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 2007  dicembre 17 Lunedì calendario

GARLASCO+PERUGIA PER GIORGO/GAZZETTA

Chi sia stato il 13 agosto ad uccidere Chiara Poggi ancora non si sa. Il 5 novembre il medico legale Marco Ballardini ha depositato in procura la relazione conclusiva dell’autopsia. Sono 51 pagine da cui emergono tre elementi fondamentali: 1) «L’epoca del decesso si pone in un intervallo di tempo compreso tra le 10.30 e le 12, ma più probabilmente intorno alle 11-11.30»; 2) l’arma del delitto, che non è mai stata trovata, sarebbe «un corpo contundente metallico non identificabile», ma con caratteristiche ben precise: «due terminali», uno «spigolo molto netto» e «una superficie battente stretta», probabilmente una piccozza da montagna o da giardinaggio; 3) Chiara sarebbe stata raggiunta da 10-15 colpi alla nuca, uccisa dall’unico inferto alla tempia sinistra, nell’area «encefalo-parieto-occipitale» • Il 16 novembre è arrivata la relazione tecnica del Ris, firmata dal comandante Luciano Garofano. Le 200 pagine da cui è composta contengono la ricostruzione della dinamica del delitto: aggredita in cucina, Chiara sarebbe scappata verso l’atrio. Raggiunta, gettata a terra e nuovamente colpita alla testa, sarebbe stata trascinata per i piedi verso il telefono. Esanime per alcuni minuti, una volta ripresasi sarebbe stata finita per essere infine gettata giù dalle scale • Il fidanzato Alberto Stasi resta l’unico indagato: secondo una relazione del capitano dei ris Aldo Mattei, il suo portatile rimase acceso dalle 9.36 alle 9.39 e poi dalle 10.15 alle 12.30 del 13 agosto. Durante la prima accensione guardò la foto di una donna seminuda, durante la seconda non fece niente (il file della tesi, contrariamente a quando detto da Stasi, non sarebbe stato aperto) • La difesa contesta le perizie. L’avvocato Angelo Giarda: «Ogni volta che si attiva un computer si determina un’alterazione alle registrazioni precedenti». L’avvocato Giulio Colli: «Su quel computer sono state fatte operazioni improprie senza le garanzie dovute alla difesa. Avrebbero dovuto metterci mano con un atto irripetibile, facendo partecipare anche noi, invece...». Invece la richiesta di incidente probatorio (per far partecipare all’analisi anche i periti dell’indagato) è stata rifiutata dal gip e il contenuto e l’utilizzo del portatile sono stati esaminati come «atto del pubblico ministero», quindi senza la presenza della difesa. In procura si irritano al solo pensiero che qualcuno possa ipotizzare manomissioni, negligenze o leggerezze nell’esaminare un reperto così importante • La difesa ha anche effettuato con due consulenti un nuovo sopralluogo nella villetta di via Pascoli. Sono state analizzate le orme di scarpe sporche di sangue lasciate dall’assassino: «Le nostre più recenti misurazioni dicono che sono di una scarpa numero 39 al massimo, non del 42 e mezzo di Alberto» • Stasi, intanto, non cambia versione e non accusa nessuno. Secondo il Gip, la risposta data quando gli chiesero conto del sangue della fidanzata trovato sui pedali della sua bicicletta («qualche giorno prima Chiara aveva le mestruazioni e io forse avevo calpestato il suo sangue»), per molti assurda (a cominciare dalla mamma di Chiara), non lo sarebbe: «Era la domanda che si basava su un presupposto non certo, quello del sangue. E quindi la risposta non conta». Alessio Sundas, l’’agente” di Marco Ahmetovic (il rom condannato per aver ucciso, guidando ubriaco, quattro ragazzi nelle Marche), gli avrebbe offerto cinquantamilia euro per un libro ricevendone in risposta un no sdegnato. Lo studente della Bocconi ha ripreso, per quanto possibile, la vita di prima della tragedia: a febbraio consegnerà la tesi (lo doveva fare il 17 agosto, quattro giorni dopo il delitto), che dovrebbe essere discussa nella sessione di marzo. In tv (Studio Aperto) e sui settimanali (Chi) si sono viste alcune sue foto mentre si svagava sui Navigli, a Milano, in compagnia di alcuni amici (nemmeno i più maligni sono riusciti a cavarne l’indizio che la bionda immortalata al suo fianco fosse la nuova fidanzata). L’avvocato ha addirittura dovuto precisare che non era andato a giocare a calcetto ma solo a vedere gli amici che lo facevano • La famiglia di Chiara (i genitori Rita e Giuseppe e il fratello Marco) sembra aver perso la speranza di conoscere a breve chi sia stato ad ucciderla, e si acconterebbe di poter passare il Natale nella villetta sotto sequestro dal giorno del delitto. «Andrebbe bene anche il 24», ha confidato il padre. La mamma: «Malgrado tutto questo sarebbe un regalo per noi tornare in via Pascoli e fare Natale a casa, il primo Natale senza Chiara... Le emozioni si affrontano, anche se portano sofferenza e se sarà dura. Lì dentro c’è la nostra vita, ci sono i miei ricordi di mamma e in qualche modo c’è Chiara che non ci lascerà mai. Non potremmo andare a vivere altrove».
