La Repubblica 16/12/2007, pag.38 MARIO CALABRESI, JOHN UPDIKE, 16 dicembre 2007
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La casa-museo che sfida il Met. La Repubblica 16 dicembre 2007. New York.
Quand´era bambino Ronald Lauder guardava i quadri di Klimt nel salotto di casa. Li collezionava sua madre, Estée Lauder, la regina dei cosmetici che aveva cominciato in cucina nella periferia di New York fino a diventare, secondo Time, la donna con più genio per gli affari del Novecento. Quando Ronald aveva quindici anni lo mandarono in viaggio in Europa, iniziò ad amare l´arte, e gli venne il pallino del collezionismo. I ragazzini della sua età di solito raccolgono figurine, al massimo francobolli, lui cominciò comprandosi un disegno di Egon Schiele a Vienna nel 1960. Quello fu l´inizio di una lunga passione, che avrebbe avuto il suo culmine in una notte d´estate, il 12 luglio 2006. Quella sera la Quinta Avenue venne chiusa al traffico, la polizia sigillò il Museum Mile, quel chilometro e mezzo in cui ci sono alcuni tra i più prestigiosi musei di Manhattan: il Metropolitan, la Frick Collection, il Guggenheim e il Cooper Hewitt. Venne lasciato soltanto lo spazio per un convoglio speciale sotto scorta, che procedeva lentamente, dopo aver percorso i 4.500 chilometri del viaggio da Los Angeles. Trasportava il quadro più costoso del mondo: il ritratto di Adele Bloch Bauer dipinto da Gustav Klimt nel 1907. Si fermò all´angolo con la 86ma strada, davanti a una palazzina la cui facciata è copia fedele di una casa di Place des Voges nel Marais parigino, fatta costruire nel 1912 dal magnate delle ferrovie William Miller.
Con estrema cautela venne scaricata una gigantesca cassa ermetica, che fu portata al secondo piano e rimase per un giorno immobile e chiusa perché si acclimatasse. Solo la sera dopo venne aperta e regalò la sua immagine dorata. «Ero felice, avevo realizzato il mio sogno», ricorda Lauder e da quel momento il suo giocattolo è diventato un vero museo. L´arrivo di Adele, definita la «Mona Lisa di New York», ha sestuplicato il numero dei visitatori della Neue Galerie.
Pensare di aprire un museo di fronte al Metropolitan è cosa da pazzi o da visionari. In questo caso i visionari erano due, Ronald Lauder e il suo amico Serge Sabarsky, collezionista e mercante di arte austriaca e tedesca con galleria in Madison Avenue. Il sodalizio artistico tra i due durò trent´anni e la passione per la pittura viennese a cavallo tra l´Ottocento e il Novecento li conquistò in tale modo da spingerli ad immaginare di aprire un museo a New York dedicato solo ai maestri di quell´epoca: Klimt, Kokoschka e Schiele.
Cercarono per quindici anni un luogo adatto, finché nel 1994 trovarono l´edificio dei loro sogni. A dire la verità era ridotto male, l´ultimo proprietario, Cornelius Vanderbildt III, l´aveva trascurato e ci pioveva dentro. Decisero di ristrutturarlo radicalmente. «Serge si era innamorato a tal punto dell´idea - ci racconta Renée Price, direttrice per sette anni della sua galleria - che girava con l´immagine della palazzina nella tasca interna della giacca, come fosse la foto di suo figlio. La mostrava continuamente a tutti». I lavori cominciarono nel 1997, ma Sabarsky era morto un anno prima e non poté mai a vedere la perfezione del nuovo vestito, alla fine delle ristrutturazioni nell´estate del 2001.
Quando cominciarono i preparativi per l´inaugurazione due aerei si infilarono nelle Torri Gemelle e sulla città scesero il lutto e la paura. Ma Ronald Lauder decise di non mollare, era anche presidente del World Jewish Congress, e pensò che si doveva reagire. «La città aveva bisogno di ritrovare fiducia, di qualcosa di bello», ricorda la Price, e così il 16 novembre 2001, in mezzo a imponenti misure di sicurezza, a Manhattan venne inaugurato un nuovo museo, la Neue Galerie, quasi di fronte al Metropolitan. Tra gli invitati il direttore dell´illustre dirimpettaio, Philippe de Montebello, che dopo essersi aggirato nei tre piani della collezione lasciò la sua dedica sul libro degli ospiti con calligrafia svolazzante e inchiostro da stilografica: «Felice di trovare una gemma, vicino a un gigantesco carro armato».
