porti americani - è appena stato accolto come salvatore dalla Citigroup, la più grande banca americana e un´altra vittima illustre del crac dei mutui: ora gli arabi ne controllano il 5% del capitale. Il fondo sovrano di Singapore è diventato il più grosso azionista della Ubs. Le gerarchie dell´economia mondiale vengono sconvolte. Le potenze emergenti dell´Asia e del Golfo Persico hanno immensi attivi valutari da investire, il dollaro è ai minimi storici, il capitalismo americano è in vendita a prezzi di saldo. Larry Summers, l´economista che è stato ministro del Tesoro di Clinton e rettore di Harvard, ha coniato il termine "cross-border nationalizations": l´America sta accettando che le sue aziende vengano nazionalizzate da governi stranieri. Se uno dei governi in questione è il più vasto regime autoritario del pianeta, le implicazioni geopolitiche di questo terremoto sono una vera incognita. Federico Rampini