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Le indagini per il delitto della studentessa inglese Meredith Kercher, uccisa lo scorso primo novembre nel suo appartamento di via della Pergola a Perugia, continuano a ruotare attorno alla coinquilina americana Amanda Knox, che sta scrivendo in carcere un diario, My prison («I’m writing this because i want to remember…»). Davanti agli inquirenti, ha già cambiato numerose versioni: secondo l’ultima, al momento del delitto non era in casa. Il 6 novembre aveva accusato il musicista congolese Patrick Lumumba Diya (poi scagionato non per la testimonianza di chi diceva di averlo visto al lavoro nel suo pub ma grazie al Dna trovato sul corpo della vittima): «Mentre Meredith veniva uccisa ero lì. Ho sentito un grido e mi sono tappata le orecchie, ma sapevo quello che stava succedendo». Le accuse contro l’americana sarebbero suffragate soprattutto dal suo comportamento dopo il delitto: «Non ha mai palesato un concreto dolore per la tragica perdita dell’amica, piuttosto indulgendo in ostentate effusioni con il Raffaele fino al paradossale acquisto di un capo intimo, ostentatamente funzionale ad un ”sesso selvaggio”» • L’ex fidanzato Raffaele Sollecito, anche lui accusato di concorso in omicidio e violenza sessuale, prima l’ha ”coperta” dicendo che al momento del delitto stavano a casa sua, poi ha detto che «Amanda uscì verso le 21 e tornò all’una di notte, mentre io ho sempre lavorato al computer», davanti al Riesame ha di nuovo cambiato: «Io ero a casa, non ricordo se Amanda sia uscita». L’accusa dice che il computer la sera del delitto non fu acceso, che Sollecito ha un paio di scarpe Nike compatibili con le impronte trovate sulla scena del delitto (un tipo molto comune, in verità), che in casa gli hanno trovato un coltello compatibile con l’arma dell’omicidio recante tracce del dna di Amanda e Meredith: «Il fatto che ci sia del dna di Meredith sul coltello di cucina è perché una volta, mentre cucinavamo insieme, io, spostandomi in casa con il coltello da cucina in mano, l’ho punta sulla mano». Anche lui più che parlare, scrive: ”Carcere di Perugia, appunti di viaggio” • Il terzo presunto assassino è l’ivoriano Rudy Hermann Guede, ultimo entrato nell’inchiesta, arrestato in Germania e poi estradato, accusato da un’impronta palmare insanguinata, da un cromosoma y nella vagina e sul reggiseno della vittima, dalle tracce della sua permanenza sul water di via della Pergola 7. Non potendo far altro, ammette di esser stato presente al momento del delitto e parla dell’assassino: «portava una cuffia bianca con una striscia rossa e intorno si intravedevano i capelli castani», dice di aver lottato con lui («gli ho tirato anche una sedia»), giura di aver «cercato di fermare il sangue di Meredith con alcuni asciugamani e lei mi ha preso anche la mano come per dire non lasciarmi» • Per i giudici l’assassinio della studentessa londinese è stato un atto collettivo. Ha scritto Massimo Ricciarelli, presidente del Tribunale del Riesame: «Si vuol dire che la povera Meredith cadde vittima di uno o più aguzzini, i quali senza pietà vinsero i suoi tentativi di resistenza e per l’effetto esercitarono anche pressioni sul collo…». Non solo. «Ed è allora giocoforza ritenere che l’azione delittuosa fosse stata compiuta da chi con la vittima aveva qualche frequentazione…». Secondo il Riesame, Meredith fu quasi soffocata per immobilizzarla, per poterle fare violenza. Lei tentò disperatamente di opporsi («strenua e vana resistenza»): «Il colpo mortale era comunque in arrivo, anche perché a quel punto la vittima non avrebbe dovuto parlare». Nessuno finora è riuscito a delineare ruoli e movente.