Il primo esame era stato superato, ora restava quello più arduo, il pubblico. Certo la sfida con il Met è impari e impossibile: il primo ha tremila impiegati e ottocento volontari, la Neue Galerie solo venticinque dipendenti, ma il mese scorso, finalmente, è arrivata la gloria: all´inaugurazione della mostra di Klimt la fila per entrare occupava l´intero isolato e dalle scale del Metropolitan la coda era ben visibile.
La mostra è stata fatta senza prestiti, solo con i quadri di Lauder, della sua famiglia e quelli dell´eredità di Sabarski. Ma il pezzo forte che ha cambiato la faccia e la vita della Neue è Adele. Il ritratto della signora Bloch Bauer era l´attrazione del museo del Belvedere di Vienna, fino al 2006, quando l´ultima erede della famiglia, la novantenne Maria Altmann, vinse la sua causa contro lo Stato austriaco. Tre giudici stabilirono che cinque opere di Klimt erano state sottratte alla famiglia ebraica dai nazisti e che era tempo di restituirle. Qualsiasi accordo con lo Stato fallì e i quadri lasciarono l´Austria. Nei sotterranei della Neue c´è una mostra di disegni dei ragazzi delle scuole medie viennesi che salutano i Klimt in partenza. Vennero messi all´asta. Ronald Lauder comprò la tela dei suoi sogni e la pagò la cifra record, mai più raggiunta, di 135 milioni di dollari. Il suo gesto folle però regalò al mondo la possibilità di continuare ad apprezzarlo, mentre le altre quattro copie sono scomparse alla vista essendo finite in collezioni private.
Un campione dell´arte ma con un´ombra, quella di non aver mai rivelato con esattezza le dimensioni della sua collezione di famiglia e la provenienza di tutti i quadri, tanto che negli ultimi due anni non sono mancate polemiche e speculazioni sul fatto che un´opera di Klimt e due disegni di Schiele possano essere tra quelli che i nazisti requisirono a famiglie ebree. Ma lui si è sempre difeso dietro la sua storia e la privacy della sua casa privata.
Dal giorno dell´arrivo di Adele, Renée Price, che nel frattempo è diventata la direttrice e la curatrice della Neue, ha costruito un museo che vuole essere una casa privata, un gioiello: c´è la musica classica di sottofondo, i fiori freschi ovunque, una completa ritinteggiatura dei muri ogni settimana - durante i due giorni di chiusura, martedì e mercoledì - un magnifico caffè viennese, che serve la Sacher Torte e la Klimt Torte - cioccolato, mandorle e una sottilissima foglia d´oro - e che è sempre pieno, una libreria notevole e un negozio che è stato eletto il miglior museum shop di New York.
All´interno si vendono oggetti in stile Secessione viennese: le sedie Thonet, bicchieri in stile decò, il portaocchiali di Sigmund Freud. A Natale si riempie di newyorkesi in cerca di regali. «Siamo piccoli e puntiamo tutto sulla qualità. A New York se vuoi avere successo devi curare ogni particolare, se non sei al massimo e ti distrai un attimo, ti fanno a pezzi».
Il contenuto artistico è curato alla stessa maniera: due mostre l´anno, in autunno e primavera e d´estate la collezione permanente: i tedeschi al terzo piano e gli austriaci al secondo. La mostra di Klimt non è paragonabile a quelle che si sono viste a Vienna o Parigi negli anni passati: perseguendo l´autosufficienza e non cercando i prestiti, il numero delle opere è per forza minore, ma il lavoro è stato quello di creare un effetto totale. La ricostruzione dello studio del pittore è impressionante per la cura dei dettagli, i disegni sono bellissimi e il catalogo prende in esame tutte le influenze di Klimt nella cultura del Novecento. Anche nella pubblicità e nella moda, dai cardigan di Missoni agli abiti di Cavalli, si vede che tutti hanno guardato all´artista viennese.
Al New York Times non è piaciuta questa commistione di generi, non abbastanza seria e filologica e ha definito la mostra un «Klimt-o-rama», un viaggio a 360 gradi intorno a Gustav Klimt. «Volevamo raccontare l´uomo e far capire - si difende la Price - il suo influsso in ogni campo, anche nella cultura popolare». Ma, critiche a parte, quello che voleva lo ha ottenuto: sulle cartine del Museum Mile si è aggiunto un indirizzo e nei blocchetti delle cose da fare di turisti europei e giapponesi c´è una tappa in più.
Un museo-casa ne ha anche i difetti, all´ingresso si sente il profumo di caffè. «Pensi che il nostro cuoco all´inizio sperimentò uno strudel salato con il baccalà, piaceva molto ma io mi accorsi che per le scale saliva un terribile odore di pesce e allora una mattina gli intimai di toglierlo, poi salii nel mio ufficio e aprii il New York Times. C´era una recensione di Frank Bruni, il critico gastronomico del quotidiano, del caffè Sabarski. Gli aveva attribuito un bel due stelle con questa motivazione: "Si può mangiare un ottimo strudel di baccalà"».
MARIO CALABRESI
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Quella sensuale dama bizantina sulla carta da regali. La Repubblica 16 dicembre 2007. La mostra di Gustav Klimt si è aperta a New York il 18 ottobre scorso, e riempirà le sale della Neue Galerie sino a giugno del 2008. Il centro focale della mostra è senza dubbio il ritratto di Adele Bloch-Bauer, figura di spicco della società viennese dell´epoca e patrona delle arti, eseguito da Klimt nel 1907. La tela, a olio, oro e argento, costituisce un esempio radioso del cosiddetto "stile dorato", ispirato dalle due visite dell´artista a Ravenna nel 1903, quando ammirò i mosaici bizantini della chiesa di San Vitale. Come Renée Price racconta nel suo commento al dipinto nel catalogo della mostra, Klimt fu particolarmente impressionato dal mosaico che ritraeva l´imperatrice Teodora, «scintillante su un astratto sfondo dorato». Erano mosaici «di straordinario splendore», l´artista scrisse all´amico Emile Flöge.
I mosaici bizantini non furono tuttavia la sola influenza che fece prendere al ritratto di Klimt la direzione della decorazione astratta: anche le icone russe circondavano i volti di superfici dorate; l´arte egiziana, che tanto affascinava Klimt, trova eco negli occhi a mo´ di geroglifici che dominano il vestito di Adele; infine, le litografie giapponesi, come Janis Staggs scrive a proposito dell´amicizia tra Klimt e Flöge, «schematizzano gerarchicamente il corpo umano: la faccia e le mani sono dipinte con grande verosimiglianza, mentre altri attributi fisici - al pari delle vesti e di elementi naturali di contorno - sono resi in modo più astratto». Gli occhi orizzontali e le mezze lune verticali nelle vesti di Adele suggeriscono delle vagine, alludendo così a un altro ben noto interesse dell´artista, che dunque non sembra affatto preoccuparsi delle voci insistenti (ma non verificabili) di una relazione romantica tra Klimt e il suo soggetto.
Ciò che solletica la curiosità delle moltitudini che affollano le scale di marmo della Neue Galerie e i suoi peraltro esigui spazi espositivi, non sono tanto le allusioni sessuali di Klimt quanto la stravaganza di Ronald S. Lauder, che ha sborsato 135 milioni di dollari per aggiungere il ritratto alla collezione del suo museo. L´opera era stata espropriata dai nazisti, e dopo cinquant´anni gli eredi della famiglia Bloch-Bauer hanno vinto la causa di restituzione in un tribunale austriaco. Il ritratto di Adele vanta così molti titoli di celebrità, e resterà per molti anni l´attrazione principale di questo elegante piccolo museo all´angolo tra la Fifth Avenue e la 86ma Strada, creato grazie alla fortuna della casa di cosmetici Lauder.
Splendente per la quantità d´oro profuso, Adele Bloch-Bauer I (un altro ritratto, meno scintillante, venne eseguito nel 1912) sfugge al giudizio critico. Ma la faccia lussuriosa, dalle labbra carnose, gli occhi verdi, stretta tra una macchia nera di capelli e un collare d´argento, il pallido scorcio di torace e quel paio di pallide magre mani ansiosamente intrecciate c´entrano veramente con lo straordinario fiorire di motivi privi di prospettiva - occhi, spirali, quadrati, strisce e macchie di colore - che adorna il pretenzioso vestito del soggetto e la poltrona su cui è seduta? Non sembra forse una decalcomania appiccicata a una luccicante carta da regali? Una spiritosa e sorprendente macchia di verde nell´angolo di sinistra, in basso, rappresenta forse un pezzo di pavimento - altrimenti la gran dama viennese, ventiseienne all´epoca del ritratto, sembrerebbe trasportata, priva di corpo, in un vertiginoso cielo costellato di ornamenti.
Siamo forse di fronte a una giustapposizione - il metodo favorito da Klimt in questo decennio, che produsse il famosissimo Il Bacio (1907-1908) - a un passo temerario quanto necessario nella direzione del modernismo, o a un impacciato mezzo passo, un glamour a poco prezzo, una sorta di kitsch di alto livello? Lo sguardo del visitatore vaga per la stanza, osservato da muti guardiani, degli orologi della Wiener Werkstätte, e si posa su altri sei dipinti di Klimt, alla ricerca di una spiegazione.
JOHN UPDIKE